Sopra: Trochym Denysovyc Lysenko, biologo
favorito di Stalin
Sotto: Nikolaj Ivanovic Vavilov, presidente
dell'Accademia Lenin di scienze agrarie prima
dell'avvento di Lysenko, fu confinato a Magadan
in Siberia
Negli anni '60 e '70, i testi scientifici prodotti dagli studiosi sovietici e da quelli della Ddr presentavano spesso, nei primi capitoli, un chiaro riferimento al contesto politico che aveva "garantito" loro l'opportunità di effettuare studi di alto livello, riferimento che spesso sfociava in uno stucchevole ringraziamento.
Le edizioni in italiano, probabilmente per accordi imprescindibili con l'editore della versione originale (si trattava ovviamente di editoria di stato) riportavano tutto fedelmente. I regimi totalitari hanno sempre strumentalizzato la produzione scientifica del proprio paese, ma è abbastanza rara la mistificazione programmata, volta cioè ad avvalorare paradigmi in grado di corroborare l'ideologia di regime. In questa ipotetica e singolare classifica Stalin occuperebbe senza alcun dubbio il primo posto. Il dittatore sovietico ha infatti utilizzato tutti i mezzi al tempo disponibili per manipolare la scienza e affermare le tesi comportamentiste che stavano alla base del materialismo comunista.
Lo studioso che più di altri ha portato acqua al mulino del dittatore georgiano è stato sicuramente Ivan Pavlov. Deceduto nel 1936, più o meno a metà del mandato governativo di Stalin, ha esercitato un'enorme influenza sugli studi comportamentali, evidenziando spesso il ruolo fondamentale assunto dai processi di autoregolazione nell'adattamento all'ambiente. Pavlov e i suoi allievi ritenevano l'organismo umano un sistema in grado di autoregolarsi al livello più elevato, di autoconservarsi, ristabilirsi, correggersi e perfino perfezionarsi. L'attività di Pavlov e dei suoi seguaci si è sviluppata tutto sommato in modo abbastanza congruente con il metodo scientifico, seppure non siano molti i riscontri oggettivi che ne confermino la validità.
Il richiamo a Trochym Denysovyc Lysenko, biologo favorito di Stalin, è invece imbarazzante: qualunque medico negazionista del recente periodo covid non reggerebbe il confronto. Dal 1948 e per più di quindici anni, Lysenko riuscì a imporre alla comunità scientifica sovietica, la sua visione unilaterale: cromosomi e geni banditi, studiosi autorevoli espunti dai libri di testo perché traditori dell'originario carattere materialistico e progressista del darwinismo, Mendel e le sue leggi rifiutati perché portatori di indeterminatezza derivata dall'analisi statistica dell'ereditarietà.
Non è facile comprendere fino in fondo ciò che ha rappresentato Lysenko nell'Unione Sovietica del dopoguerra. Per afferrarne il senso è utile pensare a più di vent'anni durante i quali le migliori intelligenze di una nazione di prestigio sono costrette a raffigurarsi la biologia in modo bizzarro. Aggiungiamo poi tutti i manuali, i libri, le enciclopedie, "depurati" dalla biologia vera. Immaginiamo infine uno "studioso" che, forte di un appoggio politico incondizionato, riesca a impedire la diffusione delle conoscenze scientifiche autentiche, a escludere dalle università e dalle scuole superiori tutti i contributi avversi alla sua interpretazione. Se riusciamo a rappresentare tutto questo nella nostra mente, abbiamo compreso ciò che è stato Trochym Denysovyc Lysenko, ma analogamente ci appare chiaro che le sue forzature non hanno fortunatamente avuto epigoni nello sviluppo della prassi sperimentale.
Certo, noi siamo stati abituati ad assistere a operazioni di "pulizia" riguardanti l'ambito storico, dove la ricerca si muove con strumenti meno precisi e sempre attraverso la mediazione umana, revisionare la biologia o la fisica è un'impresa ardua in qualunque paese. Di sicuro la mistificazione, la menzogna e l'occultamento sono metodi assai diffusi in tempi di guerra e l'Urss è un paese in guerra perenne, la "guerra fredda" è solo un campo di battaglia differente, meno cruento ma pur sempre un campo di battaglia. Ci si potrebbe persino riferire alla mitologia: la guerra di Troia non fu Achille a vincerla ma Ulisse attraverso la fake del "cavallo di Troia dono degli dei per i Troiani". In tempi assai più recenti abbiamo assistito alla gestione della pandemia influenzale di circa un secolo fa, la cosiddetta spagnola, diffusa in tutto il mondo e in tutti gli eserciti impegnati nel conflitto del '15-'18, ma taciuta da tutti per non avvantaggiare il nemico. Fu infatti definita "spagnola" perché l'unico paese in cui la stampa ne riferì fu la Spagna, che non era in trincea.
Tornando a Lysenko e agli obiettivi di Stalin per il suo tramite, per comprenderli al meglio occorre accostarsi correttamente alle dinamiche di apprendimento del comportamento umano. Seguendo le più recenti acquisizioni delle neuroscienze, dobbiamo riferirci a ciò che è in grado di fare ogni essere umano e al modo in cui lo fa. Le conoscenze e le competenze comportamentali che un individuo è in grado di acquisire e il modo in cui vi riesce e le rappresenta a livello corticale sono interrogativi ancora aperti e anni di studi hanno evidenziato il ruolo centrale dell'interazione tra le strutture innate e i meccanismi molecolari dell'apprendimento. La ricerca in ambito neuroscientifico ha evidenziato l'influenza decisiva che la complessità e la varietà delle esperienze mentali hanno esercitato sul comportamento dell'uomo nel corso della sua evoluzione, che si è dimostrata almeno pari all'importanza dei fattori genetici. È difficile, secondo i più grandi studiosi del secolo in corso
(1) e di quello immediatamente precedente trovare una priorità, se non per alcune attività specifiche, tra fattori genetici (o innati) e ambientali: la loro influenza varia incessantemente, ma è ormai noto che, pur in minima parte, anche un semplice comportamento stereotipato può mutare per effetto dell'ambiente.
La manipolazione operata da Lysenko era mirata a spostare sull'influenza ambientale tutto il peso delle modificazioni che avvengono nel nostro cervello.
La ricerca applicata oggi si rivolge a quegli aspetti del comportamento che in qualche modo possono ritenersi frutto di eredità genetica e al modo in cui i geni esercitano il proprio controllo su di essi, ma soprattutto alle modalità d'interazione tra processi genetici e ambiente e alle modificazioni sul fenotipo che la reiterazione di qualunque azione determina. È noto che Charles Darwin è stato il primo a sostenere che il comportamento degli animali è in parte governato dagli stessi processi logici che guidano l'agire umano, sebbene in forma meno organizzata. Secondo la logica evoluzionista, se gli uomini si sono evoluti da animali più semplici, anche il comportamento umano dovrebbe essere guidato dagli istinti, per questo motivo l'interazione tra processi genetici e ambiente attraverso l'utilizzo di modelli animali ha costituito un filone di ricerca molto produttivo.
La matrice di formazione di Lysenko era legata alle scienze agrarie. Nacque in Ucraina a Karlivka, nella regione di Poltava, nel 1898 e sempre in Ucraina, ma a Kiev, morì nel 1976. Lavorò presso gli istituti di orticoltura di Poltava (1913), di Umansk (fino al 1921), di Kiev, di Gandja nell'Azerbaigian e poi di Odessa. La sua polemica con la genetica classica sfociò nel 1935 nell'elaborazione di una teoria di impronta neolamarckista
(2). Affermò in pratica che i caratteri acquisiti attraverso la modificazione delle condizioni ambientali, in primis l'alimentazione, sarebbero potuti diventare parte del patrimonio ereditario degli organismi. Negò le teorie di Gregor Mendel sostenendo una teoria che in verità risale agli studi di Ivan Vladimirovic Micurin (Dolgoe 1855 - Micurinsk 1935). Secondo Micurinsk e poi Lysenko, modificando le condizioni ambientali e l'alimentazione si potrebbe alterare stabilmente la costituzione ereditaria degli organismi. Il partito comunista e Stalin in prima persona approvarono questa teoria ritenendola conforme alla filosofia marxista. Il sostegno di Stalin e del Pcus misero a lungo Lysenko al riparo dalle critiche, almeno in patria e nei paesi filosovietici, ma la comunità scientifica internazionale decretò ben presto la fallacia delle sue ipotesi.
A fare le spese di questa assurda costruzione fu sopratutto Nikolaj Ivanovic Vavilov, presidente dell'Accademia Lenin di scienze agrarie: fu confinato a Magadan in Siberia e Lysenko nel 1938 prese il suo posto e nel 1940 assunse anche la direzione dell'Istituto di Genetica dell'Accademia delle Scienze. Dopo la morte di Stalin nel 1953, l'egemonia di Lysenko cominciò a subire qualche scossa e nel 1956 la falsità delle sue teorie si diffuse anche in patria e la protezione del Partito gli venne meno. Venne estromesso dalle cariche più importanti che occupava e i genetisti che aveva fatto esonerare dagli incarichi furono restituiti ai loro posti. Nikolaj Vavilov, purtroppo, era deceduto nel 1943.
(1) Tra i tanti, Charles Scott Sherrington e più di recente Eric Kandel.
(2) Rifacendosi ai principi formulati da Jean-Baptiste Lamarck, si oppose al darwinismo classico. L'ereditarietà dei caratteri acquisiti per effetto dell'uso e del non uso degli organi, o per influenze dell'ambiente, è il suo fondamento. Nella seconda metà del XIX secolo e nei primi decenni del XX trovò molti sostenitori, soprattutto tra i biologi francesi. Gli esperimenti di Wilhelm Ludvig Johannsen, che dimostrarono la non ereditarietà dei caratteri acquisiti, la riconosciuta invalidità degli esperimenti di Paul Kammerer, che pretendeva di averne dato la prova, e i dati negativi raccolti dalla sperimentazione genetica, ne determinarono il definitivo tramonto.