EXCALIBUR 138 - marzo 2022
in questo numero

Guerra, democrazia e protesta popolare

L'atteggiamento delle autorità Usa nei confronti della protesta popolare contro la guerra in Vietnam

di Ernesto Curreli
manifestazioni di protesta a Washington
manifestazioni di protesta a Parigi
Sopra: manifestazioni di protesta a Washington e Parigi
Sotto: soldati americani in Vietnam
soldati americani in Vietnam
Fin dall'inizio degli Anni Sessanta si era diffuso tra le popolazioni un solido rifiuto della guerra in quanto tale: era stato versato troppo sangue e troppe furono le vittime e le distruzioni nelle città durante la guerra 1939-1945. Fino a quell'epoca i popoli avevano sopportato e anzi sostenuto la guerra della loro Nazione, perché era ancora diffuso il sentimento patriottico e il senso dell'onore che ogni maschio adulto doveva dimostrare ai concittadini.
Dalla seconda metà degli Anni Sessanta e nei Settanta del XX secolo, invece, gli Stati Uniti d'America furono attraversati da violente manifestazioni di piazza in tutti gli Stati, per protestare contro la guerra nel Vietnam. Non perché fosse improvvisamente scomparso il senso della Patria, ma perché le atrocità della guerra lontana e le scene orribili che i mass media diffondevano in diretta e senza censure, mise in luce una realtà che prima non era mai entrata nelle case. In tutta Europa, in America e negli altri Paesi che avevano subito la guerra, le famiglie mettevano nell'ingresso di casa una specie di altarino, con la fotografia del figlio o del marito caduti.
Pochissimi conoscevano il luogo preciso in cui quel familiare era morto, nè potevano conoscerne i particolari. Quasi sempre la notizia arrivava a casa dopo molti mesi, con l'informazione che il caro soldato «era caduto nell'adempimento del suo dovere, con onore e fronteggiando il nemico».
Le autorità federali americane, di fronte alla protesta che dal 1967 montava nel Paese, contrapposero una violenta repressione poliziesca.
La situazione era diventata grave: migliaia di giovani americani erano renitenti alla leva e tanti giovani fuggivano in Canada o in Europa, senza rischio che fossero estradati. Per sfuggire alla coscrizione militare, molti giovani della media borghesia si iscrissero invece alle Università o presero moglie da giovanissimi. Avevano trovato il rimedio giusto, perché questo li esentava dal servizio nelle forze armate.
I figli dell'alta borghesia, in genere figli di esponenti politici di rilievo, trovarono invece un metodo che salvava l'immagine pubblica della famiglia, arruolandosi nella Guardia Nazionale, come per esempio fece Bush junior.
Anche molti medici si prestarono alle pressanti richieste di facoltose famiglie, rilasciando per i loro rampolli il Certificato del "4F", col quale li dichiaravano affetti da inadeguatezza mentale. Insomma, poco sani di mente, ma non stupidi.
Già nel 1967 ci fu un episodio che scosse le coscienze americane: Kim Herzinger, oggi professore di letteratura inglese all'Università del Sud Mississippi, nonché autore di diversi libri di successo, presentò la domanda per essere riconosciuto obiettore di coscienza, una cosa inaudita nell'America cresciuta in ogni tempo con uomini coraggiosi.
Ha scritto che «era un fatto generalmente noto che mettere per qualunque motivo il proprio nome di fronte alla commissione di leva fosse una cosa molto stupida (qui si riferisce alla sua dichiarazione di obiettore di coscienza). Era sottinteso che gli agenti governativi esaminavano le foto scattate durante le proteste contro la guerra per poi mandare quelle dei partecipanti alle commissioni di leva con la raccomandazione di chiamarli subito alle armi. Di certo ritenevo (la mia posizione di obiettore) più nobile che fingermi gay o matto o completamente tossico, e senza dubbio più nobile che entrare nella Guardia Nazionale, tanto per citare i sistemi più sbandierati per sottrarsi al reclutamento» (Andrew Wiest, La guerra del Vietnam, Editore Rba Italia, Milano 2011). Spettò a Richard Nixon porre fine a una guerra senza speranza, perché i Vietnamiti del Nord non si piegavano. Nixon era intelligente ed "elastico" e alla fine trovò il modo di far uscire gli Usa dal pantano nel quale si erano cacciati.
Seguì fino in fondo la tradizione dei presidenti americani: lui che era un repubblicano dovette chiudere la guerra che avevano iniziato i democratici John F. Kennedy e Lindon B. Johnson. Pianificò un ritiro graduale di forti contingenti, che nel solo 1969 ammontarono a venticinquemila soldati. E ci riuscì per un soffio, perché di lì a poco avrebbe passato i guai peggiori della sua vita.
Oltre alle manifestazioni di piazza e nelle università, ci si misero, incredibilmente, anche i "Veterani del Vietnam contro la guerra", che non sembrava mai finire. Tuttavia la tensione interna stava per esplodere.
Il 30 maggio 1970 alla Kent State University in Ohio la polizia uccise quattro studenti, ferendone nove. Il 4 del mese successivo la Guardia Nazionale occupò gli edifici universitari, mentre il Sindaco di Kent, Leroy Satrom, dichiarava lo stato di emergenza. A quel punto anche il Governatore dell'Ohio, Rhodes, fece trapelare la notizia che stava per dichiarare la legge marziale, forse per intimorire la gente che manifestava in ogni città.
La stampa statunitense, dopo una iniziale esitazione, si schierò sempre più decisamente contro la guerra, definendo "azioni illegali" quelle adottate dalle autorità. La rivolta scoppiò in tutti i campus universitari e presto si estese anche alle masse della gente di colore, che solo dal 1964, con il Civil Rights Act, era uscita dalla segregazione razziale alla quale era soggetta.
Con i ragazzi neri la polizia non faceva tante cerimonie, sparava direttamente, come era abituata a fare. Il 14 maggio 1970 nella Jackson State University del Mississippi, frequentata da afroamericani, furono uccisi dalla Guardia Nazionale altri due ragazzi e feriti una decina.
Ma la vera bomba che sconvolse i vertici americani fu quella lanciata alla fine di dicembre 1974 da un giornalista del New York Times, Seymour Hersh, che denunciò l'esistenza di una vasta rete spionistica della Cia a danno dei cittadini. Era tutto vero, perché fin dal 1967 il presidente Johnson aveva autorizzato l'Agenzia a spiare indiscriminatamente gli Americani, nella speranza di trovare gli agenti stranieri che secondo gli "specialisti" dei servizi stavano sobillando i rivoltosi. La Cia, tuttavia, con l'operazione Chaos non aveva mai trovato prove di ingerenze straniere nella vicenda delle proteste popolari.
Giunto alla presidenza, anche Nixon consentì il proseguimento del monitoraggio sulla popolazione autorizzandone anzi un allargamento all'estero, visto che ovunque si svolgevano manifestazioni contro gli Usa. Ma quando i politici scoprirono che anche loro erano spiati reagirono con determinazione. Il Congresso nominò una prima Commissione Rockefeller alla quale fece subito seguito la Commissione Churc, meno accomodante. Emerse allora che più di trecentomila cittadini erano schedati e controllati in ogni istante della loro vita. Sotto osservazione c'erano attori, registi, artisti, cantanti e musicisti, intellettuali, professionisti, studenti, operai, mogli, amanti, maschiacci e gay, bianchi e neri, soldati appena tornati dal fronte e renitenti alla leva.
Per Nixon fu un disastro. Sotto inchiesta del Congresso per la storiella del Watergate del 1972 e in procinto di subire l'impeachment, forse per evitare il più grave scandalo dello spionaggio, rassegnò le dimissioni, proprio nel momento in cui godeva di una larga popolarità per aver messo fine alla guerra.
Quella vicenda provocò comunque nella società americana effetti benevoli. Intanto la Cia fu ridimensionata e le furono imposte nuove regole, all'apparenza più rispettose della gente. Il 7 novembre 1973 il Congresso approvò una legge che limitava il potere presidenziale americano sulla dichiarazione di guerra, costringendolo a ottenere l'approvazione del Congresso, e nello stesso anno aboliva la leva obbligatoria.
Fu solo nel 1977 che il nuovo presidente Jimmy Carter graziò tutti i ragazzi che si erano sottratti alla coscrizione militare.
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