Sopra: Sergej Rachmaninov (Konstantin
Somov, Galleria Tret'jakov, Mosca)
Sotto: le mani, strumento di lavoro
delicato per ogni pianista
Sergej Vasil'evič Rachmaninov è nato a Velikij Novgorod il 1º aprile 1873 ed è morto a Beverly Hills il 28 marzo 1943. Doppio anniversario quindi: centocinquanta anni dalla nascita e ottanta dalla morte.
Doppio motivo quindi per ricordarlo in un periodo di ricorrenze più o meno condivise.
Rachmaninov ebbe una vita piena e ricca di soddisfazioni sia come compositore che come direttore d'orchestra e pianista; vita anche travagliata da ostilità, incomprensioni, depressioni e nostalgia.
Abbandonò la Russia nel 1917 quando partì con la famiglia per una tournée in Europa, intuendo che non sarebbe forse più tornato in patria: la nascente Unione Sovietica, dopo la fine dei Romanov e la Rivoluzione d'Ottobre, aveva pervaso la sua patria di un'atmosfera che non era certo congeniale al suo carattere.
Era già un compositore affermato oltre che un eccezionale pianista, ma sentiva che quel passo era il primo verso un esilio che alla fine sarebbe stato per la vita. Fino alla sua morte quel distacco fu lacerante e la lontananza dalla sua terra lo avrebbe segnato per sempre, condizionandone la sua volontà di continuare a comporre musica.
«
Partendo dal mio paese ho perduto me stesso».
Autore di diverse opere. Rachmaninov è conosciuto per le sue composizioni orchestrali, tra le quali tre sinfonie, ma è noto soprattutto per i suoi quattro Concerti per pianoforte e orchestra.
Il primo Concerto, op. 1, fu composto tra il 1890 e il 1891, non ancora ventenne, ed ebbe un gradimento alterno, posto com'era a cavallo tra la musica post-romantica, le nuove sonorità del nuovo secolo e quella pseudonazionale che si andava affermando in Russia. Anche la sua prima sinfonia, mal diretta da Glazunov, si rivelò un disastro nel gradimento del pubblico e questo segnò profondamente il compositore.
La conseguente depressione, dalla quale uscì grazie a sedute di ipnoterapia e alla vicinanza della cugina Natalija (che poi sposò), e la sua immutata fama come direttore d'orchestra, lo spinsero a comporre il suo secondo Concerto per pianoforte e orchestra, op. 18.
Eseguito nell'ottobre del 1901 ebbe un enorme successo e accrebbe ancor più la sua notorietà.
Europa e Stati Uniti furono le mete delle sue numerose tournée.
In occasione di una di esse, negli Stati Uniti - venticinque concerti con un cachet di mille rubli a esecuzione - il 28 novembre 1909 eseguì il suo terzo Concerto per pianoforte e orchestra, op. 30.
È questo il famoso "Rach 3", reso popolare dal film "Shine".
I virtuosi del pianoforte erano costretti a cimentarsi anche con compositori che rivaleggiavano in virtuosismi.
Milij Alekseevic Balakirev, anche lui nato nella zona di Novgorod, che faceva parte del "Gruppo dei Cinque" di San Pietroburgo, di ritorno da un viaggio nel Caucaso, nel giro di un mese compose un brano, "Islamej - Fantasia orientale op. 18" per pianoforte.
L'opera, revisionata nel 1902, era di una complessità tale che egli stesso ammise di non riuscire a padroneggiarne tutti i passaggi e addirittura Alexandr Scrjabin si infortunò la mano destra mentre stava esercitandosi su tale brano.
Nel 1908 Maurice Ravel compose il trittico "Gaspard de la nuit" e pare avesse appunto l'obiettivo non nascosto di superare in difficoltà il brano di Balakirev.
Quello di Ravel è un pezzo che richiede una padronanza assoluta della tastiera e un coordinamento perfetto, arduo banco di prova per i pianisti più dotati, con alcune battute particolarmente complesse scritte su tre pentagrammi.
Ma il 28 novembre 1909 irrompe nelle scene musicali il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Rachmaninov, il nostro "Rach 3".
Secondo molti è impareggiabile per la sua titanica difficoltà esecutiva ed è considerato ancora oggi il più difficile, complesso e impegnativo brano di tutta la storia del repertorio pianistico.
Opera magnifica, autentico capolavoro di precisione, di estrema lunghezza - tre movimenti per circa 45 minuti - col pianoforte sempre presente, di notevole velocità esecutiva, con più note al secondo.
Cavallo di battaglia di Vladimir Horowitz, ma evitato da pianisti di fama mondiale.
Lo chiamano ormai tutti così, "Rach 3", concerto reso famoso dal film "Shine" del 1996, diretto dal regista Scott Hicks, con Geoffrey Rush che interpreta il pianista australiano David Helfgott.
Questi, ossessionato dal padre, alla ricerca assoluta del successo, rimane vittima della sua fragilità. Studia senza posa il brano di Rachmaninov per un concorso a Londra, dove studia, affrontandone con ostinazione la mastodontica difficoltà tecnica, fino a restarne schiacciato e distrutto dallo sforzo e dalla pressione del concorso. La sua salute mentale ne esce compromessa.
"Shine" fu un grande successo basato peraltro su una storia vera, vinse sette Oscar (tra i quali miglior attore e miglior film) e numerosi altri premi.
Il vero pianista Helfgott, ispiratore della storia, riemerse da anni di ospedali psichiatrici e la sua carriera pianistica ne trasse impulso e acquistò notorietà mondiale grazia alla musica di Rachmaninov.
Anche la fama del compositore russo riacquistò vigore e guadagnò nuovi innamorati grazie al "Rach 3", scoperto al cinema dal grande pubblico.
Nel film viene detto che per eseguirlo le mani devono essere «
due giganti, ognuna con dieci dita».
Rachmaninov teneva molto alle sue mani, preziosissime per un pianista come lui, e le assicurò anche presso i Lloyd's di Londra. Le proteggeva costantemente con dei manicotti termici, come del resto faceva anche Glenn Gould.
Le mani di Rachmaninov erano famose per la loro ampiezza e gli permettevano di raggiungere un intervallo di dodicesima o, secondo alcuni, addirittura di tredicesima sulla tastiera.
Qualcuno affermava erroneamente che soffrisse della sindrome di Marfan (malattia ereditaria del tessuto connettivo con articolazioni eccessivamente sciolte e molto flessibili) o di acromegalia (accrescimento eccessivo).
Nulla di più falso: le dimensioni delle mani di Rachmaninov erano semplicemente proporzionate alla sua altezza di circa due metri.
Quindi... viva il "Rach 3", concerto difficile certo, ma bellissimo e coinvolgente.
Ma io comunque preferisco il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2.