EXCALIBUR 156 - giugno 2023
nello Speciale...

Un memoriale e i commilitoni come famiglia

cronaca della nascita di un giornale nel campo di concentramento di Coltano (foto 1)
Cronaca della nascita di un giornale nel campo di
concentramento di Coltano (cliccare sulle immagini per
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cronaca della nascita di un giornale nel campo di concentramento di Coltano (foto 2)
Il libro ricapitola tutto, dall'inizio alla fine, in pagine sobrie, leggere, arricchite da una ventina di immagini evocatrici, intriganti soprattutto le caricature di sapore goliardico per i fumetti o le didascalie a commento della parte conclusiva del suo biennio di fuoco, della prigionia cioè...
In 22 rapidi capitoli, fra una introduzione e una postfazione, Mario Giglio accompagna il lettore all'interno della sua esperienza e dei suoi sentimenti. Eccoli i titoletti dei capitoli: "Storia di una medaglia", "Partigiani", "La partenza", "L'arruolamento", "Da Ceresole Reale a Cuorgnè", "Famiglia Orrù", "Una storia romantica e violenta", "Il Friuli alla Jugoslavia", "Tarnova della Selva", "1º maggio 1945. L'Italia è in festa", "Coltano", "Le sigarette", "Storia di un giornale", "Ritorno", "Vecchia Sardegna", "Nostalgia di sole", "Prigionieri", "Vespro", "Secondo me...", "In cucina...", "Ricordo del mio battaglione".
E, in testa a tutto, "La mia avventura ad Ivrea" - titolo del capitolo e titolo del libro - che annuncia la cronaca del primo approccio con la famosa, o famigerata, storica Flottiglia: «Era l'inverno del 1943/'44 e la primavera si avvicinava a piccoli passi. Io mi ero arruolato da qualche mese nella Decima Mas e avevo finito il tirocinio a La Spezia (lotta contro i pidocchi) e a Pietrasanta (ordine chiuso) come istruttore e per la familiarizzazione con gli elementi che provenivano dalla Marina. In verità pochi, mentre numerosissimi erano quelli che come me provenivano dai diversi corpi ed erano finiti nella X Mas perché animati da spirito patriottico e da scarsa simpatia per i Tedeschi. O meglio che non gradivano di essere comandati da sottufficiali e ufficiali tedeschi».
Era, Giglio - «di Luigi e di Obino Lina, nato a Sassari l'8.4.1921, matr. B/34295 - sergente A.U.» (com'era stato qualificato in una determinazione da Punta Merola datata dicembre 1944-XXIII: «Comandante di Squadra fucilieri, in molteplici azioni di pattuglia si prodigava, con slancio e perizia, nell'assolvimento di difficili compiti. Alla testa della sua squadra, con slancio e sprezzo del pericolo andava all'assalto di un nucleo consistente di ribelli, eliminandoli») - un giovane universitario che frequentava il diritto pubblico e privato quando... s'iscrisse nei ranghi del corpo militare al comando supremo di Junio Valerio Borghese, che si vantava di non essere organico alla Rsi, dipendente perciò dei burgundi di Berlino fattisi padroni in Italia, ma piuttosto "corpo alleato" dell'asse Hitler-Mussolini anni 1943-1945: un corpo alleato «che continuava a combattere per l'onore d'Italia non avendo riconosciuto le clausole dell'armistizio».
Il battaglione d'assalto aveva preso il nome di "Fulmine" e «avrebbe dovuto emulare nella capacità operativa il Btg. San Marco»: una copertina nientemeno che de "La Domenica del Corriere" ne avrebbe un giorno (marzo 1945-XXIII) celebrato il valore. Da Pietrasanta dunque il trasferimento a Saint Vincent, fra sessanta marò con due ufficiali (un capitano proveniente dalla scuola di ardimento di Civitavecchia e un tenente) e tre sottufficiali (sergenti comandanti di plotone: due Romagnoli e lui, Mario Giglio, Sardo di Sassari, proveniente dal corso allievi ufficiali carristi di Bologna).
Momenti di vita impensata, date le circostanze, e momenti di puro capriccio della sorte, anche gradevolmente occasionali, accompagnarono quell'esordio di partecipazione alla grande storia: l'incontro tanto casuale quando appetibile con una certa Mirella, formosa e disinibita, soprattutto però una gran litigata interna al gruppo di comando, con cenni di insubordinazione di qualche sottoposto e qualche conseguente punizione ordinata per davvero e inclemente, estesa anche all'isolano.
Surreale primo tempo del lungo film, in un albergo valdostano: ingabbiati i reprobi «in un bagno a cinque stelle, ma chiuso a chiave con due sentinelle davanti alla porta e due davanti alla finestra [...], non era possibile ottenere le nostre divise o qualche coperta, perché tutte le chiavi erano state requisite dagli ufficiali, che si erano a loro volta rinchiusi in quanto riuniti in tribunale di guerra per giudicarci. Non ce la prendemmo molto e passammo la notte raccontandoci barzellette e facendo giochi di parole. Insomma trascorremmo quelle ore allegramente, mentre i sigg. ufficiali giocavano sul tragico [...], avevano deciso di fucilarci all'alba e avevano passato la notte a costruire un verbale di un processo che non c'era mai stato. Avevano addirittura acquistato le bare che facevano bella mostra di sé nell'ingresso dell'albergo».
Fortunatamente l'inquietudine s'estese presto alla «maggior parte dei marò» da cui venne allora, sotterranea ma assorbente, ogni incontrollabile paura, la promessa che «avrebbero impedito a ogni costo che venissimo fucilati». Vi fu infatti qualcuno che, raggiunto il comando della Guardia Nazionale Repubblicana, con un reparto vicino a Saint Vincent, là invocò un urgente soccorso ai malcapitati: «Nessuno sa cosa si siano detti il comandante della Gnr e il comandante della X Mas. Fra i due non v'era rapporto gerarchico [...]. Fatto sta che per tutta la notte l'albergo rimase circondato e noi non venimmo fucilati all'alba. A mattino inoltrato giunse da Ivrea una macchina con a bordo alcuni ufficiali della Decima e della Gnr che ripartì con gli ufficiali che ci avevano incriminato [..]. Finalmente ci dettero le nostre divise [...]. Disarmati perché sempre sottoposti a giudizio per insubordinazione di fronte al nemico. Fummo infatti caricati su di un camion insieme a numerosa scorta e trasportati a Ivrea, dove venimmo condotti al castello che allora fungeva da carcere [...]. Ci fecero attendere un'ora esposti agli scherzi pesanti dei carcerati ordinari [...], poi ci richiamarono, ci ricaricarono sul camion e ci condussero in caserma, dove ci chiusero nelle celle di rigore».
Riflessione conclusiva e corale - sì, corale - decisione sul da farsi: «era venuta meno in noi la fiducia nella giustizia della Decima. Questo è un covo di ladroni che si tengono il sacco uno con l'altro. Bisogna avvertire il comandante Borghese o meglio il Maresciallo Graziani [...]. Uno deve fuggire e andare a Verona dove ci sono tutti gli alti comandi. Ma chi deve fuggire? Mario Giglio, perché è meno identificabile».
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