Svantaggio naturale derivante dall'insularità
Il riconoscimento, nella Costituzione della Repubblica, dello svantaggio strutturale che deriva dalla condizione di insularità costituisce senza dubbio lo strumento più idoneo per porre le basi del riequilibrio della Sardegna rispetto alle altre regioni d'Italia. Questo perché solo l'affermazione di tale principio - che poi costituisce una declinazione dei princìpi di uguaglianza sostanziale e pari opportunità - consente di mettere in sicurezza i provvedimenti di "favore" che dovranno essere adottati dal legislatore (nazionale e regionale) per incentivare lo sviluppo della nostra Isola.
La proposta di legge prevede che, dopo il quinto comma dell'art. 119 della Costituzione, sia inserito il seguente: «
Lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità e dispone le misure necessarie a garantire una effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili».
L'obiettivo è quello di favorire il riequilibrio economico e sociale, attraverso risorse e interventi, anche fiscali, in particolare nei settori dei trasporti e dell'energia, e quindi di avviare a soluzione gli svantaggi strutturali che frenano la crescita e lo sviluppo di alcuni territori dello Stato.
In questa prospettiva il voto favorevole del Senato della Repubblica sulla proposta di legge volta all'inserimento del principio di insularità in Costituzione rappresenta una straordinaria vittoria di tutti i Sardi. Non è una richiesta di assistenzialismo ma una richiesta di dignità. La procedura - si sa - non è semplice perché, trattandosi di una modifica della Costituzione (e più precisamente, dell'art. 119), occorre la "doppia lettura parlamentare".
Il ragionamento alla base della proposta di legge è molto lineare: essere un'isola comporta un grave e permanente svantaggio naturale e quindi notevoli costi aggiuntivi che devono essere compensati in nome della coesione nazionale. L'obiettivo è dunque quello di rendere uguali i punti di partenza per tutti i cittadini italiani.
Il problema non era sfuggito ai padri costituenti che al terzo comma dell'art. 119 inserirono un puntuale riferimento alla condizione delle isole che venivano considerate realtà svantaggiate da un punto di vista geografico, economico e sociale e, come tali, da valorizzare anche attraverso specifici incentivi. Tutto ciò aveva costituito oggetto di un importante dibattito nei lavori dell'Assemblea costituente.
Tuttavia, con la riforma del 2001, il legislatore costituzionale ha eliminato dall'art. 119 ogni riferimento all'insularità, senza peraltro ridisciplinare la condizione delle zone insulari, dimenticando (o facendo finta di dimenticare) la loro evidente condizione di squilibrio dovuta alla peculiare collocazione geografica che incide su trasporti, commercio, energia, diritto alla salute e all'istruzione e così via.
E la cosa singolare è che, negli stessi anni, attraverso la normativa comunitaria e i trattati internazionali, si andava nella direzione del riconoscimento del principio di insularità. Peraltro l'Unione Europea, nel contempo, attraverso la disciplina della concorrenza (e in particolare la limitazione degli aiuti di Stato), spesso frenava l'erogazione degli incentivi economici e fiscali volti al riequilibrio del gap strutturale di cui parti del territorio nazionale (e in particolare le isole) risentono.
Intendiamoci, l'Europa - anche sulla base dei princìpi contenuti nel Trattato di Amsterdam - considera la necessità di colmare il ritardo delle regioni meno favorite come le isole e applica delle variabili con la previsione di politiche destinate ad aiutare le stesse. Ma tutto ciò non è bastato agli Stati membri quando hanno deciso di soccorrere con aiuti e provvedimenti specifici i territori svantaggiati, per non cadere nei divieti previsti in materia di aiuti di Stato.
Che fare? Come superare il problema? Qual è il modo per fendere le strette maglie della disciplina sulla concorrenza e colmare gli svantaggi che derivano dalla condizione di insularità? La risposta è una sola: inserire il principio di insularità nella Costituzione, facendolo diventare parte di quell'identità costituzionale/nazionale sovraordinata ai trattati e, di conseguenza, alla disciplina sulla concorrenza. In virtù di quale ragionamento?
Si deve partire dal Trattato di Maastricht laddove afferma che «
L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri»: richiamo all'identità nazionale che deve essere letto come riferito principalmente alla Costituzione nazionale. Quel richiamo implicito alle costituzioni, del resto, viene esplicitato all'art. 174 del Trattato di Lisbona, che, secondo l'interpretazione corrente, fa sì che la preminenza del diritto europeo venga meno ogni qualvolta lo stesso entri in conflitto con le strutture fondamentali delle costituzioni nazionali.
In siffatto contesto, la proposta di legge di iniziativa popolare per la modifica dell'art. 119 della Costituzione (sulla quale è stato di recente ottenuto il voto favorevole del Senato) ha avuto il pregio di portare al centro del dibattito nazionale il tema dell'insularità e delle pari opportunità dei cittadini residenti nelle isole. Il risultato che dovrebbe conseguirsi non dovrebbe essere limitato all'introduzione di regimi di vantaggio in grado di compensare il grave e permanente svantaggio rappresentato dalla condizione di insularità, ma dovrebbe tendere al superamento dei limiti rigorosi imposti dall'Unione europea (soprattutto nel regime degli aiuti di Stato) che hanno inciso pesantemente anche nell'individuazione di un modello di continuità territoriale.
La modifica dell'art. 119 della Costituzione può quindi concorrere a definire l'identità nazionale italiana e, in quanto tale, a consentire anche deroghe al regime degli aiuti di Stato che legittimino l'introduzione di misure efficaci per il rilancio dell'economia della Sardegna. Gli svantaggi strutturali che l'Isola soffre sono evidenti: basti pensare alla dipendenza dai trasporti marittimi e aerei con i sovraccosti del tempo perso anche durante i processi produttivi. L'economia della Sardegna risente sempre della ristrettezza del mercato locale e di una scarsa diversificazione economica che la rendono vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati.
Di qui l'esigenza di condurre una battaglia responsabile, forte e decisa, a tutela degli interessi dei Sardi evitando peraltro di cedere a inutili eccessi e facili demagogie.