Guerra preventiva: il tempo come fattore
decisivo
Il concetto di guerra preventiva era conosciuto fin dall'età classica, se ne trovano testimonianza in moltissimi brani degli antichi autori, soprattutto ellenici. Che sia combattuta con masse di fanteria o con incursioni navali poco importa. La tecnica, molto banalmente, consiste nel sottomettere il nemico o annullare le sue capacità militari prima che queste si rafforzino. Il tempo, in tutto questo, è l'elemento più importante, perché è indispensabile anticipare quello che potrebbe accadere in un futuro prossimo o appena differito.
Non è necessario andare a rivedere le guerre preventive dell'antichità, perché ci sono esempi recenti dal Seicento in poi, come per le guerre preventive di Napoleone Bonaparte e quelle dei Britannici per lo stesso motivo e nello stesso periodo. Noi Italiani ne sappiamo qualcosa in maniera diretta, basta ripensare a quello che fecero i Britannici negli ultimi mesi del 1939 e nei primi mesi del 1940 per strozzare l'economia italiana, con pensanti ricadute sull'industria.
Francesi e Britannici conoscevano il problema: «
Il Gabinetto di Guerra britannico (sapeva) che la situazione era decisamente cattiva e presentava la possibilità di divenire pessima».
Lo temevano dalla primavera del 1939. L'11 agosto 1939 Georges Bonnet, ministro degli Esteri francese, aveva comunicato al Gen. Gamelin, capo di Stato maggiore della difesa francese, che «
gli Inglesi avrebbero preferito una Italia ostile» (Franco Bandini, Tecnica della sconfitta, Vol. 1, Longanesi & C. - Milano 1971). A dire il vero, dopo la guerra si è saputo da fonti archivistiche inglesi che la Gran Bretagna preparava l'attacco all'Italia fin dal 1935, quando fu predisposto il piano dell'incursione a Taranto contro la flotta italiana, attuato poi nella notte dell'11 novembre 1940 con successo. Perché decisero la guerra preventiva? I Britannici sapevano che la Germania era diventata una vera potenza militare e valutavano che non potevano affrontarla direttamente. Per loro sarebbe stata più utile una lunga guerra di logoramento con l'Italia, per costringere l'alleato dell'Asse a disperdere uomini e mezzi nel Mediterraneo. Quel piano fu applicato dal 1941 al 1943. Di certo temevano anche la flotta italiana, che nel tardo 1940 avrebbe messo in mare le nuove corazzate Classe "Littorio", modernissime e temibili.
Poiché l'Italia esitava a scendere in guerra, bisognava pur costringerla a farlo. La guerra preventiva britannica assunse un carattere concreto nel 1939, con l'irrigidimento del blocco nel marzo del 1940, quando comunicarono che sarebbero stati fermati tutti i piroscafi italiani con carico di carbone tedesco. L'Italia importava all'epoca circa 16 milioni di tonnellate di carbone tedesco, mentre, malgrado gli sforzi del regime, la produzione nazionale non superava i due milioni, compresi i carboni istriani e sardi, le ligniti e le torbe. All'inizio del 1940, le scorte strategiche italiane non superavano 1,5 milioni di tonnellate, appena sufficienti a soddisfare le esigenze di un mese. Quando gli Italiani presero atto che la produzione industriale si sarebbe fermata nel giro di qualche settimana, realizzarono che erano nella situazione più nera. Il primo gruppo industriale a lanciare l'allarme fu la Montecatini, che dichiarò che a breve avrebbe sospeso la produzione. Le prove di blocco erano iniziate già dal mese di ottobre 1939: il 3 ottobre il "Tevere" fu fermato in alto mare per il controllo della corrispondenza, l'"Augustus" fu fermato a Gibilterra dal 21 al 30 ottobre, il "Laura C." rimase bloccato nello stesso porto per un mese intero, da 7 ottobre al 7 novembre. Ma le angherie, termine navale che indica azioni che rasentano la pirateria, erano ben peggiori. Spesso le navi bloccate a Gibilterra subivano ulteriori blocchi e controlli a Malta o a Marsiglia.
Poi il 27 novembre 1939 il premier Chamberlain annunciò che avrebbero subito il blocco navale tutte le navi che trasportavano prodotti di origine o di proprietà tedesca. Alle minacce seguirono i fatti e ben 1347 navi italiane furono bloccate in mare rimanendo sotto "angary" per mesi. Era una mascherata dichiarazione di guerra all'Italia, che contravveniva al Patto di Parigi del 30 marzo 1856, il quale dettava le prime regole sulla libertà nei mari dopo i disastri provocati dalla Guerra di Crimea e disciplinava il "blocco navale" che le potenze anglosassoni applicavano per "diritto consuetudinario". Fu decisa la smilitarizzazione del Mar Nero, l'autonomia dei Principati danubiani dalla Turchia, la cessione della Bessarabia dalla Russia alla Moldavia.
Né Mussolini né Ciano compresero il celato obiettivo del blocco: il 1º marzo 1940 ben tredici carboniere italiane furono abbordate in mare dalla Royan Navy, che ne confiscò il carico. Era la fine di ogni illusione, quindi era la guerra con la quale gli Inglesi gettavano l'Italia in braccio a Hitler, che peraltro preferiva che mantenesse la sua non belligeranza. Forse fu il solo Mussolini, dopo molti mesi di rovinosa guerra italiana, a capire la trappola nella quale era stato attirato. È molto probabile che nella vicenda dell'entrata in guerra dell'Italia fosse coinvolto l'astuto Churchill, ma il capo del governo italiano si portò nella tomba quel segreto. Sappiamo che il premier inglese si precipitò a raccogliere le prove documentali nella primavera del 1945, quando inspiegabilmente andò a dipingere i suoi quadri nei pressi del lago di Como.
Oggi, con la guerra Russia-Ucraina, assistiamo a un nuovo tipo di "blocco", che si chiama "sanzioni economiche" e angherie aeree e navali. Il sistema giuridico del blocco navale è stato normato in sede Onu nel secondo dopoguerra. Si riconosce che il "blocco" è una misura militare finalizzata a impedire l'accesso o l'uscita di navi dai porti di un Paese e non è consentito se non per casi di legittima difesa, ovvero solo in stato di guerra tra due o più Stati e non deve riguardare le nazioni non belligeranti (art. 42 dello Statuto Onu). È considerato invece un atto di aggressione militare in assenza di una dichiarazione di guerra (art. 3, lett. C della Risoluzione Onu del 14 dicembre 1974).
Se il diritto internazionale prevede questo, è indubbio che le "sanzioni" economiche e le "angherie" a danno di naviglio e aerei di un altro Paese col quale non è in guerra né la Nato né l'Italia, costituisca una grave misura aggressiva, in assenza di guerra dichiarata. Per quale motivo sono state adottate?
È difficile rispondere, perché la risposta potrebbe essere spiacevole per le nostre coscienze, addormentate dalla propaganda occidentale. È ancora più difficile capire se la guerra preventiva sia stata adottata dalla Russia in previsione di un minaccioso allargamento verso Est della Nato, oppure se sia la Nato ad aver adottato misure di "guerra preventiva", provocando l'avversario e tentando un "logoramento" russo, prima che la Russia, la Cina e l'India, temibili dal punto di vista economico, tecnologico e militare, si saldino in una non lontana alleanza, della quale da anni si scorgono i prodromi.
Ci hanno detto che in Ucraina la Russia ha dispiegato soltanto mezzi corazzati degli Anni Ottanta, mentre ha lasciato in Russia i ben più potenti carri di ultima generazione. Forse è una di quelle misure che gli Stati adottano per impedire il logoramento delle loro più efficienti e costose unità corazzate, in attesa del peggio.