La carriera politica e il ritorno alla vita civile.
Rimpatriato alla conclusione delle operazioni con una Medaglia d'Oro al Valor Militare, tornò alla vita civile per breve tempo, riprendendo gli studi universitari.
La sua quiete durò poco: nell'agosto 1940 fu nominato segretario federale di Enna, carica che gli garantì un seggio alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Nel settembre 1941, lasciato per ordine superiore l'incarico di Enna, fu nominato segretario nazionale dei Gruppi Universitari Fascisti. I Guf e in genere i giovani della nuova generazione fascista premevano da tempo su giornali e riviste per un rinnovo della struttura gerarchica fascista e alla fine Mussolini cedette: nell'opinione pubblica cresceva l'insofferenza verso i vertici politici e militari, soprattutto per le pessime prove che avevano dato i vertici militari in Grecia e in Libia.
Il 26 dicembre 1941 Mussolini decise la nomina di Vidussoni a segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista tra la sorpresa generale. Era quasi sconosciuto al pubblico, mentre era noto tra i vertici fascisti perché già faceva parte del direttorio del partito. Divenne quindi Ministro del Regno in quanto segretario del Pnf, carica che gli consentiva la partecipazione alle riunioni del Consiglio dei Ministri.
Da quel momento per il ventisettenne Aldo Vidussoni iniziò il vero tormento della sua vita. Prima ancora di compiere alcun atto fu preso di mira per le gelosie dei gerarchi fascisti, che temevano un imminente repulisti generale. Divenne oggetto di maldicenze velenose.
Galeazzo Ciano, che inizialmente lo supportò, ben presto si allineò col gruppo degli esponenti fascisti, tronfi del loro passato squadrista che gli garantiva la permanenza ai vertici dello Stato. Ciano dapprima registrò nel suo diario le frecciate di «
quelle vecchie puttane», cioè dei gerarchi aggrappati al potere, poi anche lui si adeguò: «
Sembra che adesso il moto del Partito sia diventato da Libro e Moschetto a Libro e Maschietto», riferendosi alla composizione giovanile del nuovo direttorio del Pnf.
Eppure la protesta dei giovani fascisti non si attenuava e non aveva alcun carattere antifascista, né ipocritamente velato né sostanzialmente scorretto. Dicevano semplicemente la verità sulla incredibile corruzione che dilagava ovunque, sulla inadeguatezza dei vertici militari, sulla suicida propaganda nazionale che continuava a parlare della "guerra fascista" e non di "guerra italiana".
Finché non intervenne lo stesso Pavolini, all'epoca Ministro della Cultura Popolare, ordinando ai mezzi d'informazione di spiegare alla gente che si trattava soltanto della "guerra italiana". Tra i giovani in fermento vi erano diversi personaggi che nel dopoguerra diventeranno influenti intellettuali.
Di questo fenomeno giovanile, che per sincera devozione non prese mai di mira Mussolini, si parlò a lungo e pubblicamente in Italia, su riviste universitarie e addirittura su giornali quotidiani. Per i giovani e per la stragrande maggioranza degli Italiani nel 1942 e nei primi mesi del 1943 il Duce era ancora considerato come l'unico capace di governare l'Italia e l'unico in grado di portare la nazione fuori dalla guerra.
Mussolini impose che Vidussoni fosse affiancato, oltre che da esperti fascisti emergenti, da alcuni promettenti giovani, nella speranza che portassero a un radicale rinnovamento del partito, con primo obiettivo quello di contrastare la "vecchia guardia", che con crescente intransigenza se la prendeva con gli aristocratici e con la borghesia perché, secondo i gerarchi, rappresentavano gli strati sociali che frenavano o persino contrastavano lo sforzo bellico italiano. Erano accuse assurde e ingenerose, con decine di migliaia di giovani aristocratici e borghesi che cadevano su tutti i fronti.
Obbligò Carlo Scorza, successore di Vidussoni da aprile 1943, a prendere pubblica posizione contro tali accuse. Vidussoni ebbe quindi nel direttorio quale vice segretario il vecchio capo squadrista di Lucca, Carlo Scorza, Fernando Mezzasoma, già vice segretario nazionale dei Guf, Augusto Venturi, che era tra i migliori sindacalisti fascisti, Ennio Barberini, ex comandante della II Legione libica, Mario Farnesi e Carlo Ravasio, verso il quale nutriva ampie speranze, l'unico di cui veramente si fidasse tra i vecchi fascisti.
Certamente fu Vidussoni quello che nel corso della sua vita, più di altri esponenti fascisti, girò per il mondo. Da giovanissimo fu in Somalia, Abissinia e Spagna. Da Segretario del Pnf accompagnò Mussolini nel viaggio in Libia e in terra d'Egitto durante la sosta che il capo vi fece in attesa dello sfondamento di El Alamein. Da lì accompagnò in aereo il Duce verso la Grecia per rendere onore ai caduti italiani di quella campagna. Poi nel settembre 1942 fu a Millerovo, una cittadina all'epoca russa e oggi in territorio Ucraino, nella zona di Zaporizhzhia, con capoluogo Rostov sul Don, in visita alle truppe italiane. Lì prese appunti per Mussolini, descrivendo le atrocità, che gli riferivano i soldati italiani, compiute dai soldati tedeschi sulla popolazione di origine ebraica con l'ausilio delle formazioni Waffen-SS ucraine.
A Minsk scrisse di aver visto «
ammassata la roba di migliaia e migliaia di Ebrei ammazzati». Riferiva anche che «
intere città [...] hanno avuto ridotta anche di un terzo e della metà la popolazione, specialmente per l'eliminazione degli Ebrei».
Il 7 ottobre 1942 partì in aereo per Vinnycja in Ucraina, in visita al quartier generale di Adolf Hitler. L'incontro avvenne in un clima di reciproco rispetto con il Fuhrer tedesco, con il Capo di Stato Maggiore Generale Maresciallo Wilhelm Keitel e con Martin Bormann, capo della Segreteria del Nsdap. Riprese quindi il volo verso Monaco di Baviera, da dove rientrò in Italia.
La sostituzione di Vidussoni fu giustificata dal capo del governo col fatto che il segretario del Pnf non era riuscito a contenere gli scioperi operai e contadini del febbraio-marzo 1943. Tutti i gerarchi capivano che si trattava di una motivazione irreale, perché era stato lo stesso Mussolini, che era rimasto il socialista di sempre, a dare ordini rigorosi alle forze di polizia perché la repressione fosse esercitata senza violenze.
Ci furono infatti pochi arresti nell'Italia del Nord, mentre le sentenze giudiziarie rimandavano liberi i pochi inquisiti. Per quanto agli scioperi delle donne che lavoravano nelle campagne, non si hanno notizie di arresti nei loro confronti. La vera ragione della sua estromissione fu che Mussolini si era accorto che stava perdendo la fiducia della "vecchia guardia", fiducia che non poteva perdere. Doveva inoltre stemperare le violente proteste dei gerarchi, che chiedevano con insistenza un cambio radicale della struttura dei vertici dello Stato e delle Forze Armate. Per contenere gli scioperi, anzi, il Duce ordinò ai sindacalisti fascisti di recarsi nelle fabbriche del Piemonte, della Liguria e della Lombardia per contenere le proteste e, soprattutto, per capirne le reali motivazioni, che dai rapporti che ricevette risultarono esclusivamente di carattere economico.
La motivazione politica dell'allontanamento di Vidussoni risultava ancora più infondata perché si sapeva che Mussolini, sempre dalla parte dei "proletari", era entrato in vivo contrasto con il Ministro delle Finanze Giacomo Acerbo, con Alberto de' Stefani, presidente dell'Istituto Poligrafico dello Stato, e col Sottosegretario alle Finanze Pietro Lissia, che impedirono a Mussolini di adottare maggiori provvedimenti di sostegno monetario alle industrie affinché aumentassero le retribuzioni per permettere agli operai di fronteggiare il carovita dovuto alla guerra, pena lo scatenarsi di una inflazione che ritenevano impossibile da fronteggiare.
Nell'Archivio di Stato è conservato in decine di pagine un lunghissimo resoconto stenografico del rapporto-dibattito tenuto da Giuseppe Landi, presidente della Confederazione Sindacale Fascista dei Lavoratori dell'Industria ai dirigenti sindacali di Milano il 1º aprile 1943, durante il quale furono analizzate tutte le misure già adottate in termini economici e alimentari per sostenere i bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie, che si conclude così: «
Voi ricordate che tutte le segnalazioni che vengono fatte a me, persona fisica Giuseppe Landi, dopo un quanto d'ora possono essere sul tavolo di Albini, di Cianetti, di Vidussoni e se vedo che le cose non hanno esito vado ancora più su. Saluto al Duce!».
Tornato nelle vesti civili, Vidussoni riprese gli studi universitari e si laureò a Trieste nella sessione estiva del 1943 in Scienze economiche e commerciali. Costituitasi la Rsi, vi aderì lavorando come impiegato in una famosa agenzia di assicurazioni. In seguito, su direttiva di Mussolini, fu nominato presidente nazionale del "Nastro Azzurro", accedendo di diritto al direttorio del Pfr. Ma resistette poco al richiamo militare, perché nel febbraio 1945 si arruolò volontario e venne assegnato col grado di capitano al 1º Battaglione della Divisione di artiglieria Etna. Catturato dagli Alleati, fu rinchiuso nel famigerato campo di concentramento di Coltano (Pisa). Nel dopoguerra cominciarono per lui nuove tribolazioni: il 9 settembre 1945 l'alto commissario per le sanzioni contro i fascisti emise l'ordine di arresto, con due accuse a dir poco ridicole: di aver «
rafforzato con la sua attività il partito fascista e le organizzazioni da esso dipendenti» e perché aveva «
collaborato col tedesco invasore ricoprendo nello pseudo governo repubblicano fascista la carica di membro del direttorio nazionale del Pfr». Insomma nessun vero addebito, se non quello di aver servito lo Stato.
Fu detenuto per breve tempo nel penitenziario di Procida e le sentenze della Prima Sezione Speciale della Corte di Assise di Roma lo condannò a 14 anni di reclusione, mentre venne prosciolto dall'accusa di collaborazionismo per la sopravvenuta amnistia di Togliatti. Tuttavia, e finalmente, la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Riunite, il 18 gennaio 1947 decise l'annullamento totale senza rinvio della condanna.
Considerato il clima che ancora imperversava nel nord d'Italia, Aldo Vidussoni decise infine di trasferirsi a Cagliari, città che non aveva conosciuto gli orrori della guerra civile, ove fu accolto benevolmente, senza che mai alcuno gli avesse dimostrato avversione politica.
Ricominciò a lavorare in una agenzia assicurativa, mettendo in piedi una famiglia che visse nel decoro e nel rispetto della gente. Se ne andò da questo mondo il 30 novembre 1982. Riposa in pace nel Cimitero di San Michele Arcangelo, in un pezzo di terra prossimo al Sacrario Militare dove giacciono tanti soldati italiani, tedeschi, britannici e statunitensi. Nella lapide è scolpito semplicemente il suo nome e cognome, data di nascita e di morte e, orgogliosamente, l'unica scritta: «
Medaglia d'Oro al Valor Militare».
Riferimenti bibliografici:
- Renzo De Felice, Volume 7, "Mussolini e il fascismo. Crisi e agonia del regime 1940-1943", Edizione speciale per Mondadori Media, Torino 2022;
- Enciclopedia Treccani, che gli ha dedicato ben dieci pagine di biografia;
- Archivio Centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, carteggio riservato;
- Gruppo Medaglie d'Oro al Valore Militare, "Le Medaglie d'Oro al Valore Militare. Volume I 1929-1941" (pag. 242), Tipografia regionale, Roma, 1965;
- Wikipedia, Aldo Vidussoni, una scarsa biografia;
- Wikiquote, citazioni su Aldo Vidussoni;
- Wikimedia Commons, immagini e file su Aldo Vidussoni.