Il Presidente del Consiglio Enrico Letta
I più avveduti economisti di tutto il mondo occidentale continuano a dire che questa Europa ci porterà al collasso. Perché, dicono, i problemi derivano sia dall'euro, in quanto moneta non soggetta ad alcuna autorità statale e perciò privata della funzione di leva di manovra sull'economia reale, funzione che ha avuto per tanti secoli, sia dell'attuale struttura sovranazionale di Bruxelles, dove comanda una Commissione che non deve rispondere a nessun elettore europeo. Continuare a inasprire le imposte in un periodo di grave recessione, commentano, significa peggiorare ancor più la situazione. Mentre sarebbero più opportune politiche di riduzione generalizzata delle imposte, di un vero taglio della spesa statale improduttiva e sarebbe indispensabile poter utilizzare liberamente la moneta unica. Non sarebbe da trascurare, tra l'altro, l'impatto negativo che si determina dalla differenziazione delle politiche fiscali tra uno Stato e l'altro, cosa che provoca distorsioni nel mercato e improvvise crisi produttive in determinate situazioni, con ulteriore incremento della disoccupazione, che ormai galoppa ovunque, esclusa forse la Germania, non si sa per quanto tempo ancora. Questi gli avvertimenti degli economisti.
In Italia, però, nessuno pensa ad affrontare organicamente la questione. Il premier Enrico Letta ha deciso di battere i pugni nei vertici europei, ma ciò che l'Italia otterrà sarà solo un palliativo che sposterà i problemi di qualche mese, poi l'appena scongiurato aumento dell'Iva tornerà a ottobre e la crisi delle imprese, la disoccupazione e le tensioni sociali cresceranno ancora.
Bisogna invece convincersi che per uscire dalla crisi occorre studiare un "Piano B" per abbandonare o ridimensionare l'euro e un altro "Piano B" per rimodulare la struttura di vertice dell'Unione Europea, perché così com'è non funziona più, ammesso che abbia mai funzionato negli ultimi decenni in materia economica o, peggio ancora, in materia sociale, cosa che ha appena fatto capolino nelle discussione dei grandi burocrati Ue.
Chi ha avuto il coraggio di parlare chiaro in materia di Ue e di euro è stato Berlusconi. Lo ha fatto a mò di battuta, dicendo che nessuno in Europa avrebbe mai potuto tentare di sbattere fuori l'Italia perché noi diamo 18 miliardi di euro e loro ce ne restituiscono soltanto 8.
D'altra parte, noi non siamo come la Grecia che vanta appena un 2% del Pil europeo. A pensarci bene, nemmeno la Grecia è stata sbattuta fuori, perché tutti temono un effetto domino. Figuriamoci se potrebbero cacciar fuori l'Italia. I miliardi di euro che non tornano indietro li spendono per pagare la loro burocrazia e per aiutare l'Est, da poco arrivato a casa e ancora bisognevole di aiuti.
Adesso, colpito pesantemente Berlusconi con la condanna nel processo-farsa Ruby, non è più questione se il Pdl staccherà la spina al governo di coalizione. Piuttosto, è arrivato il momento di chiedersi se, a prescindere da Berlusconi, un partito popolare come il Pdl vorrà ancora sostenere politiche di sostegno all'Europa per come è strutturata, per come viene gestita e per come è funzionale agli interessi di alcuni Stati piuttosto che di altri.
Sarebbe un peccato che non seguisse, forse per l'ultima volta, il fiuto di chi ha fatto vincere quel partito per vent'anni.