La lettura di questo libro nasce da una specie di sfida: poco tempo fa, in una intervista radiofonica, l'autore e i suoi libri sono stati presentati come ostici, difficili, poco letti, ma di notevole interesse.
L'acquisto del libro e la lettura sono diventati un passo obbligato. E in effetti avevano ragione: la lettura non è molto agevole, l'estrazione culturale dell'autore è molto evidente, ma è comunque un libro di grande interesse e parecchio stimolante.
Andrea Graziosi è titolare della cattedra di Storia Contemporanea nell'Università Federico II di Napoli ed è uno dei maggiori esperti di storia sovietica, ucraina e dell'Europa orientale.
Il suo "Occidenti e modernità. Vedere un mondo nuovo" affronta la questione cruciale della fine di un'epoca storica, la nostra.
L'epoca in crisi si è aperta nel 1946 con la formazione dell'alleanza tra Stati Uniti (considerati ancora culturalmente ed etnicamente europei), l'Europa occidentale, il Canada, che avevano dato origine all'"Occidente" contemporaneo. Per Graziosi l'Occidente è una categoria intellettuale che può quindi modificarsi sia dal punto di vista storico che geografico.
Egli cerca di comprendere le cause e le conseguenze della crisi della civiltà occidentale e di porla in relazione con il nuovo mondo, che è cresciuto sia dentro i suoi confini che al di fuori.
Solo partendo da tale comprensione si possono ipotizzare azioni per far nascere un nuovo Occidente nel quale possano essere ancora garantiti il massimo possibile di libertà e dignità umana.
Gli strumenti fondamentali da utilizzare in questo percorso sono la ragione e i princìpi morali, i soli in grado di farci costruire un mondo libero e giusto.
Graziosi rifiuta la definizione standard di società capitalistica o marxista: egli utilizza la categoria ideologica del "Moderno", cioè il prodotto in continua evoluzione del veloce cambiamento avviatosi nell'Europa centro-occidentale circa quattro secoli fa.
Pur fra tante contraddizioni, esso ha permesso la crescita della libertà degli individui (anche se in modi diversi) e si è identificato con il progresso, base del nostro concetto di miglioramento continuo.
Dopo questa premessa Graziosi distingue la storia del "Moderno", suddividendola in "Moderno occidentale" (dal XVIII secolo alla prima metà del Novecento), "Moderno minore" (sorto con la Rivoluzione russa del 1917 ed esauritosi con il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991), un "Moderno maggiore" (avviatosi nel 1946 ed esauritosi nel 1975, alla fine dei "trent'anni gloriosi") e infine un "Moderno maggiore maturo", cioè l'attuale fase storica regolata dal paradigma neoliberista.
Per ognuna di queste fasi l'autore identifica e discute quelle che sono le caratteristiche distintive.
Analizzando il cosiddetto "Moderno maggiore", sono illustrati i fattori che hanno reso possibile quell'inimitabile ciclo di grazia e di prosperità: essi sono legati al boom demografico, con il calo della mortalità infantile, il conseguente aumento dei giovani e della loro energia diffusa nella società.
Ciò ha consentito una rapida crescita economica (secondo fattore) accompagnata da una grande mobilità umana dalle campagne alle città; infine un veloce aumento dell'industrializzazione, dell'urbanizzazione, dell'istruzione: elementi che hanno consentito una vivace produzione ideologica in uno scenario che vedeva il predominio dell'Europa e dell'Occidente sul resto del mondo.
Questi fattori hanno contribuito a creare l'epoca d'oro della crescita, i "trent'anni gloriosi", fino al 1975.
Ma questo periodo delle aspettative crescenti è ormai tramontato e il futuro garantito, gli aumenti di stipendio quasi automatici, la pensione certa non sono più l'orizzonte stabile del florido Occidente.
Già dagli anni Ottanta in poi le prospettive sono cambiate, fino ad arrivare alla profonda crisi del 2008 che ha scosso le fondamenta di ogni certezza.
Si sono lentamente sgretolate le condizioni privilegiate che hanno reso possibile lo splendore di quegli anni: il declino demografico, l'allungamento della speranza di vita e quindi l'invecchiamento medio della popolazione. Il vigore giovanile del "Moderno maggiore" ha lasciato il posto a una generazione stanca, con minor pulsione vitale, senza propensione al nuovo assoluto. Siamo più preoccupati di tenerci dentro i privilegi del passato piuttosto che "addentare" il futuro.
La tesi centrale di Graziosi è che il motore principale della crisi del "Moderno maggiore maturo" è quella demografica, a sua volta il risultato dei comportamenti e quindi delle preferenze dei suoi abitanti. Queste preferenze, sia psicologiche che intellettuali, in un contesto di accresciuto benessere, libertà e istruzione, hanno in pochi anni ribaltato l'andamento demografico delle società occidentali di pelle bianca.
Questa tendenza naturale che lega il benessere al desiderio di non allargare il numero dei familiari diventa la scelta razionale di una società nella quale il benessere trascina la sterilità e il desiderio di elevarsi socialmente trasforma la famiglia numerosa in una zavorra.
Il calo della fecondità sotto il livello di riproduzione di 2,2 figli per donna fertile, accompagnato da un crollo della mortalità infantile e un aumento della speranza di vita (circa 55 anni nel 1945 e più di 80 nei nostri anni), ha colpito in modo particolare l'Europa, ma investe tutto il mondo: la crescita della popolazione mondiale, che nel 1977 era dell'1,8%, ora è di circa l'1%.
La denatalità dell'Occidente ha origini lontane: già nel 1936 Stati Uniti e Canada avevano il livello minimo di 2,2 figli per donna fertile; indice che risale al 3,8 dopo la guerra per poi riscendere a 2,2 già nel 1972.
La discesa demografica del blocco socialista ha toni ancora più drammatici, accentuata dagli aborti che nell'Urss dagli anni Sessanta agli anni Ottanta erano quasi il doppio delle nascite.
La struttura della società sta mutando rapidamente: oggi in Italia, ad esempio, i minori di 18 anni sono il 17,8% della popolazione, mentre più del 23% ha più di 65 anni e il 12% oltre 75 anni.
Siamo quindi in un'epoca nella quale i diritti acquisiti, sia economici che sociali, vanno continuamente sottoposti a una verifica contabile.
È una rivoluzione quella delle aspettative decrescenti, con la creazione di un "bacino reazionario" che rifiuta le dure ragioni dei costi economici, creando quindi una serie di contraddizioni esplosive tra le promesse (esplicite o sottintese) e la realtà di uno stato sociale il cui livello non può più essere sostenuto.
L'esempio del reddito di cittadinanza in Italia illustra perfettamente questa realtà.
La democrazia non può certo operare sulla natalità con aggiustamento dei conti, come fa con la finanza, né può comportarsi come regimi totalitari (la Cina di Deng) agendo sulle scelte individuali con una pressione incompatibile con i princìpi di libertà.
Questa considerazione spinge Graziosi a chiedersi se la liberaldemocrazia, che pensavamo trionfante con "La fine della storia" di Francis Fukuyama più di trent'anni fa, non sia invece una parentesi stagionale destinata a lasciare il posto a qualcosa di diverso.
L'autore ritiene che sia necessaria una rigenerazione della liberaldemocrazia, che deve:
- abbandonare un moralismo che spesso assume toni sprezzanti e paternalistici verso una popolazione ferita dai veloci cambiamenti e dallo sfumare di diritti che sembravano ormai acquisiti;
- rinunciare a una parareligione di diritti collocati fuori dalla storia e riconoscerne di nuovi solo se sostenibili e moralmente condivisibili;
- abbandonare l'ideologia del "merito" e sostituirla con quella dei "talenti", della loro promozione e sottolineando i doveri che li devono accompagnare;
- accantonare un discorso delle pari opportunità basato su diritti collettivi delle varie minoranze;
- rinunciare a piani vincolanti a favore di ragionamenti aperti sul futuro;
- abbandonare ogni visione apocalittica e antiscientifica, perché solo la conoscenza e il progresso tecnico ci possono aiutare a fronteggiare i problemi creati dallo sviluppo.
Il calo demografico è un punto cruciale nell'opera di Graziosi. Poiché è impensabile ricorrere ad azioni coercitive per invertire tale tendenza, egli sottolinea gli esempi virtuosi di intervento statale tipo quello francese (che comincia addirittura nel 1939 con il "Code de famille" di Édouard Daladier), cioè con politiche stimolanti verso famiglie con figli per permettere alla fecondità affettiva di avvicinare quella desiderata (2-3 figli per donna fertile), ipotizzando addirittura un diverso "peso" nel voto elettorale di famiglie con figli.
Altro punto legato alla denatalità è ovviamente quello dell'immigrazione, quindi del riequilibrio della popolazione, che vede da un lato il calo demografico e dall'altra la forte pressione migratoria. Nel mondo si contano 280 milioni di migranti e oltre 26 milioni di rifugiati. Ciò significa che siamo in presenza di una forte pressione per un cambiamento di popolazioni una volta omogenee e ora destinate a essere plurali. Pressione che si manifesta su società anziane e quindi avverse o timorose del cambiamento.
Egli sostiene che - poiché questo fenomeno non può essere arginato - dovrebbe essere adottata una politica intelligente di apertura all'immigrazione, attraverso un'agenzia nazionale di alto livello (coordinata con un'analoga organizzazione europea) in grado di gestire quantità e composizione dell'immigrazione (in base a criteri quali: necessità, competenze, "distanza" culturale e individuale), con condizioni, diritti e integrazione graduati fino all'eccesso alla cittadinanza e ai suoi benefici sociali.
Occorre accogliere oggi l'energia disponibile e farlo in modo intelligente, riducendo le tensioni e massimizzando i potenziali benefici.
Occorre ricordare in proposito che nei prossimi 20 anni paesi come Italia, Germania, Giappone e Corea del Sud senza immigrazione sarebbero destinate ad avere un calo della popolazione in età lavorativa pari al 20-30%.
Nelle grandi linee ipotizzate da Graziosi mi preme sottolineare due punti.
La sua notevole conoscenza del mondo sovietico e delle sue catastrofi lo spinge a diffidare dei piani. Un piano è la pretesa di fare previsioni sul medio o lungo periodo per un'intera società, immaginando di sapere cosa sarà meglio per il futuro, ma soprattutto di farlo in modo rigido e vincolante. La definisce una "ricetta per la catastrofe", poiché la rigidità degli obiettivi crea la necessità di adattarsi a essi, con una menzogna che diviene sistematica.
Egli teme che anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sia un piano di questo tipo, non basato su pochi e grandi progetti, ma da obiettivi troppo precisi spesso influenzati dall'ideologia (le famose "quote"). Tutto ciò sulla base dell'idea che in pochi anni il mondo non cambi e quindi non cambino le priorità stabilite.
Il covid e Putin hanno rapidamente smentito questa illusione.
Una delle quote del Pnrr è quella "green" che nasce anche dal mito della natura, con un discorso "verde" impregnato di componenti antiscientifiche.
È utopistico e moralmente inaccettabile che noi, dopo aver tagliato foreste (le nostre e quelle degli altri) e aver a volte causato disastri ecologici per consentire il nostro sviluppo, pretendiamo di elaborare standard di comportamento a chi non ha il nostro livello di benessere e lo vuole raggiungere. Reprimere queste aspirazioni sarebbe ingiusto, ma soprattutto impossibile.
Dobbiamo accettare che il "resto del mondo" che persegue questo sviluppo sia libero di farlo, anche se questi comportamenti sono la causa principale degli attuali e futuri problemi ecologici.
L'unica strada percorribile è quella indicata dalla ragione. Se il problema del riscaldamento richiede una risposta improcrastinabile, è meglio ricorrere ai migliori rimedi esistenti anche se parziali, abbandonando illusioni inutili.
Solo il progresso tecnico-scientifico può soccorrerci e la storia del nucleare è esemplare.
Il nucleare non è la soluzione perfetta, ma è l'unica fonte di energia disponibile che non aggrava il riscaldamento globale e libera qualunque paese dai ricatti altrui (da Putin e da altri così fortunati da controllare grandi giacimenti fossili).
«
Continuare a combattere l'atomo in nome di ideologie illusorie è privo di senso, come sarebbe privo di senso non abbandonarlo quando la scienza sarà in grado di offrirci delle opzioni migliori».
Abbandonare quindi i discorsi di rifiuto e chiusura e cercare invece di mobilitare le energie che esistono, individuare nuove e più convincenti soluzioni e sfruttare le opportunità che di continuo si producono.
Quello di Graziosi non è il solo discorso un po' pessimista e un po' speranzoso sul nostro presente, ma soprattutto sul nostro futuro, ed è - anche per lui - una sorta di appello affinché le energie e le idee nascoste vengano alla luce: discorso rivolto soprattutto alle nuove generazioni.
Fedor Dostoevskij ne "L'adolescente" scrive: «
L'epoca attuale è il tempo della mediocrità aurea e dell'insensibilità, della passione per l'ignoranza, della pigrizia, dell'incapacità al lavoro e dell'aspirazione a trovare tutto bell'e pronto [...]. Nessuno pensa: di rado si trova qualcuno che concepisce un'idea».
Questo lo scriveva nel 1875, ma se lo avesse scritto nel 2023 sarebbe stato ugualmente perfetto.