EXCALIBUR 75 - gennaio 2014
in questo numero

Uno straordinario documento sui gulag sovietici

Per la prima volta il mondo dei gulag visto dalla parte dei carcerieri

di Angelo Marongiu
Iva Cistjakov, "Diario di un guardiano del gulag" (Bruno Mondadori Editore, 2012)
Non è un libro avvincente, lo salva solo la sua particolarità e la sua brevità: 234 pagine di un diario e alcuni racconti, oltre alla prefazione di Marcello Flores e la postfazione di Irina Scerbakova.
È un documento di rilevanza eccezionale e oggi è custodito in una cassaforte del Centro Memorial per i diritti umani di Mosca.
Lo ha scritto Ivan Cistjakov nato all'inizio del secolo scorso, cresciuto a Mosca, forse di formazione tecnica, appassionato di teatro e di sport, tra il 1934 e il 1936 comandante di un plotone di guardie armate nel BAMlag della Siberia. La rilevanza del suo diario nasce dal fatto che non esistono altre memorie scritte da chi stava dall'altra parte del filo spinato.
Finora la conoscenza dei meccanismi di brutalità che hanno caratterizzato gli universi concentrazionari del XX secolo si è rivelata solo grazie alle testimonianze soggettive delle vittime di quel sistema. Tralasciando il mondo dei lager nazisti e limitando l'osservazione al solo universo sovietico, i due grandi riferimenti restano "Arcipelago gulag" di Alexander Solzenicyn ed "I racconti di Kolima" di Varlam Salamov. Sicuramente più completi dal punto di vista storico e soprattutto in Salamov, intrisi di annotazioni, informazioni, pervasi da una triste poesia e liricità.
Ciò che appare evidente a chi abbia confrontato le logiche dei lager nazisti e dei gulag sovietici è la diversità dell'universo recluso. Nei campi di concentramento e di sterminio nazisti finirono precise categorie di persone: ebrei, omosessuali, zingari, nemici politici. A questa lucidità di scelta si contrappone invece la follia sovietica: nei campi di lavoro poteva finire chiunque, intere categorie di persone, compresi gli alti esponenti del partito. Era sufficiente una semplice delazione, un sospetto di attività "controrivoluzionaria", una incauta conversazione, il far parte di una categoria interessata alle ricorrenti e illogiche "purghe".
Ivan Cistjakov, autore di questo "Diario di un guardiano del gulag", è perfettamente consapevole di quanto sia labile il confine tra l'essere da una parte o dall'altra del filo spinato.
Viene (forse forzatamente) arruolato nelle truppe destinate a presidiare il BAMmlag, un lager in Siberia, dove migliaia di detenuti dovevano costruire la ferrovia Bajkal-Amur. Comandante di un plotone di sorveglianza, tiene un diario - con un rischio personale gravissimo - per un periodo che va dal 1934 al 1936.
È un diario monotono e pesante, in piena sintonia con la sua vita in Siberia: Cistjakov, probabilmente un ingegnere, lamenta il suo destino di moscovita strappato dalla sua città e spedito in un campo siberiano, al freddo, in mezzo alle cimici e al cibo scarso e pessimo. Il mondo del BAMlag era popolato da circa 170 mila prigionieri, trattati peggio delle bestie, alloggiati in baracche senza riscaldamento, con abiti non certo adatti al luogo, a volte senza scarpe, con temperature che in inverno potevano scendere sotto i 50 gradi. Lavoravano dalle 16 alle 18 ore al giorno: un massacro che falcidiava le persone più deboli, ma il ricambio umano non era certo un problema.
Cistjakov è testimone di questo universo, pieno di umanità e di ambiguità. Tipico rappresentante della "zona grigia" non era certo un bolscevico entusiasta ma neanche un anticomunista. Leale cittadino sovietico, anche se non pieno di ortodossia, osserva la realtà che lo circonda con insofferenza e con paura. È pieno di pietà per i reclusi e di autocommiserazione per sé stesso. Lo scuote la miseria della vita dei prigionieri e non può non vedere le perversioni del sistema e l'inutilità delle sofferenze.
Medita di farsi arrestare o di uccidersi: entrambi una fuga da quel mondo insensato. Ma desiste: sogna il ritorno alla sua vita di Mosca, alle banali azioni quotidiane, ai rumori del tram, a quelle attività di ogni giorno che dal confine del mondo nel quale era relegato gli sembravano piene di una sconvolgente bellezza e nostalgia.
Non si ribella: nostalgia, collera, vergogna pervadono tutte le pagine del diario, la valvola di sicurezza, il segreto capace di tenerlo comunque in vita.
Diario che resta l'unica testimonianza diretta del gulag, sola voce di un responsabile del suo funzionamento.
«non si ha un obiettivo comune, non si è motivati, perché tutta l'organizzazione della VOCHR è non si sa cosa. Non si sa cosa si deve fare, né come farlo, né perché si fa. Un giorno vi danno ragione in tutto, l'indomani vi danno torto per aver fatto esattamente la stessa cosa».
Ivan Cistjakov, dopo questa esperienza, fu arrestato nel 1937, inviato al fronte e ucciso nella provincia di Tulsa nel 1941.
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