EXCALIBUR 74 - luglio 2013
in questo numero

Il dominio della Germania sull'Europa moderna

Un'analisi degli avvenimenti storici ci illumina sulla realtà attuale

di Ernesto Curreli
Sopra: Konrad Adenauer (1876-1967), Cancelliere nel 1949, contribuì allo sviluppo di un'economia stabile e operò per una riconciliazione totale con il mondo occidentale
Sotto: il muro di Berlino, lungo 162 km, eretto il 13.08.1961 e abbattuto il 09.11.1989: simbolo della separazione ideologica tra est e ovest
All'inizio del Novecento, se c'era un Paese destinato ad assumere un ruolo dominante in Europa, questo era la Germania. L'industrializzazione, avvenuta a metà dell'Ottocento, aveva portato presto la nazione tra i paesi più industrializzati, poco prima che si compisse l'unità germanica. Intorno al 1840, con otto principati tedeschi e con l'Austria, la Prussia aveva realizzato l'unità doganale dello "Zollverein", dando inizio all'espansione economica.
Dopo il 1871, il clima sociale aveva favorito la nascita del nazionalismo, foriero di future preoccupazioni. La sconfitta militare nella I Guerra Mondiale e la grave crisi economica che ne seguì provocarono una pesante recessione e una terribile crisi inflazionistica domata solo nel 1928. Già negli Anni Trenta la Germania era diventata la nazione più forte economicamente e le sue esportazioni invadevano i mercati di ogni Continente. Tutti ne erano consapevoli, compresa l'Italia che si era rassegnata a svolgere un ruolo di "junior partner", termine utilizzato dalla moderna storiografia il cui significato era però ben presente tra le classi dirigenti europee, comprese quelle italiane che ne accettarono il ruolo.
Battuta nuovamente la Germania nel 1945 e diviso il suo territorio tra i vincitori, nessuno avrebbe scommesso sulla sua ripresa. E in effetti per quasi un decennio la Germania sembrò ripiegata a leccarsi le ferite. Furono la Guerra Fredda e la "Cortina di ferro" a offrirle una nuova opportunità e la Repubblica Federale fu appunto il frutto della "pace atomica". Nel 1949 manifestare anche cautamente la possibilità di fare aderire la nuova Germania alla Nato era vista come una grave minaccia alla pace europea, ma nel 1955 le cose erano cambiate.
All'Est l'Unione Sovietica schierava più di 30 forti divisioni appena dietro il confine, pronte a compiere un balzo in avanti. La minaccia non era sottovalutata dai vincitori occidentali, nemmeno dai Francesi di De Gaulle, che erano favorevoli a un riarmo tedesco sotto il comando della Francia. Stati Uniti e Gran Bretagna, più realistici e consapevoli della debolezza delle scarse forze occidentali d'occupazione, vedevano le cose diversamente. Dal suo canto, il Cancelliere Konrad Adenauer temeva che le forze militari tedesche che l'Occidente sollecitava finissero sotto il controllo dei Francesi.
Il blocco di Berlino del 1948-49 e la guerra di Corea furono un brusco risveglio per Americani e Britannici, i quali, pur di favorire la rinascita di un esercito tedesco, finirono per accettare la proposta di ripiego francese, che prevedeva la creazione di un comune esercito di difesa europeo. Tuttavia le difficoltà organizzative per giungere rapidamente a una soluzione creavano nervosismo soprattutto negli Usa, ansiosi di liberare risorse militari per fronteggiare la Cina Popolare e l'Unione Sovietica, all'epoca legate da un patto politico-militare.
La decisione di far uscire la Francia dalla Nato risale proprio a quel periodo, quando un furente De Gaulle e l'alto comando francese decisero di andare avanti da soli nella strada della grandeur pur di ostacolare la rinascita militare germanica. Adenauer, tiepidamente favorevole alla proposta francese, si rendeva conto che solo gli Usa erano in grado di fronteggiare l'Urss, per cui alla fine ruppe gli indugi e accettò il piano angloamericano per un riamo concreto, abbandonando le ipotesi che vedevano i Tedeschi dotarsi di una specie di grande "polizia militare" che avrebbe dovuto fornire supporto logistico alle truppe da combattimento occidentali.
Alla fine anche Adenauer, tra mille polemiche interne provocate dal fronte ostile dello "Ohne mich" ed estere, soprattutto della Francia malgrado gli sforzi concilianti del primo ministro Mendès-France, decise il gran passo per la creazione di nuove forze armate, tra il sospiro di sollievo degli stati maggiori inglesi e americani. Ma con la persistente ostilità francese, che chiedeva il mantenimento dell'amministrazione e dello sfruttamento della Saar. Fu ancora Londra a prendere l'iniziativa con una serie di conferenze che ridisegnarono l'equilibrio militare europeo, chiedendo che Italia e Germania tornassero "quasi" a pieno titolo a dotarsi di forze armate adeguate nell'ambito Nato. Comunque, i tentativi di limitare il riarmo tedesco erano più di facciata che di sostanza.
Quando i giornalisti stranieri chiesero ad Adenauer se i generali di Hitler sarebbero stati anche i generali della Germania federale, il cancelliere rispose che difficilmente la Nato avrebbe accettato che dei ragazzi di 18 anni assumessero il comando di unità combattenti. Così, tra il complice silenzio dei vincitori, diverse centinaia di ufficiali del Terzo Reich, alcuni dei quali erano stati dei famosissimi comandanti di unità combattenti, diedero vita alla Bundeswehr e allo Heer, il suo robusto esercito di terra.
Con l'adesione alla Nato, le pretese francesi di controllo sulla Saar, osteggiate fortemente dalla popolazione tedesca, caddero a seguito di un referendum e dal 1º gennaio 1957 quella regione tornò alla Germania. La nuova Bundeswehr fece subito capire quanto la Germania si fosse ripresa. In poco tempo lo Heer creò le nuove divisioni corazzate con una dotazione globale di circa 5.000 carri armati, con i nuovi modelli "Leopard" potentemente armati, migliori e più numerosi di tutte le forze armate europee. Finalmente gli Occidentali si sentirono più sicuri e accettarono di buon grado la nuova realtà militare. L'ossatura convenzionale delle forze occidentali vide proprio nelle nuove forze armate di terra tedesche il più forte e irrinunciabile sostegno. L'Occidente riuscì a stendere un velo di riservatezza su quest'aspetto militare per timore di reazioni dell'opinione pubblica, ma certo i Sovietici e i Paesi del Patto di Varsavia ne tennero il debito conto.
L'ombrello atomico americano permise alla Germania di sviluppare la sua economica in una atmosfera di concordia. Nel 1979 il cancelliere Helmut Schmidt, nel nuovo clima di "distensione", comprese che esisteva una cosiddetta "zona grigia" nella quale era possibile creare un "doppio binario" nei rapporti con l'Urss. Dalla "risposta massiccia" atomica degli Americani si era passati alla "risposta flessibile" degli Anni Sessanta per giungere infine al "doppio binario" della "realpolitik". La caduta del Muro di Berlino, poi, fece la fortuna della Germania, che finalmente poté dedicarsi allo sviluppo pacifico dell'economia. Le 12 divisioni tedesche previste dal Trattato di Lisbona del 1952 non poterono mai essere create per gli enormi sforzi finanziari richiesti, ma del resto nemmeno le 90 divisioni americane ed europee furono mai messe in campo, per gli stessi motivi.
Mentre i costi della riunificazione tedesca venivano addossati alla Comunità Europea, la caduta dei regimi comunisti dell'Est permise alla Germania di ricreare l'antica "area del marco", favorendo nuove opportunità di espansione economica. A questo concorse anche la riduzione delle forze armate tedesche, che vennero ridimensionate a una forza complessiva di 100.000 uomini nelle unità di pronto impiego (5 divisioni su 11 brigate) e in 60.000 in quelle destinate alle interforze Nato.
La Germania produce di tutto e i suoi ottimi prodotti, soprattutto quelli dell'industria elettronica, chimica e pesante, godono di un favore internazionale che fa volare le esportazioni. Quasi non c'è settore dove non prevalgano sugli altri, a esclusione della produzione di energia atomica, alla quale hanno rinunciato da un pezzo in seguito alle pressioni di un'opinione pubblica votata all'ambientalismo.
Nelle prime cinquanta industrie europee, comprendendo però anche la Russia, le industrie tedesche sono ben tredici (Daimler Chrysler, Volkswagen, Allianz, Siemens, ecc.), mentre sono appena quattro quelle italiane (Eni, Assicurazioni Generali, Fiat, UniCredit Group). Tra l'altro, godono da decenni di una invidiabile pace sociale, grazie all'introduzione di una speciale forma di socializzazione delle imprese, che vede i rappresentanti dei dipendenti inseriti per legge nei consigli di amministrazione con potere decisionale e di voto.
Il colpo più fortunato è arrivato alla fine degli Anni Novanta. La Germania e la Francia avevano potuto realizzare tutte le infrastrutture necessarie allo sviluppo dei loro mercati - porti, aeroporti, strade, distretti industriali modernamente dotati - mentre l'Italia, come al solito, si dibatteva tra lotte sindacali e politiche, saccheggiando come non mai i fondi pubblici in spese improduttive e clientelari. Così, all'inizio del Duemila, i partner franco-tedeschi, ormai legati da un patto di assistenza politica, militare ed economica, decisero di introdurre quel controverso "Patto di Stabilità" per il controllo dell'economia e della nuova moneta comune, che ha paralizzato il nostro Paese e che troppo tardi i politici nostrani hanno compreso essere il cappio col quale ci siamo docilmente impiccati.
Adesso Germania e Francia, in possesso di un'amministrazione e un'economia più sane delle nostre, guardano il futuro con occhi diversi da noi, che non abbiamo infrastrutture moderne e che non possiamo realizzare perché anch'esse, malgrado gli sforzi italiani, rimangono in parte sotto il vincolo del "patto". Anche il mancato controllo dell'emissione monetaria risulta per noi un grave handicap, perché non possiamo dare linfa all'economia con le manovre inflazionistiche o, se faceva più comodo per le esportazioni, con quelle svalutative, come fecero i governi democristiani per decenni con la vecchia liretta. Mentre oggi l'euro assume una nuova dimensione soprattutto in mano ai Tedeschi, che incredibilmente sono riusciti a creare a est una nuova area egemonica con l'"euro germanico".
MOLTI SOLDATI DEL TERZO REICH ENTRARONO NELLE FF.AA. FEDERALI E NATO
Gunther Rall, terzo asso sul fronte orientale con 275 aerei abbattuti, Major nel 1945, divenne capo di Stato maggiore della rinata Luftwaffe dal 1971 al 1974. Preso prigioniero dagli Americani sul fronte occidentale nel 1945, nel dopoguerra seguì un corso Usa sui nuovissimi F-84G Thunderjet.
Hans Speidel (Bundesarchiv), capo di Stato maggiore di Rommel durante la battaglia di Normandia nel 1944. Coinvolto nella congiura contro il dittatore tedesco nel luglio 1944, evitò l'esecuzione perché la Gestapo non trovò prove sufficienti. Evaso negli ultimi giorni di guerra dal carcere nel quale era rinchiuso e datosi alla macchia, fu salvato dalle truppe francesi che avanzavano in Germania. Dopo aver ricoperto un ruolo centrale nella costituzione della Bundeswehr, nel 1957 fu nominato comandante in capo delle forze di terra della Nato nell'Europa centrale, il primo a ricoprire un incarico di così elevata responsabilità tra gli ufficiali che avevano combattuto contro gli Alleati.
Erich Alfred Hartmann, il maggior asso tedesco con 352 aerei abbattuti (825 combattimenti aerei). Fu imprigionato dai Sovietici con la paradossale accusa di aver "sabotato lo sforzo bellico russo". Liberato nel 1955 per una precisa richiesta di Adenauer durante un visita di Stato, fu subito chiamato a comandare lo Jadgeschwader 71, la prima unità della Repubblica Federale Tedesca equipaggiata con i moderni aerei a reazione.
Friedrich Ruge (Bundesarchiv), in Italia nel 1943 come ufficiale navale superiore e poi inviato in Francia in qualità di consigliere navale di Rommel. Nell'autunno del 1944 fu promosso Direttore delle Costruzioni Navali del Reich. Caduto prigioniero degli Americani, fu da essi coinvolto nel team storico chiamato a ricostruire le fasi militari della guerra sul fronte occidentale. Reintegrato nella Bundesmarine, dal 1956 al 1961 fu comandante in capo delle operazioni navali in ambito Nato.
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