EXCALIBUR 153 - maggio 2023
in questo numero

Premessa

di Antonello Angioni
Il libro "I Sardi a Salò" nasce dall'esigenza - assai sentita dall'autore - di ricostruire un periodo della storia dei Sardi, e quindi della Sardegna, per far luce su vicende e personaggi ancora non indagati, rimasti nell'ombra. Si tratta di una ricostruzione fatta principalmente attraverso storie di persone (ho contato ben 40 biografie), molte delle quali sono il frutto di conversazioni e interviste. Anche questo, del resto, è un modo di "fare la Storia".
Ora - quale che sia il giudizio che ciascuno di noi può esprimere sulle vicende e i personaggi legati alla Repubblica Sociale Italiana (Rsi) - è evidente che sussiste l'esigenza di far conoscere quei fatti, di operare una ricostruzione storica, in termini per quanto possibile obiettivi e comunque secondo i canoni dell'onestà intellettuale: cosa non semplice anche perché - come osservava Braudel - l'oggettività non è nella natura umana e quindi non può essere neanche nello storico.
Del resto, la storia non è mai - né potrebbe essere - una mera rappresentazione del passato in chiave neutra. Per definizione, è ricerca e indagine, analisi e interpretazione di fatti, ricostruzione di vicende, riflessione che si alimenta in una dialettica fatta di incontri e scontri, di "tesi" e "antitesi", come ci ha insegnato Hegel. E, aggiungo, non necessariamente di "sintesi". È pertanto inevitabile che la storia costituisca, in qualche misura, una illustrazione soggettiva delle vicende e che l'oggettività - se così si può dire - debba essere ricercata esclusivamente nella serietà e nello scrupolo con cui l'interprete ha raccolto le fonti ed esaminato i fatti.
E qui soccorre il rigore col quale opera Abis, il suo coraggio, la sua forte passione civile. Non vi è dubbio che Abis lavori con lo scrupolo del documentarista e con l'onestà che deve avere ogni indagatore della storia nello sforzo teso a diseppellire, dall'oblio e dalle manipolazioni di parte, alcuni passaggi importanti della nostra storia. Il lavoro non deve essere stato semplice perché l'analisi storiografica - soprattutto se condotta con rigore - spesso, più che dare risposte, sollecita nuovi interrogativi e apre nuovi terreni d'indagine. Ma era importante coprire la lacuna, lasciare testimonianza scritta, anche perché - come scrive Abis - «I Sardi di Salò sono carne della nostra carne, storia della nostra storia, non più, ma neanche meno, dei Sardi che in quel travagliato periodo avevano fatto scelte differenti se non opposte». E allora va anche detto che lo storico è chiamato a rimuovere zone d'ombra e a far conoscere ogni cosa secondo verità.
Il volume - come ha scritto Gianfranco Murtas in un'ampia recensione pubblicata di recente sul sito "Sardegna e Libertà" - è «necessario e prezioso, documentato e ponderato». Si tratta di un riflettore puntato «su un campo che, solo a evocarlo e tanto più a esplorarlo, desta in molti ancora comprensibili inquietudini». È quindi «scontato e inevitabile che una materia ancora calda, pur se non più incandescente, si esponga a considerazioni non pienamente serene e distaccate».
Murtas - pensatore di idee politiche assai distanti dall'autore - precisa di avere «molto rispetto di Angelo Abis, non soltanto della sua dirittura personale ma proprio anche della sua libera franchezza di studioso che le proprie tesi le espone mai tacendo, con un linguaggio che da solo gli fa onore, i limiti e gli errori (e anche gli orrori) della parte che sente sua». Pertanto, «Abis è un autore che merita stima e riconoscenza per la fatica che si è volontariamente caricato sulle spalle da molti anni in qua. Dico la fatica di coprire un vuoto nella ricostruzione, documentaria e testimoniale, delle esperienze culturali e politiche della destra sarda».
Ai fini dell'inquadramento del fenomeno oggetto di studio, nella nota introduttiva, Abis parte dagli anni del primo dopoguerra che ripercorre inquadrando i caratteri peculiari che, nella nostra Isola, ebbe il Movimento dei Combattenti che costituì la matrice storica del Partito Sardo d'Azione, una forza interclassista che poi, in larghissima misura, fu interessata dalla fusione col Partito Nazionale Fascista per dare vita al "Sardofascismo", esperimento che non ebbe eguali in nessun'altra parte d'Italia.
Questa particolarità potrebbe essere alla base dell'adesione alla Repubblica di Salò da parte di un numero non trascurabile di Sardi. Si trattava di uno schieramento di forze assai eterogeneo per basi ideologiche, provenienza sociale e impostazioni politiche e culturali. Quei Sardi rivendicavano la libertà di stampa, il pluralismo dei partiti, l'indizione di una Costituente e persino la socializzazione dell'economia: un programma che, a mio avviso, si ricollega più al "primo fascismo" - quello dei "fasci di combattimento" per intenderci - che a quello degli anni di consolidamento del regime.
Nel complesso, a Salò si respirava un'aria anticonformista, caratterizzata dall'avversione nei confronti di Casa Savoia, dell'alta borghesia e del grande capitale. E vi era anche una critica, più che radicale, verso il cosiddetto fascismo "regime autoritario", conservatore e illiberale. Alcuni aderenti alla Rsi entrarono in collisione con i comandi tedeschi, di cui non accettavano le direttive e mal sopportavano le interferenze e i controlli. Tra l'altro, non erano rari i casi di Sardi fascisti che avevano buoni rapporti o frequentavano Sardi antifascisti e persino partigiani.
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