EXCALIBUR 156 - giugno 2023
in questo numero

"Arcipelago Gulag"

Cinquant'anni dal libro che aprì gli occhi del mondo sul macello sovietico

di Lancillotto
il 'piccolo padre'
Sopra: il "piccolo padre"
Sotto: L'"arcipelago" dei campi (cliccare sull'immagine
per ingrandire)
L''arcipelago' dei campi
Quando "Arcipelago Gulag" fu pubblicato in Francia nel 1973, Alain Finkielkraut scrisse: «la lettura di quel libro ci insegnò quanto l'enormità del crimine fosse connessa all'ideologia e questa riflessione guarì molti di noi dall'arroganza intellettuale».
Alain Finkielkraut ribaltò completamente l'idea che aveva dell'ideologia comunista.
Come lui tanti in Francia e in altre parti del mondo: ma se in quei luoghi il libro fu una rivoluzione, in Italia esso venne relegato ai margini.
Del resto l'Italia aveva il più forte Partito Comunista de mondo e in aggiunta una variopinta galassia di gruppuscoli marxisti che dominavano scuole, università, giornali e fabbriche.
Una gelida coltre di conformismo e di indifferenza si abbatté allora sulla pubblicazione del primo volume dell'opera (Mondadori, 1974) e il silenzio, la derisione e la stroncatura - da parte di libri e giornali - fu quasi unanime. Solo poche voci si distinsero dall'uniformità.
Furono pochissime le recensioni sulle terze pagine dei nostri giornali, con commenti acidi e arroganti su un libro così importante e drammatico.
Carlo Cassola sostenne che Solzenicyn era «un retore declamatorio che non vale niente come scrittore»; Umberto Eco - con lo pseudonimo di Dedalus - lo definì «un Dostoevskij da strapazzo»; Italo Calvino e Alberto Moravia lo criticarono per la sua religiosità e il suo nazionalismo slavofilo.
Quando nel 1974 lo scrittore fu espulso dall'Unione Sovietica, Giorgio Napolitano, membro della Direzione del Pci e soprattutto responsabile della commissione culturale, illustrò la visione sua e del Pci su "Rinascita". Secondo lui Solzenicyn aveva assunto un atteggiamento di "sfida" allo Stato sovietico e alle sue leggi e questo atteggiamento aveva provocato - con i suoi aberranti giudizi politici - una larghissima riprovazione nell'Urss.
La sua espulsione, invece di una incriminazione, era stata la "soluzione migliore". Certo, era una misura restrittiva, ma solo commentatori faziosi e sciocchi, potevano evocare lo spettro dello stalinismo.
Nella sua autobiografia pubblicata nel 2008 (aveva avuto tutto il tempo per ravvedersi) infarcita di episodi banali ed edificanti per lui e il suo partito, non fa alcun cenno sul suo giudizio di allora e non cita mai Solzenicyn.
È un silenzio che in Italia ancora oggi avvolge "Arcipelago Gulag".
Al "Salone del libro" di Torino appena conclusosi, nessun ricordo di un libro che esattamente cinquant'anni fa ha sconquassato le menti dell'intellighenzia di sinistra, ma, in perfetto stile sovietico, si è impedito alla Roccella di presentare il suo libro. Niente di nuovo dunque.
Del resto in Russia, a gennaio 2023, il vice capo di "Russia Unita" (il partito di Putin) alla Duma di Stato (la camera bassa del parlamento russo) ha proposto di escludere dal mondo dell'insegnamento testi come "Arcipelago Gulag" poiché non corrispondenti alla realtà e di privilegiare opere che possano ripristinare la giustizia storica e infondere elevate dosi di patriottismo agli studenti.
L'acronimo "Gulag" designava la "direzione centrale dei lager" (Glavnoe Upravlenie LAGerej), cioè il sistema concentrazionario sovietico, che racchiudeva una duplice funzione: da una parte repressiva (la reclusione e la punizione dei veri o presunti "nemici del popolo") e dall'altra economica: i reclusi politici e di diritto comune erano impiegati in una miriade di cantieri-lager sparsi in tutto il paese per la costruzione di infrastrutture (strade, ponti, canali, porti e nuove città) e per l'estrazione delle risorse naturali come oro, legname, carbone o uranio (vedasi Excalibur n. 75 del gennaio 2014, "Uno straordinario documento sui Gulag sovietici").
Nell'"Arcipelago" sono rappresentati tutti i cerchi di quell'inferno concentrazionario, compresi quelli estremi della Kolyma, il "crematorio bianco" dello sperduto nord-est della Siberia, magistralmente raccontato da Varlam Salamov.
"Arcipelago Gulag" è una drammatica requisitoria contro il sistema concentrazionario e soprattutto contro il sistema etico-politico che lo aveva generato. Un'opera dal grandissimo respiro, con una enorme varietà e ricchezza di registri linguistici, letterari, storici.
Solzenicyn non si limita al racconto dei campi di lavoro nei diversi "cerchi" del Gulag: dà la voce ai testimoni, rappresenta tutte le fasi che il prigioniero, "nemico del popolo", attraversa prima di arrivare al campo a scontare la sua pena: l'arresto, la perquisizione personale e dell'abitazione, il destino dei suoi familiari, l'isolamento e le torture, il processo, il trasporto nei vagoni cellulari come bestie, la violenza, le angherie, le "norme di produzione", la brutalità, l'arbitrarietà, le morti e le uccisioni.
In poche parole, l'umiliazione inflitta a un essere umano da altri esseri umani.
"Arcipelago Gulag" ha svolto una straordinaria azione sulle coscienze di ogni parte del mondo, aiutandole a liberarsi dalla menzogna, scritto in condizioni di eccezionale durezza, in stato di clandestinità e di persecuzione.
Solzenicyn in quest'opera e nelle sue altre opere non si limita a denunciare i vizi e le tragedie dello stalinismo, ma procede ben oltre, chiedendosi quali siano le radici.
Per lui i semi della dittatura sovietica sono antichi e risalgono addirittura all'Umanesimo rinascimentale e all'Illuminismo, quando gli uomini si illudono di poter cambiare il mondo con la sola forza della ragione.
Col passare degli anni le parole di Solzenicyn si sono caricate di un tono "profetico", denunciando oltre quel mondo sovietico anche quello occidentale, secondo lui in pieno declino per la perdita di ogni religiosità e di ogni riferimento morale (vedasi Excalibur n. 50 dell'ottobre 2008, "Solzenicyn, la scomparsa di un gigante").
Alla fine dell'estate del 1973 il Kgb confisca il manoscritto di "Arcipelago Gulag" e il 12 febbraio 1974 arresta lo scrittore.
Il giorno successivo esce nel samizdat e contemporaneamente in Occidente il suo appello «Vivere senza menzogna»: «Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini con la mia collaborazione! Ecco la nostra via: non sostenere in nessun caso, consapevolmente, la menzogna».
Le origini dei primi "campi di lavoro" risalgono alla Russia zarista, nelle squadre di lavoro coatte che dal XVII secolo all'inizio del XX operarono in Siberia. Assunsero la loro forma definitiva subito dopo la rivoluzione del 1917, entrando a far parte integrante del sistema sovietico; essi furono chiusi definitivamente solo nel 1986, con Gorbaciov.
Le cifre dello sterminio sono ancora molto incerte e il numero di coloro che vi persero la vita rimane sconosciuto. Si calcola che all'interno dei Gulag transitarono tra i 15 e i 20 milioni di persone, ma che contemporaneamente non ne siano state presenti più di 3 milioni. Il tasso di mortalità mensile in certi campi superava il 10%; a Kolyma, con temperature di 50-60° sotto lo zero, la mortalità raggiungeva il 50%.
Uno dei più completi libri sull'argomento è stato pubblicato nel 2017: "Gulag. Storia dei campi di concentramento sovietici" di Anne Applebaum.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO