Sopra a sinistra: Friedrich Wilhelm Nietzsche (Roken 1844 - Weimar 1900): filosofo, poeta, compositore e filologo tedesco, a destra: Robert Reininger, "Nietsche e il senso della vita"
Sotto a sinistra: frontespizio dell'inserto culturale "L'angolo", con l'articolo "Omaggio a Julius Evola", a destra: Daniel Halévy, "Vita eroica di Nietsche"
I recenti esami di Stato conclusivi dell'anno scolastico 2012-2013, mi hanno visto impegnato come presidente di commissione presso il Liceo Scientifico Euclide di Cagliari.
Tra le discipline oggetto d'esame, oltre Scienze, Matematica, Fisica, Inglese, Italiano e Storia, vi era anche Filosofia. Non ho potuto fare a meno di pensare al mio esame di maturità scientifica al liceo Pacinotti, anno 1974 (40 anni fa!). Anche in quel caso, con mia grande soddisfazione trattandosi di una disciplina a me particolarmente congeniale, vi era Filosofia tra le materie da presentare al colloquio.
Oggi il programma del quinto anno non è sostanzialmente cambiato rispetto al passato ed è sempre molto accattivante: Schopenhauer, Kierkegaard, Fichte, Nietzsche... erano filosofi che "inseguivo" con grande motivazione anche se nei giorni appena precedenti un dubbio mi assillava: se il commissario di filosofia mi chiede di scegliere un autore a piacere opto per i "neutri" Schopenhauer e Fichte o per il più compromettente Nietzsche?
In quegli anni manifestare apprezzamento per il filosofo sassone era un'operazione non priva di rischi, sopratutto in sede d'esame. Era come dichiarare esplicitamente di essere estremisti di destra. Il dubbio durò pochi giorni: era noto a tutti che ero di destra e dunque non aveva molto senso operare scelte strategiche, quasi certamente il commissario interno (all'epoca era uno solo e nel caso specifico non era certo di destra) avrebbe rivelato il mio orientamento al resto della commissione.
Fui sollevato da questa scelta perché mi parve coerente e coraggiosa come tutte quelle che i ragazzi di destra dovevano operare in quegli anni. Sostenni il
colloquio con un commissario, anzi una commissaria, molto preparata, per niente prevenuta e molto curiosa di conoscere le mie riflessioni su "Nietzsche filosofo della vita". I punti di vista che esplicitai nel corso del colloquio derivavano sopratutto dal fatto che nel 1973 avevo terminato una lettura che si rivelò fondamentale: "Nietzsche e il senso della vita" di Robert Reininger (Edizioni Volpe, traduzione dal tedesco di Julius Evola).
A consigliarmela l'anno prima era stato Evola in persona, che ebbi la fortuna di incontrare nella sua casa romana in compagnia di alcuni amici della sede capitolina del Msi di Via Sommacampagna. "Nocchiero" dell'incontro romano fu uno studioso emergente, autore dell'unica biografia autorizzata di Julius Evola e di molti altri studi a carattere storico e filosofico, ovvero Adriano Romualdi, che un mese dopo, ad appena 32 anni, morì in un incidente stradale.
L'anno precedente, nel corso di una riunione presso la federazione torinese del Msi in corso Francia, avevo conosciuto Armando Plebe: ricordo che lo tempestai di domande alle quale lui rispose sempre con molto garbo e pazienza.
Pensavo di fare altrettanto con Evola, ma non fu così, l'uomo era di tutt'altra pasta, il suo sguardo magnetico mi aveva letteralmente ipnotizzato, non riuscii a proferire una sillaba e mi "accontentai" di ascoltare.
Evola sottolineò il concetto di "superamento continuo" presente in tutta l'opera di Nietzsche, paragonato «
ad una fiamma che avanza e che nulla lascia dietro di sé», citò alcuni passi di "Così parlò Zarathustra", dove un discepolo si rivolge a Zarathustra: «
questa è la cosa più imperdonabile in te; hai il potere e non vuoi governare. Io risposi (Zarathustra, n.d.s.)
: mi manca la voce del leone per comandare [...]. Oh Zarathustra, tu devi camminare come un'ombra di ciò che verrà: così comanderai, e comandando procederai in testa a tutti. Io risposi: mi vergogno. Allora qualcosa parlò di nuovo a me senza voce: tu devi ancora diventare fanciullo, e non vergognarti. Su di te aleggia ancora l'orgoglio della giovinezza, e sei diventato giovane tardi. Ma chi vuole diventare fanciullo deve anche superare la propria giovinezza».
In quel tempo, avevo un'idea alquanto larvale sul significato del "diventare fanciullo", che per Nietzsche rappresentava l'ultima metamorfosi verso il superuomo! Entusiasta, dopo l'incontro romano, nell'estate del '73 scrissi per "Gioventù Nazionale" (anno VI, n. 1) "Omaggio a Julius Evola" inaugurando un nuovo inserto culturale che fu battezzato "L'angolo".
L'esperienza odierna al liceo Euclide è stata rivelatrice di tanti aspetti interessanti, primo fra tutti il mutato atteggiamento da parte di docenti e studenti sull'opera di Nietzsche. Tanti ragazzi hanno infatti scelto di parlare del filosofo di Röcken e del "superuomo", o dell'oltre-uomo secondo la definizione di molti studiosi contemporanei.
I ragazzi hanno evidenziato, con cognizione, il significato delle "tre metamorfosi" che Nietzsche enuncia attraverso le profezie di Zarathustra, rappresentate dalla fase del "cammello", del "leone" e del "fanciullo", che conferiscono al superuomo una connotazione estremamente interessante: la predisposizione individuale non è sufficiente, è il percorso mosso dalla "volontà di potenza" che forgia l'uomo oltre l'uomo.
Il "cammello" vuol significare un tragitto impervio attraverso il deserto, reso ancora più difficile dalla solitudine perché «
l'uomo non ha più Dio in quanto Dio è morto!». La fase del "leone" è interlocutoria ed è caratterizzata da consapevolezza e determinazione e prelude a quella del "fanciullo", che rappresenta la liberazione da ogni schiavitù. Come un fanciullo che ancora non ha subito i condizionamenti della morale dominante, così "l'oltre uomo", consapevole di ciò che ha realizzato, è in grado di operare il superamento decisivo e di «
prendere il mondo sulle sue spalle».
In "La nascita della tragedia" (1871), Nietzsche aveva spiegato l'arte e la vita nella Grecia antica: la componente serena e armonica, rappresentata dal dio Apollo domina l'arte plastica, mentre lo "spirito dionisiaco" è insito nella componente passionale, dolorosa e inebriante che domina nella musica.
Le due componenti per Nietzsche non sono solo in contrapposizione ma in rapporto di reciproca trasfigurazione e integrazione.
«
La vita non potrà mai essere caratterizzata da un'etica edonistica (e neppure eudemonistica), il dolore è una costante, ma è la mancanza di
significato della vita e non il dolore che ha gravato come una maledizione sull'umanità, solo l'ideale ascetico ha ridato un senso alla vita».
In pochi altri autori il vissuto personale è così determinante nel delineare la costruzione e l'evolversi delle proprie teorie filosofiche come lo è stato per Nietzsche.
Quando nel 1974 "Il Borghese" pubblicò "Vita eroica di Nietzsche" di Daniel Halévy, lo acquistai divorandolo d'un fiato e compresi grazie a quelle pagine quanto Nietzsche fosse diverso dall'idea che mi ero fatto leggendo i suoi scritti.
Ciò che quella biografia mi rivelò fu la figura di un uomo votato alla solitudine, che anelava a un cenacolo di amici per dissertare di argomenti elevati; che distrusse la morale esistente perché la riteneva falsa ma che fino all'ultimo ha sofferto del vuoto derivato da questa distruzione cercando, fino alla follia, un surrogato idoneo alle regole morali che aveva disintegrato.
Un uomo che aveva lodato la guerra del 1870-'71 perché a suo parere era stata in grado di dare una spallata all'insipienza spirituale di quegli anni, ma che si era poi reso conto che la Germania nata dalle rovine di quel conflitto non era stata in grado di generare una Cultura degna di tale nome (cosa direbbe dei conflitti odierni?).
Un uomo estasiato da Wagner, che poi, pur continuando ad amarlo artisticamente, ha dovuto abbandonarlo per non rischiare di perdere per sempre la sua libertà.