EXCALIBUR 154 - maggio 2023
in questo numero

La Regia Marina nel basso Tirreno durante la II Guerra mondiale

Numerose furono le "incomprensioni" fra le forze armate italiane...

di Ernesto Curreli
la rotta del convoglio 'Tarigo' il 16 aprile 1941
il cacciatorpediniere 'Lampo', unico superstite della tragedia
Sopra: la rotta del convoglio "Tarigo" il 16 aprile 1941 e il
cacciatorpediniere "Lampo", unico superstite della tragedia
Sotto: i cacciatorpediniere "Geniere" e "Camicia Nera" durante lo
scontro di Punta Stilo, Domenico Arcidiacono, comandante della
piazza navale di Cagliari, e Pietro Lissia, Sottosegretario di Stato
all'Economia
i cacciatorpediniere 'Geniere' e 'Camicia Nera' durante lo scontro di Punta Stilo
<b>Domenico Arcidiacono</b>, Comandante della piazza navale di Cagliari e <b>Pietro Lissia</b>, Sottosegretario di Stato all'Economia
Che la condotta italiana della guerra sul mare fosse disastrosa lo compresero subito gli equipaggi navali fin dall'incursione britannica di Taranto. Diversi ammiragli della Regia Marina erano condizionati dal mito della Royal Navy, che consideravano «la più grande marina del mondo», della quale subivano un timore ingiustificato, continuando a mitizzarla per tutta la durata della guerra. Non presero coscienza che la situazione era mutata nemmeno quando verificarono che, quando facevano prendere il mare alla possente flotta italiana, la Royal Navy spesso si defilava rifiutando il combattimento.
È difficile spiegare la "notte di Taranto" senza porsi degli interrogativi. Verità acclarata è che gli Inglesi avevano un piano per un attacco a Taranto fin dal 1935, durante le tensioni angloitaliane per la guerra d'Abissinia. Ma quel piano, per avere successo, doveva essere inaspettato e improvviso. La ricognizione inglese volava sul cielo di Taranto fin dall'ottobre 1940, indisturbata e senza che i comandanti della piazza marittima si ponessero qualche interrogativo. Non doveva essere difficile pensare che quelle ricognizioni fotografiche avevano lo scopo di inquadrare il porto e le navi ancorate. Non venne diffuso l'allarme né per l'uscita delle forze navali inglesi da Gibilterra, né per quelle che contemporaneamente uscivano da Alessandria d'Egitto. Da Gibilterra era partita anche la portaerei "Ark Royal", che compì una operazione di disturbo bombardando Cagliari e Carbonia, causando pochi danni.
La forza navale di Alessandria poté navigare senza alcun contrasto al largo del Golfo di Taranto arrivando la mattina del 9 novembre 1940 a Malta senza che un solo aereo o una sola unità dei mezzi insidiosi italiani fossero mandati a scrutare il mare per capire cosa facesse il nemico, il quale preparava tranquillamente il suo attacco.
Entrò sicuro nel Mare Jonio e la ricognizione italiana, che aveva scoperto la flotta inglese fin dal giorno prima, per quanto se ne sa, non segnalò la deviazione che la portava vicino a Taranto, a una distanza di circa trecento chilometri, che le permise di lanciare dalla portaerei "Illustrious" i suoi vecchi e sorpassati "Swordfish", armati di siluri. Nella notte dell'11 novembre l'incursione dei loro bombardieri e aerosiluranti ebbe il successo che gli Inglesi si aspettavano. Il porto non era stato messo in allarme e le navi italiane erano ormeggiate l'una vicina all'altra, in uno specchio d'acqua non protetto dalle reti parasiluri, a causa della negligenza delle autorità portuali, che pur disponevano nei magazzini delle reti che dovevano chiudere il varco. Non fu attivato nemmeno il servizio dei fari antiaereo, dissero a causa della inaspettata incursione. Ma gli Inglesi si arrangiarono da soli, avevano alcuni aerei che coi bengala illuminarono a giorno il porto e la posizione delle grandi navi italiane.
Gli Inglesi pagarono la loro audacia con la perdita di due soli aerei, ma la Regia Marina pagò un prezzo ben maggiore. Tre corazzate subirono gravi danni rimanendo semi affondate: la "Littorio", da poco varata e vanto dell'industria navale italiana, insieme alla "Duilio", rimodernata completamente, giacevano su un fianco, mentre la "Cavour", anch'essa rimodernata da pochi mesi, giaceva sommersa. Furono colpiti anche l'incrociatore "Trento" e i cacciatorpediniere "Libeccio" e "Pessagno".
Così per molti mesi la flotta italiana si trovò per la prima volta in condizioni di inferiorità numerica con le corazzate rispetto a quella britannica. Inutile aggiungere che la Raf l'indomani mattina poté fotografare il porto e le navi colpite, tirando su il morale del popolo inglese che da mesi subiva colpi pesanti dall'aeronautica tedesca. Dopo quel disastro l'Ammiragliato italiano impiegò poche volte le altre tre corazzate, lasciando inerte l'ancora temibile flotta: tre corazzate, sette incrociatori pesanti, quattordici incrociatori leggeri, cinquantanove cacciatorpediniere e sessantanove torpediniere, oltre a un centinaio di sommergibili e un numero elevato di unità minori.
L'aeronautica italiana aveva certo le sue colpe, sia per l'inadeguata ricognizione aerea sia per aver trascurato l'uso efficace degli aerosiluranti, che pure erano stati un'invenzione italiana. Contro le prove contrarie di diversi ufficiali italiani che si erano cimentati nelle basi del Veneto nell'uso del siluro sugli aerei, c'erano diversi capi dell'aeronautica che ritenevano tale uso inappropriato per l'impiego aereo. Negli Anni Trenta condannarono ripetutamente sulla stampa specializzata l'impiego del siluro sugli aerei, arrivando al conflitto senza reparti aerosiluranti. Nelle operazioni aeronavali influì notevolmente anche la gelosia dei generali dell'aeronautica, i quali temevano che la marina prima o poi avrebbe costituito una sua forza aerea per l'impiego negli scontri navali. Fu solo a guerra inoltrata e in condizioni ormai compromesse che l'aeronautica cominciò a collaborare in maniera concreta in appoggio alla marina da guerra.
Fu così che la Royal Navy ebbe modo di fare strage dei convogli italiani che andavano ad alimentare lo sforzo bellico nel Nord Africa. Cinque piroscafi e tre incrociatori leggeri italiani furono intercettati nella notte del 16 aprile 1941 dalla piccola flottiglia inglese di Malta e affondati a colpi di cannone. Nessuno dei cinque mercantili si salvò. Erano quattro trasporti truppe tedeschi ("Adana", "Arta", "Aegina" e "Iserlhon") che trasportavano anche carri armati, cannoni e munizioni e l'italiano "Sabaudia" carico di munizioni, che andavano a rafforzare l'Afrika Korps di Rommel arrivato in Libia il mese prima. Per un trasporto così importante la marina dispose una debole formazione coi caccia "Tarigo", "Baleno" e "Lampo". Due furono colpiti alle 2,20 del 16 da circa duemila metri di distanza (Tarigo e Baleno), una distanza troppo corta per potersi salvare, mentre il Lampo fu l'unico a salvarsi. Supermarina intercettava da molto tempo i messaggi radio britannici e anche in questo caso aveva intercettato e decrittato l'avviso di scoperta che un ricognitore inglese aveva trasmesso a Malta, mentre a sua volta un ricognitore tedesco aveva comunicato agli Italiani che una flottiglia inglese di caccia dirigeva verso Malta. La marina chiese perciò all'aeronautica un intervento di copertura, me nessun aereo si levò in volo, con la giustificazione delle «avverse condizioni atmosferiche». Il Tarigo, in coda alla formazione al comando del Capitano di Fregata Pietro De Cristofaro, reagì subito aprendo il fuoco, ma fu colpito anch'esso da precise bordate. Quel comandante era uno di quelli che in mare non nutrivano complessi di inferiorità nei confronti degli Inglesi. Pur colpito pesantemente, De Cristofaro, sebbene gravemente ferito con la gamba destra asportata da un colpo nemico, coordinò le operazioni di allontanamento dei piroscafi e chiese al suo equipaggio di non demordere. Gli ubbidirono anche i siluristi, al comando del giovanissimo Tenente di Vascello Besagno, quasi tutti feriti dal fuoco avversario. Visto che ormai erano inutilizzabili le manovre elettromeccaniche, riuscirono con manovre manuali a lanciare in mare tre siluri di poppa, centrando con due siluri il caccia inglese "Mohawk", che in meno di un'ora colò a picco. A De Cristofaro, scomparso in mare con l'equipaggio, fu assegnata la Medaglia d'Oro al Valor Militare, mentre al Capitano del Genio Navale del Baleno, Edoardo Repetto, che riuscì a salvarsi, fu assegnata una Medaglia al Valor Militare. Su 3 mila uomini tra equipaggi e imbarcati, solo 1.200 si salvarono.
Il Lampo, colpito e non più governabile, riuscì a salvarsi incagliandosi nelle secche di Kerkennah, sulla costa tunisina. Fu poi recuperato e rimesso in servizio. Ma da allora e per molto tempo gli Inglesi andarono semplicemente a caccia dei trasporti italiani, facilitati dalla mancanza di scorte adeguate, mentre il grosso della flotta rimaneva nei porti. Appena un mese dopo fu il grande transatlantico "Conte Rosso" a farne le spese. Il 24 maggio 1941 navigava con a bordo 2.700 uomini appartenenti a diverse specialità militari. Erano quasi tutti studenti universitari. A quindici chilometri da Siracusa, appena otto miglia nautiche, la grande nave fu colpita da un sommergibile inglese con due siluri che la squarciarono sotto la linea di galleggiamento. In mare non c'era un solo Mas e nessun sommergibile ad agevolare la traversata. C'era una flottiglia di scorta, talmente importante perché composta da due incrociatori pesanti, il "Trento" e il "Trieste", e ben tre cacciatorpediniere, ma erano tenuti molto distanti dal transatlantico, tanto da rendere inutile non solo la scorta, ma persino il soccorso in mare. Invece era immancabilmente presente e ben vicino alla costa siciliana un sommergibile britannico. In dieci minuti la grande nave si inabissò mentre a bordo quei giovani cantavano gli inni della loro gioventù. Si salvarono in millecinquecento, in un epico e drammatico reciproco soccorso in mezzo ai relitti.
Il 3 giugno 1941 ci fu un'altra tragedia. Un convoglio di sette piroscafi partito da Napoli fu sorpreso da aerei inglesi nel Canale di Sicilia. Nei comandi romani sapevano che il grande convoglio era stato scoperto fin dal giorno prima dalla ricognizione nemica, ma fu fatto poco per la protezione aerea. In scorta diretta c'erano i caccia "Aviere", "Dardo", "Geniere" e "Camicia Nera", oltre alla vecchia torpediniera "Missori", mentre la scorta a distanza era costituita da due incrociatori leggeri, "Duca degli Abruzzi" e "Garibaldi", con quattro caccia ("Granatiere", "Bersagliere", "Fuciliere" e "Alpino"). La copertura aerea era assicurata da due soli caccia Fiat CR.42, ottimi aerei amati dai piloti perché molto manovrieri, sebbene fossero sorpassati anche in Italia dalle moderne produzioni. Poco a sud di Pantelleria l'immancabile incursione di cinque bombardieri inglesi di Malta riuscì nel colpo. Non osarono avvicinarsi al convoglio fino a quando, nel pomeriggio, i due CR.42 dovettero abbandonare il convoglio perché avevano esaurito l'autonomia di volo. Allora si abbassarono sul mare e cercarono la posizione migliore per l'attacco. Ai lati del convoglio navigavano i quattro caccia, che però non riuscirono a fermare l'attacco. Fu colpito proprio il piroscafo "Montello", carico di munizioni per le truppe in Libia, mentre il "Beatrice Costa" subì altri danni. Le bombe sul Montello provocarono una terribile esplosione che lanciò in aria a oltre trecento metri pezzi di metallo che investirono uno degli aerei nemici provocandone l'abbattimento, poi si inabissò in venti secondi. Nessuno dell'equipaggio si salvò, mentre il Beatrice Costa, ormai in fiamme, fu affondato dal "Camicia Nera" dopo che aveva tratto a bordo l'equipaggio. Anche in questo caso la scorta non era organizzata al meglio. C'erano a protezione le navi, è vero, ma mancò una vera copertura aerea, a poche miglia da Pantelleria dov'era un reparto della Regia Aeronautica.
Il 20 agosto gli Inglesi misero a segno un altro colpo contro il convoglio "Esperia". Composto da quattro grossi mercantili, l'Esperia, che era carico di truppe della Divisione Motorizzata Trieste e di soldati tedeschi, venne affondato da un sommergibile nemico con tre siluri, malgrado la scorta di quattro cacciatorpediniere, quando già si vedeva il faro di Tripoli. Ecco cosa scrisse nel suo rapporto il comandante in mare, Contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone: «Le circostanze descritte in cui si è verificato l'attacco fanno supporre che il sommergibile abbia eseguito un lancio a brevissima distanza probabilmente in base a rilevamenti idrofonici. È possibile che l'arrivo del convoglio fosse noto al nemico, poiché esso era stato attaccato la sera precedente da sommergibile in prossimità di Pantelleria».
Era chiaro a tutti che il nemico conosceva con sicurezza quale fosse la nave che portava il carico più importante: truppe speciali, munizioni, combustibili per aerei e carri armati. Nel frattempo erano migliorate le scorte, ma la copertura aerea rimaneva scarsa. Il 1º settembre 1941 ci fu l'affondamento della motonave "Gritti", carica di munizioni per le truppe in Libia, mentre la "Barbaro", con a bordo circa trecento soldati italiani, si salvò con altre tre motonavi grazie alla scorta di cinque cacciatorpediniere.
Il 18 settembre fu la volta dei mercantili "Neptunia" e "Oceania", carichi di truppe. Sull'Oceania c'erano soldati dell'8º Reggimento Bersaglieri, sul Neptunia c'erano truppe speciali e molti militari dei servizi dell'aeronautica libica. Persero la vita oltre cinquecento uomini tra militari ed equipaggi civili. Ma la cosa che colpì negativamente gli ufficiali era che ormai gli affondamenti avvenivano in prossimità della Libia. Ci furono proteste scritte anche da parte del Maresciallo Bastico, comandante superiore in Libia, ma fu messo a tacere da una piccata risposta dell'Ammiraglio Riccardi. In realtà, gli affondamenti avvenivano anche vicino alle coste metropolitane, tant'è che nello stesso giorno a tre miglia da Marsala fu colpito il piroscafo "Col di Lana", che si salvò a stento rientrando in porto. Per tutto il resto dell'anno 1941 fu un continuo massacro di marinai e soldati, con navi da guerra e mercantili che scomparivano per sempre. I comandi a terra italiani e tedeschi erano furibondi per la perdita di tanti uomini e mezzi che venivano lanciati in mare senza una adeguata scorta aeronavale, e nelle piazze militari molti si domandavano quale fosse la strategia che seguivano gli alti comandi. L'angoscia dei militari impegnati nei fronti di guerra nel Mediterraneo proseguì fino a tutta l'estate del 1942, quando lo sforzo dell'Asse in Africa Settentrionale era maggiore.
Un episodio che fecce scalpore nel Comando Marittimo di Cagliari riguarda l'affondamento del "Perseo", avvenuto il 18 agosto 1942. Il piroscafo era diretto verso la costa algerina in prossimità di Bona, quando un ordine di Supermarina gli impose di invertire la rotta e dirigere verso Cagliari. Immancabilmente vicino a Capo Carbonara, presso la costa di Villasimius, trovò in agguato, in pieno giorno, un sommergibile inglese che colò a picco la nave. Il comandante della base navale di Cagliari, Domenico Arcidiacono, mandò a Roma il solito rapporto cui erano tenuti i comandanti della piazza marittima dove era avvenuto l'affondamento, ma non usò il normale linguaggio burocratico: «Potevamo farlo rifugiare con una scusa qualsiasi in un porto tunisino». All'epoca la Tunisia era ancora in mano alla Francia di Vichy e quindi era un porto neutrale, pertanto le parole di Arcidiacono suonavano come un velato rimprovero.
Domenico Achille Arcidiacono (Riposto (CT) 1893 - Conegliano (TV) 1956) era un fascistone di quelli tosti. Era nato pilota con la passione per la marina. Capitano di lungo corso, durante la Prima Guerra Mondiale aveva comandato la 261ª Squadriglia Caccia inquadrata nella Regia Marina, meritandosi diverse medaglie al valore. Nel 1920 aveva seguito Gabriele D'Annunzio nell'impresa di Fiume e poi si era iscritto al Pnf portando con sé tutto il fascino e il prestigio che avevano i "fiumani". Rimase in servizio attivo fino al 1925, per poi dedicarsi alla politica, ma sempre nell'ambito militare navale. Di lui si sa ben poco, c'è pochissimo anche su internet e bisogna impiegare degli sforzi per tracciarne qualche cenno biografico. Da parlamentare nella XXIX legislatura (1934-1939) aveva delineato, lui che se ne intendeva, l'organizzazione che doveva assumere la cooperazione aeronavale, ma come abbiamo visto rimase inascoltato (Volume I, pag. 1100 dell'Archivio Storico del Parlamento italiano). Richiamato nella Regia Marina col grado di capitano di vascello, corrispondente a quello di colonello nell'esercito, partecipò a diverse scorte ai convogli navali, meritandosi due medaglie d'argento al valor militare. Poi, raggiunta l'età di quarantotto anni, gli fu ordinato di assumere il comando della base navale di Cagliari, nel quale si dedicò a una migliore riorganizzazione della piazza marittima, già colpita da diversi bombardamenti alleati e sede di una importante squadriglia di cacciatorpediniere e di sommergibili. Di lui si perdono le tracce per il resto della guerra. Lo ritroviamo nel dopoguerra al comando di diverse navi mercantili e successivamente quale direttore generale dell'Agip Mare.
Si sa soltanto che il 13 febbraio 1943 fu chiamato da Mussolini ad assumere le funzioni di Sottosegretario (viceministro) delle Comunicazioni (trasporti aeronavali, ferrovie, ecc.) nell'operazione che nel febbraio 1943 vide impegnato il Capo del Governo in un radicale cambio dei vertici ministeriali e del Pnf. Rimase in carica fino al 25 luglio 1943. Mussolini minacciava da tempo una "terza ondata rivoluzionaria", ma lo faceva soprattutto per frenare le intemperanze dell'ala intransigente fascista, che da tempo chiedeva di allontanare ministri e capi militari che ai loro occhi non si dimostravano all'altezza della grave crisi che aveva colpito l'Italia con la caduta della Libia e con l'imminente sconfitta che si profilava in Tunisia. Ma non andò mai oltre, consapevole che aveva dei doveri costituzionali e che, soprattutto, si era legato ai capi militari con quello che gli storici chiamano oggi il "patto scellerato" del 1925, secondo il quale egli non comandava effettivamente le Forze Armate italiane. Si accontentò del solo vacuo titolo di Ministro dei tre dicasteri militari, lasciando per anni che i militari conducessero la guerra nel modo che conosciamo. Tra i tanti a fare le spese del cambio dei vertici ci fu un Sardo, Pietro Lissia, un politico di Calangianus (Calangianus (SS) 1877 - Roma 1957) laureato in Giurisprudenza. Egli ebbe una lunga carriera politica sia come parlamentare negli Anni Venti (XXV, XXVI e XXVII legislatura), sia come sottosegretario nel Governo Facta. Aderì poi al Pnf proseguendo la carriera ministeriale. Entrò subito nel Governo Mussolini quale Sottosegretario alle Finanze dal 31 ottobre 1922 fino al 30 luglio 1924. Considerato un fascista di orientamento moderato, fu ancora Sottosegretario alle Finanze fino al 13 febbraio 1943, quando ebbe forti contrasti con Mussolini per la sua netta opposizione ad aumenti della spesa pubblica, che Mussolini chiedeva per incrementare i salari degli operai in fermento da mesi e per aumentare la disponibilità alimentare per le famiglie italiane, opponendosi per il timore di una ventata inflazionistica, in questo appoggiato anche da altri ministri ed esperti di politica monetaria.
la corvetta 'Fenice'
La corvetta "Fenice"
La corvetta "Fenice" nel 1943 in navigazione con mare grosso. Queste nuove unità navali entrarono in servizio a guerra inoltrata e si dimostrarono subito di ottime qualità nautiche. Ne furono costruite una ventina fino all'armistizio e svolsero una intensa attività antisommergibile e di scorta ai convogli. Avevano una stazza di circa 660 tonnellate e a bordo montavano le migliori attrezzature. L'armamento antisommergibile era costituito da otto lanciabombe, quattro per lato, capaci di scaricare contemporaneamente dodici bombe antisom.
A poppa erano installati anche due scarica bombe. L'armamento antiaereo e antinave era costituito da un cannone da 100/47 e da sette mitragliere sistemate a poppa, sulla tuga e a prora. Disponevano inoltre di due impianti lanciasiluri ai lati. Anche la dotazione era migliore rispetto alle torpediniere e ai caccia: oltre alla più moderna strumentazione di navigazione, possedevano tutte l'ecogoniometro (sonar) per la rilevazione di sommergibili. Nelle fasi di ricerca sommergibili, novità assoluta, potevano navigare con motori elettrici per evitare di essere individuate a causa del rumore dei motori, che peraltro era abbastanza basso perché i loro motori erano a propulsione diesel. Erano "pronte" all'uscita in appena dieci minuti.
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