Un flashback divertente, fra Sassari e La Spezia
C'è, nel racconto, un felice flashback che merita evocare: la partenza da Sassari («Noi vogliamo andare nei carristi»), un maggiore comandante del corso istruzione non all'altezza del suo ruolo, anzi rovinoso e insieme comico nella sua ignoranza "generica e specifica", il viaggio per Bologna «in regolare carro bestiame (40 uomini e 4 cavalli)... "gennastegare" fino all'esasperazione», la complicazione di una pleurite essudativa con breve ricovero governato da efficientissime suore infermiere e l'8 settembre una licenza: «fui mandato a casa con quattro mesi di convalescenza che non utilizzai, se non in parte, perché avevo fretta di raggiungere il fronte».
All'arsenale di La Spezia, accolto con diffidenza: «chi ero? cosa volevo? cosa mi aspettavo... Provai a inventare una balla e dissi: "A Milano ho incontrato il Principe Borghese che mi ha detto di presentarmi qui all'arsenale all'ufficio arruolamenti. Non è questo?". Avevo letto la targa fuori dell'ufficio. "Altrimenti vado subito a telefonare al numero che mi ha dato per avere maggiori chiarimenti". Nel dire così tirai fuori da una tasca un vecchio taccuino e mi misi a cercare alla lettera C: comandante... comandante... "Ma non c'è bisogno di telefonare a Milano", mi interruppe un maresciallo più maresciallo degli altri, "se il Principe ha detto così, basta! Lo prendiamo in forza noi, poi si vedrà". In effetti l'Arsenale era stracolmo di sottufficiali della Regia Marina che, rimasti a terra quando la flotta aveva salpato per Brindisi, si erano presentati a La Spezia per racimolare uno stipendio e un ufficio riscaldato. Tutti costoro affollavano uffici e magazzini e tentavano di escludere i veri volontari frapponendo difficoltà burocratiche al loro ingresso nella Decima».
Dopo tante complicazioni e qualche ruvido reciproco comportamento, l'assegnazione al Battaglione "Fulmine", di cui s'è detto: nel labaro un elmetto piumato e l'addestramento proprio dei bersaglieri: «Nel giro di una ventina di giorni avevamo messo insieme un centinaio di giovani per lo più studenti, in massima parte Romagnoli ed Emiliani, con l'aggiunta di qualche Toscano e qualche Lombardo». In dotazione il mortaio Brixia, il fucile mitragliatore, il mitra e la pistola Beretta cal. 9, «che tutti sapevano usare con disinvoltura e smontare e rimontare a occhi bendati».
E dunque la lunga catena delle avventure armate, il rischio, il quotidiano perfido gioco della disputa fra la vita e la morte, e vita e morte in una partita giocata anche e soprattutto da quanti coetanei schierati da una parte e dall'altra, da giovani intrappolati nella difesa di un ideale asfittico, marziale e totalitario e loro coetanei affascinati da un'idea di libertà (e anche mitologia di libertà) che mai avevano visto tradotta in realtà sociale nella loro ancora breve esistenza...