Antonio Pigliaru
Antonio Pigliaru, chi è costui? Per la destra uno sconosciuto, anche se, come vedremo, un qualche motivo per averlo conosciuto e per conoscerlo ancora c'è. La sinistra, o le sinistre, invece, dopo averlo conosciuto, ammirato e osannato per decenni, progressivamente se ne sono staccate, ne hanno stroncato il pensiero e infine per il trentennale della sua morte lo hanno ignorato completamente. A dire il vero la cultura di sinistra incominciò a prendere le distanze a partire dal ventennale della sua morte, nel 1989, che pure fu ampiamente celebrato. Ecco cosa scrisse, per esempio, Federico Francioni sul numero unico della rivista "Ichnusa" dedicato proprio a Pigliaru: «
Non si può dimenticare che Pigliaru si mantenne sempre fedele al pensiero di Gentile. A questo - è bene precisarlo o ribadirlo - il filosofo sardo pervenne dopo aver maturato la sua rottura col fascismo. È opportuno che la ricerca storiografica faccia piena luce a un tempo sulla Sardegna del 1943-'45 e sulle concrete vicende che portarono Pigliaru in carcere [...]. È necessario, insomma, sottrarre la parabola del giovane Pigliaru "fascista" alla rimozione, ai "si dice", alla sfera dei gelosi ricordi personali [...]. Una cosa è certa: sul piano eminentemente storico e speculativo, il più importante intellettuale sardo di questo dopoguerra ha fatto proprio un pensiero morto». Francioni non fa altro che sviluppare una condanna già espressa in un convegno svoltosi a Nuoro nel '79 sul tema "Realtà, impegno, progetto di Antonio Pigliaru" da Domenico Corradini: «
La filosofia geniliana resta quella che è e fu, e parlare di un Gentile filosofo della libertà e della democrazia sarebbe come attraversare il Mar dei Sargassi facendo finta che sia un mare comune».
Ma perché il "Gentilismo" di Pigliaru dà tanto fastidio? Ce lo spiega lo stesso Francioni, sempre sulla rivista "Ichnusa": «
Le recenti opere di Augusto del Noce e di Salvatore Natoli intendono esplicitamente promuovere in Italia un rilancio del pensiero gentiliano, una rinascenza che si affiancherebbe così, in qualche modo, alle fortune incontrate da Nietzsche e da Heidegger. È possibile che tale disegno trovi un terreno favorevole nella crisi di un marxismo - quello prodotto dalla cultura della sinistra tradizionale».
Pigliaru nasce a Orune nel 1922, ha una infanzia non felice, è orfano di padre morto suicida. Non aveva conseguito ancora la licenza liceale che in via eccezionale fu ammesso a partecipare ai littoriali della cultura e dell'arte che si tennero a Bologna nel 1940.
Così racconta il suo amico e camerata di quei tempi, l'avvocato sassarese Giuseppe Melis Bassu: «
Non ascoltai Antonio (era relatore sul tema "Razza e costume nella formazione della coscienza fascista") perché a mia volta impegnato nel convegno di critica musicale, ma ricordo che la sera, in albergo, lo incontrai entusiasta della spregiudicatezza e quasi libertà con cui la discussione s'era portata avanti. Fu per esempio in quei giorni che sentii parlare per la prima volta di psicanalisi, e di valori ebraici nella musica».
Pigliaru prosegue la sua attività di "fascista" collaborando con la rivista del G.U.F. sassarese "Intervento" e curando il periodico della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio), "Giovinezza in Marcia". Nel novembre del '42 abbandona la collaborazione ad "Intervento" per solidarietà con Melis Bassu, il quale era stato estromesso dalla rivista per aver preteso di pubblicare un articolo col quale si denunziava che un certo gerarca rubava nei magazzini dell'assistenza. Già qualche mese prima sia Pigliaru che Melis Bassu vengono sostituiti nella redazione del periodico "Giovinezza in Marcia", per aver teorizzato una concezione "liberale" dell'educazione poco rispettosa delle direttive in materia.
Melis Bassu sostiene che nel 1943 «
Pigliaru era già, certissimamente, fuori dal fascismo regime» e che «
la caduta del regime, così immanente, fu un evento tragico, angosciante, ma già da lui collocato nelle logiche evenienze della storia». Sarà... Sta di fatto, però, che nel marzo del '44 Pigliaru viene arrestato con l'imputazione di aver costituito a Sassari un "Comitato regionale fascista". Subisce il primo processo antifascista dell'Italia "liberata". Riceve sei anni di carcere che sconta prima a Oristano, poi ad Alghero e all'Asinara, dove viene liberato nel 1947 in seguito all'amnistia di Togliatti. In carcere contrae una grave malattia che, oltre a costringerlo in seguito a frequenti ricoveri ospedalieri, lo porta alla morte a soli 47 anni.
Pigliaru non ha lasciato da molto il carcere che coraggiosamente, anzi quasi per sfida, affronta il tema del fascismo commentando i diari di Bottai ("Rinascita Sarda" n. 8-10-12 del 1948-'49) e contemporaneamente il 25 aprile del 1949, sempre su "Rinascita Sarda" pubblica un articolo: "Commosso omaggio a Gentile" in cui afferma: «
Quando echeggiavano i colpi di pistola che lo tolsero dal mondo dei vivi, non vi fu persona ben nota o uomo di cultura onesto, che non sentisse l'orrore di quella violenza. Violenza usata contro un uomo buono, che in quel periodo di tormento dilaniatore della sorte d'Italia badava ad aiutare gli Italiani: Italiani dell'una e dell'altra schiera [...]. Quest'uomo buono che non sentiva e forse non capiva la fazione, la violenza, il rancore».
Nel 1949 inizia anche un carteggio con Bottai, attraverso il quale i due personaggi pongono a fuoco le rispettive "posizioni morali" in ordine alla tragedia del fascismo. Ecco cosa scrive Pigliaru all'ex gerarca in una lettera datata 11 gennaio 1950: «
Cospirando nel Sud a favore del Nord, e nonostante l'ultimo anno di fascismo storico mi avesse staccato quasi in toto dall'impegno di una fedeltà esteriore, in fondo avevo finito con l'assumere un atteggiamento nuovo [...]. Le basti questo: praticamente non mi riuscì difficile restare nel carcere, dal lato di Gentile senza rinunciare a Bottai, forse nel princìpio d'istinto, ma poi a poco a poco con perfetta giustificazione e con più sufficienti argomenti». Bottai risponde a stretto giro di posta il 19 gennaio: «
A stringere la nostra amicizia, per ora epistolare, ha valso la certezza reciproca che nella diversità delle strade battute tra cose e uomini, sentivamo che ci aveva guidato il senso di un'unica via. Io non voglio, e non posso, accostarmi a Gentile: ma sono sicuro, per la dimestichezza ch'ebbi con lui fino alla metà di agosto (noto questa data del 1943), ch'egli si sia recato al Nord seguendo lo stesso ragionamento che ha portato me a combattere altrove [...]. Io so bene che al Nord giovani come Lei hanno, a loro volta, perseguito il compimento di una loro esperienza [...]. Tutte codeste esperienze, e quella del Maestro, e quella dei suddetti giovani, e ultima la mia, ebbero una validità morale che si tratta di liberare da ogni sovrastruttura polemica».
Prosegue intanto il suo lavoro di interprete del pensiero di Gentile e pubblica nel 1953 il saggio "In tema di lavoro e di cultura in Giovanni Gentile", nel 1954 "Studi sul pensiero di G. Gentile: a) fondazione morale della democrazia, b) il lavoro e il nuovo umanesimo", nel 1956 "L'esistenzialismo positivo di G. Gentile". Ecco cosa dice in merito Antonio Negri, il più importante studioso italiano del filosofo, nel saggio: "Giovanni Gentile, sviluppi e incidenze dell'attualismo" del 1975: «
Come studioso dell'attualismo [...] avevo un debito verso Antonio Pigliaru, senza dubbio l'intellettuale sardo più stimolante dopo Gramsci. Ne sintetizzano dieci anni fa, la fisionomia di filosofo della politica, dicendo che egli traccia le linee di un personalismo comunitario fortemente suggestionato dalla nozione gentiliana dello Stato in interiore homine» e ancora nel saggio "Pigliaru: la fondazione morale della democrazia" del 1985: «
La società di tutti gli uomini. Certo viene spontaneo chiamare in causa la "societas" in interiore homine di Gentile [...]. Parlano di un personalismo comunitario di Pigliaru, ed è vero che un tale personalismo può diventare una realtà storica solo a patto che si proceda effettivamente a una "fondazione morale della democrazia", come si è letto nel titolo di uno dei più problematici scritti gentiliani di Pigliaru».