EXCALIBUR 153 - maggio 2023
in questo numero

Letture: "I Sardi a Salò" e il 25 aprile

di Gianfranco Murtas
il Dott. <b>Gianfranco Murtas</b> nel corso di un convegno
Il Dott. Gianfranco Murtas nel corso di un
convegno
Pubblichiamo una sintesi della recensione apparsa sul sito "Sardegna e Libertà" da parte di Gianfranco Murtas.

Alla vigilia della santa ricorrenza del 25 aprile, 78º anniversario della liberazione dell'Italia dalla peste nazifascista, mi accingo a scrivere qualche riga sul volume, che considero necessario e prezioso, documentato e... ponderato, reso con scrittura chiara e godibile, e che ancora colloco su uno scenario non di storia remota ma, per tanti versi, di "attualità pulsante" ben degna di riflessione critica, direi inquieta e profondamente critica, I Sardi a Salò, di Angelo Abis, uscito per i tipi del varesino Pietro Macchione Editore nell'ottobre dello scorso anno...
Nella distanza che mi separa da lui, e per quanto lo conosca attraverso le centinaia di pagine raccolte e pagine sparse da lui firmate, ho molto rispetto di Angelo Abis, non soltanto della sua dirittura personale ma proprio anche della sua libera franchezza di studioso che le proprie tesi le espone mai tacendo, con un linguaggio che da solo gli fa onore, i limiti e gli errori (e anche gli orrori) della parte che sente sua. La sua onestà di indagatore della storia è, mi sembra, in un dichiarato riscontro del chiaroscuro che s'appalesa in quel settore, ideale e temporale, della storia novecentesca italiana, al quale riconnette molto della propria esperienza civile e politica.
Il libro giunge ultimo in quanto offerta al pubblico, ma spero non ultimo, conclusivo cioè, nella sua produzione. Lo ripeto: Abis è un autore che merita stima e riconoscenza per la fatica che si è volontariamente caricato sulle spalle da molti anni in qua. Dico la fatica di coprire un vuoto nella ricostruzione, documentaria e testimoniale, delle esperienze culturali e politiche della destra sarda, né, invero, soltanto relative agli anni della dittatura e a quelli tremendi della guerra, ma anche del dopo. Intendo specificamente dar riguardo a quel tessuto di concertazioni fra minoranze estreme uscite sconfitte dagli esiti bellici e tese a difendere e rilanciare, nel nuovo ambiente costituzionale della Repubblica, idealità di radice nazionalista e social-corporativa. Mi riferisco in particolare allo studio (condiviso con Giuseppe Serra, autore anch'egli di gran valore) sulle "Origini del Movimento Sociale Italiano in Sardegna - 1943-1949", com'è intitolato un bel volume apparso nel 2016, di seguito a quell'altro, che ben poteva costituirne la premessa tematica (e uscito nel 2013), dal titolo "Il fascismo clandestino e l'epurazione in Sardegna, 1943-1946".
Ad Angelo Abis molto deve la rivista culturale (e di dibattito politico) Excalibur, giunta ormai al suo 151º numero e al 25º anno di vita (su carta "povera" prima, on line dopo), e che, da qualche tempo, sta assai utilmente e gradualmente riproponendosi in "storiche" annate rilegate che consentono un ordinato e documentato ripasso di tante posizioni espresse dal gruppo promotore e redazionale nel più recente quarto di secolo, così in politica interna, istituzionale e di ordine pubblico, ed estera o di difesa come in politica economica e sociale sulle più varie materie, dalla scuola alla sanità, dalle comunicazioni al turismo, ecc..
È molto importante, a mio avviso, il contributo via via offerto da tale rivista della destra cagliaritana - tanto più ora che anche il sindaco del capoluogo appartiene alla sua famiglia politica (epigono dei Tredici, Endrich, ecc., galantuomini ma per vent'anni imperdonabili gerarchi di una imperdonabile dittatura) - al civile confronto delle idee, e con esso, per il fatto in sé, mi pare degno di merito l'impegnativo e tenace, insistente sforzo della resa pubblica di tali produzioni: ché la democrazia si alimenta di dialettica, di incontri e scontri, di posizioni variamente argomentate e di sintesi, quando possibile - e spesse volte è possibile - in vista di approdi di larga e giustificata condivisione.
In 250 pagine molto curate e arricchite da una sezione documentaria-fotografica e da agili schede nominative, Angelo Abis presenta dunque la stagione di Salò e le figure dei suoi protagonisti nostri conterranei. Non li fa eroi questi protagonisti, li racconta - come anche è comprensibile - con il cuore ammirato per i talenti civili o culturali o artistici dei singoli, per le personali virtù di chi fu coinvolto in quelle vicende. Né questo dovrebbe contrariare alcuno per il fatto in sé, perché mi pare ben legittimo riconoscere anche nell' avversario i meriti dimostrati e, in diversi casi, perfino l'eccellenza che sfida il tempo. Lo aveva già fatto, Angelo Abis - debbo necessariamente richiamare i precedenti - tre lustri fa con il volume "L'ultima frontiera dell'onore. I Sardi a Salò", pubblicato, con la bella e competente prefazione di Giuseppe Parlato, dalla sassarese Doramarkus che costituisce l'ampia matrice della nuova edizione.
Rispetto al volume del 2009, questo nuovo presenta una ampia introduzione dell'autore, assente in quell'ormai remoto "tentativo pionieristico" e ora impostasi sia per inquadrare, ampliandola, la "galleria" dei personaggi biografati sia per meglio delineare le "motivazioni" e il "carattere peculiare" che è dato scorgere nei repubblichini sardi perché Sardi. Impresa, questa, di estremo interesse, tanto che si convenga con le conclusioni del saggio quanto che queste si contestino...
Meriterà tornare sul punto. E intanto però occorre esaminare l'impianto dell'opera (che sostanzialmente riprende lo schema del volume-matrice): cinque sono i capitoli riferiti specificamente ai "politici", ai "piloti", ai "comandanti militari", alle "formazioni militari" (con la cultura e le manifestazioni della "propaganda"), agli "intellettuali, artisti e poeti" presenti nella popolazione aderente al... sogno (o all'incubo) dell'estremo Mussolini.

Il sardofascismo e i numeri dell'affollamento.
In accompagno all'abbrivio di questo viaggio... fra le storie personali, credo giusto dare spazio al centro della "ricostruzione sentimentale" della partecipazione isolana, o di isolani, alla Repubblica mussoliniana che Abis colloca, in linea con una interpretazione della quale più volte egli si è fatto esponente, in un cosiddetto "sardo-fascismo". Un sardismo che sarebbe stato ribadito in forme diverse - ma che soltanto in parte a me pare davvero riscontrabile nei fatti - lungo l'intero ventennio, per approdare ancora e quasi sublimarsi fra le benedizioni delle supreme gerarchie, a Salò.
I Sardi, ad avviso dell'autore, «marcarono la loro presenza a Salò in maniera del tutto originale e, per certi versi, anche opposta rispetto a quanto espresso da altre comunità regionali». Tale disposizione sarebbe derivata dall'incontro realizzatosi appunto nei primi anni '20, e nelle larghe plaghe delle province di Cagliari e Sassari, tra fascismo e sardismo: un incontro che - protagonista la borghesia o la piccola borghesia (naturalmente con il supporto popolare rurale) - si sarebbe materializzato nella concretezza della petizione di «riscatto economico e sociale del tutto interclassista, venato di un nazionalismo etnico dialetticamente contrapposto allo stato nazionale». E la camicia nera sovrapposta a quella grigia dei primi lussiani avrebbe favorito, non sfavorito, l'udienza ottenuta dalla Sardegna presso il ministero romano, a partire dal famoso miliardo.
Vent'anni dopo, nei ranghi dell'alta burocrazia o in quelli dell'esercito armato, la componente sarda avrebbe non soltanto confermato l'imprinting regionalista delle origini ma anche dimostrato come questo lo affrancava di fatto da ogni soggezione alla prepotenza dei complici - pur complici - tedeschi. Mostrarono la schiena dritta - scrive press'a poco Abis - il Generale Solinas e il Capitano Manso, il Generale Princivalle e il Colonnello Porcu: sì destituiti dai loro gradi, ma non umiliati nella dignità personale...

Come un mesto Spoon River.
A possedere talento di poeta, dallo scorrere tali pagine ultime del libro con tutti quei dettagli del parziale conosciuto potrebbe trarsi ispirazione per un canto del cuore: dettagli che rimandano, per ciascun nome, a età e a sepolture, a corpi militari o a condizioni civili, a stati professionali e a circostanze del sacrificio: capitano, caporale, impiccato, legione, maresciallo, ospedale militare, prelevato, senza tomba, volontario...
Li scorri quei nomi, li ho scorsi, partendo dagli Addis e Agus e arrivando ai Tatti, agli Uras, agli Zito, quello ventenne di Bortigiadas, l'altro ventiduenne di Mores, l'altro ancora ventitreenne di San Teodoro, passando con l'occhio fra le caselle dei loro nomi come con le gambe fra i vialetti di un cimitero, e mestamente registrando come nessuna lettera dell'alfabeto manchi all'appello, quale che sia la classificazione. Non si fa cinica, non potrebbe mostrarsi tale e non lo potrebbe, per sua natura, neppure essere di fatto... perché sarebbe allora volgarmente ritorsiva e screditante la propria dignità umanistica, la coscienza antifascista che, convocata dal corretto servizio documentario reso dal Nostro, indugiasse fra quelle memorie.
Converge con questa riflessione quanto lo stesso autore scrive in una certa pagina del suo libro: «I Sardi di Salò sono carne della nostra carne, storia della nostra storia, non più, ma neanche meno, dei Sardi che in quel travagliato periodo avevano fatto scelte differenti se non opposte».
Le pagine di Angelo Abis ci consegnano storie di uomini che stavano dalla parte sbagliata della storia e della morale: generosi sì, forse, i più, e capaci di sacrificio e anche di eroismo, con il fermo senso dell'onore e con l'orgoglio d'una appartenenza, fieri di quanto era entrato in loro già nella prima età, o magari in un'adolescenza precocemente perduta fra incerti vagheggiamenti e sublimazioni in esperienze che avevano ignorato, e forse rifuggito, negli anni '20 e '30 (quelli con conclusione di leggi razziali), la santità civile della libertà, tanto più la libertà di pensiero e parola di quelli avvertiti lontani da sé. Erano vittime di cattivi maestri i giovani ventenni mandati a morire sui fronti disperati di una guerra sbagliata, giovani formatisi o deformatisi negli anni della dittatura, privati fin dal primo giorno dell'ossigeno di quel ragionar critico che, solo, può costruire una civiltà.
Proprio perché vittime sarebbe doveroso non escluderli, i caduti e i reduci, da una riflessione pietosa. Io li ricomprendo, tutti, dal primo all'ultimo, in una considerazione che al rispetto della loro umanità somma una compassione per quanto a loro la sorte, nella febbre di un tempo cattivo, ha negato di godere: le armonie di una patria che s'esalta nell'affermazione dei talenti morali dei singoli confortati e nutriti da un sentimento comunitario. Che sì, puoi chiamare nazionale, aggiungendo al primo aggettivo un secondo: democratico. Come Giuseppe Mazzini c'insegnò.
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