EXCALIBUR 154 - maggio 2023
in questo numero

Furono i Savoia a introdurre il "bonus famiglia"

Politiche demografiche settecentesche dalle quali prendere spunto

di Antonello Angioni
<b>Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio</b> (1706-1782)
Sopra: Giovanni Battista Cacherano di
Bricherasio
(1706-1782)
Sotto: conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino
(1701-1784)
conte <b>Giovanni Battista Lorenzo Bogino</b> (1701-1784)
Lo spopolamento della Sardegna (ma stesso discorso vale per l'Italia e per il Vecchio Continente) costituisce da tempo uno dei temi al centro dell'agenda politica. Si tratta di un problema di notevole rilevanza ma non nuovo e che, nelle diverse epoche storiche, ha trovato risposte attraverso due leve: le politiche di natalità e i flussi migratori. Quindi è interessante esaminare come la questione venne affrontata dai viceré sabaudi nella seconda metà del Settecento.
Tra essi si segnala il conte di Bricherasio (viceré dal 1751 al 1755) che s'impegnò a cercare di capire meglio le ragioni del degrado dell'Isola e finì per convincersi che lo spopolamento di vaste aree incolte fosse la principale causa dei limiti al suo sviluppo e del diffondersi della delinquenza. Si persuase quindi della necessità di insediare nuovi coloni che lavorassero le terre e che, con la loro presenza, le rendessero più sicure. Negli anni del suo viceregno, dopo gli incoraggianti esempi di Carloforte e Montresta, furono intrapresi numerosi esperimenti di colonizzazione e di ripopolamento ricorrendo all'insediamento di comunità di diversa provenienza, ma prevalentemente straniere.
Rifacendosi alle idee del Fara, il Bricherasio vedeva nelle angherie dei baroni e nelle prestazioni feudali la causa del ritardo e della scarsità dei matrimoni. Riteneva che la colonizzazione dovesse realizzarsi con i Sardi, abituati al clima e alla intemperia, e a tal fine propugnò l'erogazione ai vassalli poveri di piccoli prestiti a tasso agevolato (rimborsabili in cinque anni), per sostenere gli oneri del matrimonio, e l'assegnazione delle terre incolte per costituire aziende agrarie e alloggi destinati alle famiglie dei coltivatori.
Inoltre, dettò specifiche misure per favorire la riduzione del numero dei conventi (e quindi del celibato), stabilì l'esenzione dal donativo e dagli oneri personali a beneficio delle famiglie numerose e attribuì distinzioni sociali ai padri di numerosa prole. A tale particolare status personale si ricollega la dizione "Cavalieri di braghetta". Le esenzioni furono poi trasformate in una pensione abbastanza cospicua per quei tempi, che verrà abolita dal conte Cavour nel 1852.
Addirittura il viceré Bricherasio concesse la grazia ai colpevoli di reati minori, a condizione che si sposassero entro l'anno e coltivassero le terre, ed esonerò per tre anni dagli oneri reali e personali chi contraeva matrimonio tra i venti e venticinque anni. Con queste e altre misure riteneva che, in poco più di un secolo, la popolazione sarda si sarebbe raddoppiata ponendo le basi della creazione di un mercato interno che avrebbe favorito la produzione e il commercio e quindi il rifiorimento della Sardegna.
Il suo successore, il conte Vittorio Amedeo Costa della Trinità (1755-1758), ne condivise l'impostazione e fu anche l'interprete di quello spirito di rinnovamento che animò la cultura sarda per alcuni decenni della seconda metà del XVIII secolo. Per combattere lo spopolamento dell'Isola, incoraggiò i matrimoni dei "nazionali" (così venivano definiti i Sardi) che - a causa delle difficoltà economiche dei padri a dotare le figlie di corredo e dei giovani a risparmiare il danaro necessario per mettere su casa o acquistare gli attrezzi agricoli - avvenivano con molto ritardo, dopo che gli sposi avevano superato la fase di maggior vigore fisico. In tale contesto, i matrimoni sterili erano assai numerosi. Allo scopo di arginare il fenomeno, il viceré Costa della Trinità distribuì annualmente un certo numero di doti alle fanciulle del contado.
Altro viceré illuminato fu il conte di Dorzano (1767-1771), il quale valutò i benefici di un indulto per i delitti meno gravi, che concesse all'inizio del suo viceregno creando le condizioni per far rientrare in seno alla società civile e quindi nell'attività lavorativa (con tutto ciò che ne consegue) non pochi dei perseguitati e dei reietti, altrimenti destinati a diventare semenzaio di un sempre maggior numero di fatti criminosi. L'idea si rivelò fruttuosa anche perché restituì all'agricoltura questa gente perduta.
In questo periodo, un importante ruolo venne svolto dal conte Giambattista Lorenzo Bogino che, dal 1759 al 1773, su incarico del re Carlo Emanuele III, curò gli "Affari di Sardegna" introducendo riforme in tutti i campi: riorganizzò le due università, avviò la costituzione su base elettiva dei Consigli comunitativi, introdusse i Monti frumentari e così via. L'idea di base sulla quale il Bogino impostò il suo programma di riforme era che nel Regno mancassero una classe dirigente adeguata e una organica politica di rinnovamento. Alla luce di tale impostazione, devono essere inquadrate le diverse riforme dallo stesso promosse tendenti a trasformare la Sardegna.
In conclusione i Savoia, da un lato, impostarono politiche tese all'incremento della natalità e, dall'altro, favorirono flussi migratori controllati anche attraverso la creazione di nuovi comuni: Carloforte, che venne costruita e si popolò a più riprese dopo il 1737 (con genti di origine ligure che nel Cinquecento si erano trasferite nell'isola di Tabarca presso Tunisi), Calasetta e La Maddalena nel 1770 e poi, nel 1803, Longonsardo (attuale Santa Teresa Gallura). Tra la seconda metà del Settecento e i primi anni del secolo successivo furono anche creati diversi centri abitati con elementi indigeni, fra cui si segnalano Domus de Maria (a cura del gesuita padre Vassallo), Gonnesa e Villasimius, che vedrà la luce nel 1822 in corrispondenza dell'antica Carbonara, grazie all'intraprendenza del generale Incani.
Chissà se la ricetta dei Savoia abbia ancora una qualche validità. Intanto è bene conoscerla.
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