EXCALIBUR 74 - luglio 2013
in questo numero

Il tracollo del fronte interno nell'estate di 70 anni fa

La storia sconosciuta, fonte di inesauribili sorprese

di Ernesto Curreli
Sopra: bombardieri italo-tedeschi nella mattinata dell'11 luglio 1943 al largo di Licata affondano la nave americana Robert Rowan
Sotto: navi alleate colpite dalle batterie costiere italiane durante lo sbarco in Sicilia
Molti sono convinti che il tracollo del fronte interno italiano sia avvenuto l'8 settembre del 1943, quando l'armistizio gettò nel caos le forze armate. Aquesta convinzione contribuirono non poco la pubblicistica fascista della Rsi e quella neofascista del dopoguerra. Questo è vero solo in parte, perché se è innegabile che il complesso delle forze italiane all'inizio dell'estate era ancora temibile, i segni del disfacimento si erano rivelati ben prima della resa. L'esercito disponeva ancora di 26 corpi d'armata con 80 divisioni, di cui 39 di fanteria, 6 alpine, 2 corazzate, 1 motorizzata, 2 di tipo 41, una tipo A.S. (Africa settentrionale) 1 di paracadutisti, 1 celere, 19 costiere, oltre a diverse brigate autonome e a molteplici unità di servizi e di pronto intervento. Quasi tutte le unità disponevano di una forza organica che superava l'80% e anche l'armamento individuale e di reparto era notevolmente migliorato rispetto alla "guerra povera" che aveva contraddistinto le operazioni in Grecia, Africa e Russia. La marina militare era ancora forte e intatta e l'aviazione costituiva una forza non trascurabile.
Ma il fronte interno era già crollato da mesi. I primi sintomi tra la popolazione civile si erano avuti con l'abbandono dell'Africa Settentrionale e poi con l'inspiegabile caduta di Pantelleria, considerata da tutti una fortezza ben difesa.
Comunque, prima dello sbarco in Sicilia, tutti i reparti militari erano ancora ben saldi e decisi a combattere, malgrado lo scetticismo che si era impadronito dei vertici militari e politici. Fu solo con lo sbarco in Sicilia che il panico si diffuse tra la popolazione e tra i militari.
Il comando delle Forze Armate in Sicilia il 15 luglio diramò una circolare con la quale disponeva che «I militari allontanatisi dai reparti et travestitisi abito civile siano dai comandi territoriali carabinieri arrestati et tradotti presso unità militari mobilitate viciniori [...] dovranno essere trattati estremo rigore». Lo stesso giorno con altra circolare il Gen. Guzzoni ordinava che «Lungo principali rotabili retrovie siano disposte forti pattuglie comandate da ufficiale aut sottufficiale particolarmente energici scopo trattenere et rinviare reparti tutti militari isolati non in regola circolanti su strade».
I servizi americani avevano lavorato molto bene con la mafia e sempre Guzzoni ce ne dà conferma con una terza circolare della giornata: «Viene riferito che staffette motociclisti percorrono la fronte comunicando alle truppe apocrifi ordini di ripiegamento [...]. Si metta al muro chi li comunica». Di infiltrazioni mafiose ce ne dà conferma la stessa Commissione Parlamentare Antimafia della VI legislatura, che il 4 febbraio 1976 depositò la sua relazione ufficiale nella quale gli episodi di intelligence mafiosa di origine italoamericana sono ben documentati. La Target Section del Naval Intelligence Service Usa aveva indirizzato in Sicilia un continuo flusso di agenti, evidentemente con la connivenza di ambienti militari italiani rimasti coperti. L'indagine italiana arrivò con molto ritardo, perché già nel 1951 la Commissione d'Inchiesta Usa presieduta dal Senatore Estes Kefauver aveva chiarito che in preparazione dello sbarco in Sicilia e durante l'avanzata alleata erano stati utilizzati elementi mafiosi e agenti che agivano indisturbati. Anche i reparti di Camicie Nere si erano sfaldati al primo urto, come si legge in un dispaccio del Comando supremo datato 27 luglio: «Informo che nella notte sul 23 corrente 171º battaglione cc.nn. ha defezionato al completo [...]. Era costituito elementi siciliani». Il regime fascista non era ancora caduto il 23 luglio ma già si avvertiva lo scricchiolio della M.V.S.N. di stanza in Sicilia.
La preoccupazione dei comandanti era quella di impedire che le masse di militari fuggiaschi contaminassero i reparti ancora saldi. Il Comando del Gruppo di armate Sud comunicava il 23 luglio che era «assolutamente necessario [...] passare indisciplinati per le armi compresi ufficiali». La relazione su un'ispezione compiuta nelle retrovie da un ufficiale nei giorni dal 20 al 22 luglio informava di aver trovato «posti di blocco in disordine [...]. 15 km a sud di Battipaglia una donna con bambini seduta vicino alla mitragliatrice [...], soldati e graduati scamiciati [...], autocarri della R. Marina e, più, dell'Aviazione sgombranti dalla Sicilia senza ufficiali, qualche raro sottufficiale, uomini in costume da bagno e scalzi [...], assenteismo completo da parte dei RR.CC. territoriali».
Proseguiva informando che il comando del settore della Calabria era da pochi giorni tenuto dal Gen. Carbone, il quale non voleva che 600 uomini che avevano già defezionato fossero reimmessi nei reparti. Quel personale, secondo il generale, «se immesso nei reparti creerebbe disordini. Ha armi per la fanteria a sufficienza, così munizioni. Ha 3 batterie terrestri, 2 batterie autonome della Milmart, 7 btr contraerei e varie batterie tedesche. Ha un btg. bersaglieri della base 52 che si è tenuto ed è tutta la sua speranza [...]. Vi sono nella zona parecchi magazzini pieni: materiale di rafforzamento e viveri». Il Capo di Stato maggiore dell'esercito il 27 luglio informava i comandi dipendenti che il reflusso di soldati siciliani isolati dalla Penisola verso la Sicilia aveva persino bloccato il deflusso dei reparti combattenti dalla Sicilia verso Messina, spiegando che «È solo con una reazione energica e passando per le armi numerosi individui (ivi compresi alcuni ufficiali) che si è potuto ristabilire l'ordine a cavallo dello Stretto».
La mazzata peggiore per i militari e la popolazione civile era arrivata con la notizia dello sbarco angloamericano e del mancato impiego della flotta. La radio, ormai diffusa in molte abitazioni, aveva consentito alla gente di apprendere dello sbarco la notte stessa del 9 luglio dalle emittenti nemiche.
Capivano che il nemico era sbarcato dalle continue trasmissioni che ripetevano continuamente «Cecilia, Cecilia!». Nessuno tra i militari presenti nell'isola sapeva spiegarsi perché a contrastare l'avanzata nemica fossero state lasciate appena 4 divisioni mobili e poche unità costiere, queste ultime prive di effettivo valore bellico, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che le manovre per lo sganciamento dall'Asse erano iniziate ben prima della caduta di Mussolini. Ma la flotta italiana, ancora temibile, perché era rimasta nei porti del Nord? Filippo Cappellano(1) ricorda che «Grave impressione aveva suscitato [...] il mancato impiego della flotta d'altura nel tentativo di contrastare lo sbarco aeronavale in Sicilia e l'impunità goduta dalle formazioni aeree nemiche nei bombardamenti strategici diretti contro le principali città italiane sebbene queste fossero difese da un considerevole numero di batterie contraerei».
D'altra parte, la resa inspiegabile di Pantelleria e di Augusta, entrambe al comando di ammiragli ed entrambe considerate fortezze marittime difficili da espugnare, arresesi su loro ordine ancor prima che la flotta alleata avesse sparato un solo colpo di cannone, avrebbe dovuto mettere sull'avviso i capi politici e militari, solo se fossero stati meno ingenui e faciloni.
Il 9 e 10 settembre 1943, la risposta a quegli interrogativi sarebbe stata data col defilamento della flotta italiana al largo di Bona per le navi che provenivano dal Tirreno e nel porto di La Valletta a Malta per quelle provenienti dall'Adriatico. Per l'occasione il Gen. Eisenhower e l'ammiraglio britannico Cunningham da Bona vollero assistere all'irripetibile evento. Eisenhower avrebbe poi detto di aver sentito un lungo brivido lungo la schiena alla vista del "glorious-sight", lo "spettacolo glorioso" che poco aveva di glorioso per gli Alleati e ancor meno per gli Italiani.
(1) tutte le parti tra virgolette sono tratte dal recente lavoro di Filippo Cappellano "L'esercito italiano nel 1943", Storia Militare Dossier n. 5 - dicembre 2012, Albertelli Edizioni, Parma
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