EXCALIBUR 154 - maggio 2023
in questo numero

La Polonia e "La terra inumana"

Un libro di Jozef Czapski su due paesi - Polonia e Russia - mai amici

di Angelo Marongiu
'Autoritratto con libro', <b>Jozef Czapski</b> (1896-1993)
Mosca, la bella
Sopra: "Autoritratto con libro", Jozef Czapski
(1896-1993) e Mosca, la bella
Sotto: Jozef Czapski, "La terra inumana" (Adelphi,
2023, 459 pagine)
<b>Jozef Czapski</b>, 'La terra inumana' (Adelphi, 2023, 459 pagine)
Pare che i primi Mig-16 siano stati trasferiti dalla Polonia in Ucraina. La notizia non è certa e nessuno si sogna di confermarla (né smentirla).
Per l'Ucraina la vittoria sulla Russia passa per il cielo e i Mig-16, caccia di origine russa resi compatibili con i sistemi della Nato, sono diventati oggetto di desiderio.
Di questo eventuale trasferimento sono circolate troppe voci, mentre sarebbe dovuta essere un'azione coperta dalla massima segretezza.
Ma, notizia vera o prematura, essa dimostra ancora una volta la disponibilità massima della Polonia di essere di aiuto per l'Ucraina.
Il suo essere in prima fila negli aiuti a Kiev nasce certo dal senso di fratellanza con una nazione confinante con la quale i Polacchi si sentono affini, ma certamente un elemento altrettanto importante è la sua atavica repulsione per l'orso russo.
La Russia per i Polacchi non è soltanto una parte della loro storia, ma è una paura costante le cui radici si perdono lontano.
Durante la Guerra Fredda la collocazione della Polonia oltre la Cortina di Ferro era la condanna di un'intera nazione costretta a far parte di un mondo che non le apparteneva.
Da baluardo dell'occidente cristiano, il ruolo della Polonia è sempre stato quello di essere frontiera, un pezzo di occidente portato a est, un "oriente dell'occidente", come scriveva Milan Kundera in "Un Occidente prigioniero" (Excalibur n. 142, luglio 2022).
È dall'inizio della guerra in Ucraina che la Russia continua a minacciare la Polonia, mania tutta russa di tentare di impaurire un popolo indomabile e tenace che per Mosca è sempre stato un incubo.
Forse Mosca ricorda ancora il 1610, quando i Polacchi arrivarono fino alle porte di Mosca dopo la battaglia di Kluszyn, nella quale le forze unite di Svezia e Russia, seppure numericamente superiori, furono sconfitte tatticamente dall'esercito polacco-lituano.
Forse fu la memoria di quell'episodio (con l'insediamento provvisorio di uno zar tutto polacco) che spinse i Sovietici, durante la 2ª Guerra mondiale ad attendere oltre la Vistola senza intervenire, mentre i Tedeschi in ritirata come gesto di odio nei confronti degli irriducibili Polacchi distruggevano quel che restava di Varsavia: bruciavano la città e uccidevano i pochi abitanti che non riuscirono a fuggire.
Era il 17 gennaio 1945 e i Sovietici entrarono poi in una città di morti, in una città che era diventata fantasma, attraversata ancora da una stanca Vistola, incapace ora di fermare eserciti.
Jozef Czapski, autore di "La terra inumana", è figlio di quella Polonia.
È un libro dalla strana storia, almeno per l'Italia.
"La terra inumana" fu pubblicato a Parigi nel 1949 dalla casa editrice polacca dell'emigrazione Instytut animata dallo stesso Czapski e fu immediatamente tradotto in francese; nel 1951 vide la luce in lingua inglese, nel 1967 in tedesco. In Polonia fino al 1989 circolava in edizioni clandestine. Ora, anno 2023, è disponibile in italiano: sono i misteri dell'editoria di casa nostra.
La storia personale di Czapski riflette quelli che erano allora i rapporti tra Polonia e Unione Sovietica.
Jozef Czapski era un pittore, memorialista, critico d'arte e serviva come ufficiale nell'esercito polacco.
Quando la Germania e l'Unione Sovietica si spartirono la Polonia, egli fu internato dai Sovietici prima nel campo di Starobel'sk e poi in quello di Grjazocev. Questo spostamento gli salvò la vita.
La sua fu appunto una storia fortunata: dopo quasi due anni di prigionia durante la quale sfuggì alla sorte riservata a tanti ufficiali polacchi in virtù della sua fama (lo scoprì solo nel 1990 all'apertura degli archivi sovietici), si trovò improvvisamente libero in virtù dell'accordo militare tra Stalin e Sikorski, Capo del Governo polacco in esilio, stipulato dopo la rottura del patto Molotov - von Ribbentrop e l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica.
Czapski ricevette dal Generale Anders, incaricato di costituire sul territorio dell'Urss un'armata polacca composta dai soldati imprigionati e deportati dai Sovietici e ora nuovamente liberi, il compito di censire gli arrivi e di raccogliere informazioni sul destino delle migliaia di Polacchi che, dopo l'"amnistia" concessa ai prigionieri di guerra, non si presentavano nei punti di arruolamento del rinato esercito polacco.
Nasce così l'inchiesta che è il cuore del libro di Czapski. Frutto di appunti presi a caldo - che superarono la censura sovietica delle innumerevoli perquisizioni solo perché scritti in polacco con una grafia piccolissima praticamente illeggibile - con una prosa asciutta senza concessioni retoriche, egli raccoglie le testimonianze drammatiche dei superstiti e dei sopravvissuti.
Nella sua ricerca Czapski entra così in pieno nel sistema staliniano dei "campi", attraversa l'Ucraina, la Russia del nord, da Mosca fino all'Uzbekistan, annotando le storie terribili di coloro che furono prima sommersi e poi salvati dall'universo concentrazionario sovietico.
Czapski ci immerge nella bolgia infernale del sistema stalinista, registra l'imbarbarimento estetico dell'arte russa obbediente ai dettami del realismo socialista e ci fa scorgere, dietro la cortina dell'apparente fiducia nella rivoluzione, la realtà di un paese povero, impaurito e schiacciato dalle profonde disuguaglianze sociali: una "terra inumana".
Una terra dove, eterna, regna la menzogna, con la gente oppressa dalla paura, che rinuncia a ragionare. Sottolinea Czapski che il pensiero si spegne quando la speranza viene meno e allora l'uomo diventa argilla che il regime può modellare.
Egli descrive un sistema nel quale «l'uomo conta nulla», vittima di un regime che aveva «addestrato le persone alla crudeltà disumana, all'obbedienza cieca [...], alle delazioni obbligatorie».
Nel suo incessante lavorio di censimento dei soldati polacchi che dai vari campi di prigionia confluivano nei punti di arruolamento, nella sua continua elencazione di nomi di persone assenti, continuavano a mancare all'appello circa 15 mila soldati e ufficiali internati nei "gulag" di Starobel'sk, Kazel'sk e Ostakov.
Si danna l'anima per avere notizie: va a Mosca e non ottiene risposte, così come non le ottiene da Stalin lo stesso Generale Anders.
Mentre ritorna in treno da Mosca all'ambasciata polacca di Kujbysev, Czapski si ripete che i soldati mancanti saranno senz'altro vivi e che prima o poi anch'essi si riuniranno agli altri: è impossibile immaginare una sparizione di quelle proporzioni.
Era a Baghdad quando il 13 aprile 1943 i Tedeschi annunciano la scoperta delle fosse comuni di Katyn, smentendo così il suo troppo facile ottimismo.
Czapski lotterà tutta la vita per smentire la menzogna sovietica che addebitava alle truppe della Wehrmacht la responsabilità della strage.
La verità storica e politica - da lui esposta nell'articolo "La verità su Katyn" (contenuta in questo libro) apparirà il 12 maggio 1948 sulla rivista francese "Gavroche" - fu ammessa da Gorbaciov solo nel 1990.
Fu uno dei tanti crimini dello stalinismo, diretto contro una nazione perennemente odiata. Non era sufficiente togliere la libertà ai Polacchi, ma era necessario che fossero incapaci di organizzare una qualsiasi resistenza, non dovevano rialzarsi mai più.
Katyn rispondeva a questa logica, alla paura di una futura possibile ribellione. E quindi, il 5 maggio 1940, un colpo alla nuca ai circa 15 mila soldati - oltre la metà ufficiali - tenta di sgretolare la società polacca nella sua parte più nobile, per renderla così docile, assoggettabile, senza una guida (Excalibur n.56, ottobre 2009).
Czapski da buon Polacco è profondamente cattolico e nell'inferno che attraversa continua a cercare l'umanità separando con saggezza chi detiene il potere da chi lo subisce.
L'Unione Sovietica gli appare disumana, "inumana", ma ovunque si incontrano storie di grande umanità, con la povera gente che non cessa di aiutare con piccoli gesti quell'esercito in embrione a volte più povero di loro.
E poi quando l'arte, la letteratura, la poesia hanno il sopravvento, l'umanità si rivela per intero. Come nell'indimenticabile episodio (pagg. 276-277) del giovane pianista ebreo Jan Holeman, che suona Chopin su un precario pianoforte e - anche sotto la pioggia - innalza studi, preludi, mazurche, notturni, ballate, lo Scherzo in si minore e la Polonaise in la maggiore: musica di Chopin severamente proibita a Varsavia, ma che risuona nella notte in Unione Sovietica.
Kujbysev, Taskent, Aschabad, Baghdad, Gerusalemme: sono queste le prime tappe del nuovo esercito polacco che Anders decide di portare in Medio Oriente sotto la guida degli Inglesi, anziché combattere in Unione Sovietica.
Il neo nominato II Corpo Polacco viene addestrato in Palestina e nel 1944 raggiunge l'Italia.
La vittoria più importante è quella di Montecassino: il monastero viene conquistato al quarto attacco, il 18 maggio 1944, dopo i falliti tentativi dei reparti neozelandesi, britannici e americani. Rompono quindi la linea Gustav e aprono la strada verso Roma.
L'esercito polacco vince anche la battaglia di Ancona e infine libera Bologna.
Lascia in Italia oltre 4 mila caduti.
Strano destino quello di Wladislaw Anders: alla fine della guerra rimane in esilio e nel 1945 le autorità comuniste polacche gli tolgono la cittadinanza polacca e il grado di generale.
Muore a Londra nel 1970 e, come da suo espresso desiderio, viene seppellito nel Cimitero Militare Polacco di Montecassino, insieme ai suoi soldati che hanno contribuito anch'essi a restituirci la nostra libertà.
Sulle vicende di Montecassino, un articolo di Angelo Abis, "I Polacchi che liberarono l'Italia" (Excalibur n. 74, luglio 2013), esplora in dettaglio, recensendo un interessante libro sull'argomento, quello snodo cruciale per l'Italia delle vicende della 2ª Guerra Mondiale.
Lettura di estremo interesse ancora oggi.
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