Sopra: il Mali, lo stato "farfalla" circondato da povertà e fanatismo
Sotto: la moschea di Djennè, costruita nel 13º Secolo, in mistura di fango e paglia, è il monumento più celebre dell'Africa musulmana
Il Mali - paese sconosciuto per molti fino a poco tempo fa - è uno stato dell'Africa dell'ovest. La sua configurazione dà l'immagine di una farfalla e rende perfettamente l'idea della sua singolarità.
È un paese relativamente grande, 1,2 milioni di kmq, inserito tra il Tropico del Cancro e l'Equatore e la distanza tra il nord e il sud del paese è di circa 1.600 chilometri.
I suoi 15 milioni di abitanti vivono soprattutto nel sud del paese, punto di incontro delle sue etnie: vi si mescolano l'Africa nera e quella bianca, eredi dei due grandi imperi del Mali e del Songhai, nati intorno al III secolo e il cui declino cominciò nel X secolo.
Mescolanza di gruppi etnici, dai Bambara ai Malinke, dai Peul ai Senufo, dai mitici Dogon alle tribu Tuareg del nord.
Paese a maggioranza musulmana (circa il 90%) con una marcata impronta di animismo, ha piccole comunità cattoliche e protestanti.
Il Mali è stato fino a pochi mesi fa una delle poche eccezioni di libertà dell'Africa intera. Freedom House nel suo Report del 2012 lo ha definito "libero" e questo accade fin dal 1992, dopo una lunga parentesi di mancanza di libertà, successiva alla sua indipendenza dalla Francia ottenuta nel 1960.
Ora questo paese è sulla ribalta internazionale: cosa è successo?
L'ex colonia francese è da nove mesi il monumento agli errori libici di Sarkozy, da quando gli addestratissimi miliziani di al-Qaeda del Maghreb, di Ansar Eddine e dei loro gruppi satelliti controllano indisturbati il nord del Mali.
Timbuctu, la mitica città situata nell'ansa del Niger, fondata dai Tuareg nel 1100 d.C., è diventata il santuario delle milizie tuareg d'ispirazione jihadista. Soldati addestratissimi perché da decenni abituati a combattere - profumatamente pagati - per l'ex rais della Libia, Gheddafi.
Morto il colonnello, essi hanno fatto razzia degli arsenali ormai incustoditi e sono tornati a casa, pronti a combattere per l'indipendenza tuareg.
Il 22 marzo un gruppo di soldati ha preso il potere con un colpo di stato originato dalle difficoltà incontrate nel fronteggiare i ribelli tuareg del nord, sospendendo di fatto la Costituzione e proclamando il coprifuoco.
Il 6 aprile 2012 l'Azawad - con capitale Gao - ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza.
Ne è scaturita una guerra civile che ha portato la componente tuareg a prendere il controllo del territorio. La parte tuareg della popolazione è orientata marcatamente in senso fondamentalista, con alcune frazioni (gli Ansar Eddine - i difensori della fede) che aderiscono al "gruppo salafita per la predicazione e il combattimento" (un nome, un programma) che ha preso il nome di al-Queda nel Maghreb islamico.
E le milizie jihadiste hanno cominciato a distruggere le numerose reliquie della locale tradizione sufi (decisamente un Islam più pacifico), tra le quali antichi mausolei e sepolture di alcuni venerati "santi" musulmani, a causa dell'ostilità del wahhabismo verso qualsiasi forma di culto che non sia rivolta ad Allah.
In questi ultimi nove mesi, Hollande non ha fatto nulla per bloccare il disastro ereditato dal suo predecessore all'Eliseo.
Ma quando le incursioni e il terrore dilagano verso il sud e si spingono verso il Niger, la Francia chiede subito aiuto all'Onu e ai paesi dell'Africa occidentale.
Alla fine dello scorso dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato l'intervento militare in Mali.
L'ambasciatore francese all'Onu, Gérard Araud, sosteneva comunque che non c'era certezza di un intervento militare, che secondo le più pessimistiche previsioni sarebbe potuto iniziare non prima di otto-dieci mesi: «
Forse gli islamisti si arrenderanno prima e si ritireranno nel nord del paese per evitare che l'armata tutta africana (così stabilisce la risoluzione dell'Onu) metta piede nell'Azawad».
Cosa ha fatto cambiare idea alla Francia, tanto da cominciare improvvisamente i suoi raid nella zona?
La risposta è probabilmente nel Niger. L'estendersi delle incursioni ribelli verso quel paese ha messo in fibrillazione l'Eliseo che ha visto la minaccia avvicinarsi pericolosamente nell'area del Niger nella quale opera l'Aruva, la super azienda nazionale, monopolista nell'estrazione dell'uranio usato per alimentare l'immenso parco delle centrali nucleari francesi.
L'Aruva garantisce a Parigi il monopolio sui giacimenti al quarto posto nelle classifiche mondiali dell'uranio: motivo sufficiente per non abbandonare il Mali ad al-Qaeda, ma soprattutto per preservare la stabilità del Niger.
L'intervento francese ha costretto gli islamisti, sotto i ripetuti bombardamenti dei caccia transalpini, a cedere terreno, compresa Gao e ad abbandonare parti del paese sotto il loro controllo. Intanto, cominciano a contarsi vittime e feriti e migliaia di profughi che fuggono verso la Mauritania e il Burkina Faso.
Ma, pur se in difficoltà, i fondamentalisti hanno preso Konna e anche Diabaly, nella zona di Segou, a soli 400 chilometri dalla capitale Bamako.
Promettono rappresaglie: «
La Francia ha attaccato l'Islam e noi colpiremo il cuore della Francia».
L'azione diplomatica di Hollande ha ottenuto la disponibilità e il supporto di numerosi paesi (Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Russia, Cina, Algeria) e anche dei Tuareg del Mnla (Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad), ex alleati degli islamisti, in uno spregiudicato gioco a rimpiattino.
Il loro leader, Bilal Ag Acherif, è pronto a collaborare ma «
a patto che l'esercito del Mali non approfitti dell'intervento straniero per superare la linea di demarcazione» tra il territorio controllato dal governo e quello in mano alla ribellione tuareg.
Azione anti-terrorismo o siamo di fronte a un neo-colonialismo?
Se lo domandano in molti, così come si dà scarso credito alla disponibilità della gauche francese di sostenere il peso di un costoso e prolungato impegno nelle sabbie desertiche del nord del Mali, soprattutto in un periodo di crisi economica e di disoccupazione crescente.
Laurent Fabius, capo della diplomazia francese, afferma che il Mali non diventerà come l'Irak per gli Stati Uniti.
Intanto la risposta di al-Qaeda, per nulla intimorita da bombardamenti, risoluzioni Onu e promesse occidentali, non si è fatta attendere: ha occupato il sito minerario algerino di In Amenas, sequestrato tecnici occidentali e lavoratori algerini e il susseguente blitz delle forze militari del paese africano si è risolto in un fiasco colossale e una strage di ostaggi.
E così, dopo aver consegnato la Libia ai fondamentalisti, aver regalato l'Egitto ai Fratelli Musulmani e appoggiato gli integralisti musulmani in Siria, l'Occidente si prepara a guardare da lontano ciò che avviene in Mali: al-Qaeda e l'integralismo islamico già se la ridono.
Questo film lo hanno già visto.
Ho visitato il Mali nel 2004.
Dalla capitale Bamako mi sono spinto a Segou e da qui fino a Mopti, sulle rive del mitico Niger, punto di partenza ideale per le escursioni a Djenné, splendida città che ha conservato le caratteristiche di una fortezza situata al centro dell'acqua e immutata dopo dodici secoli. Il grande mercato del lunedì, che si tiene davanti alla splendida moschea del XIII secolo, ritrova il suo antico splendore, punto di incontro di tutte le popolazioni ed etnie dell'Africa occidentale, in uno sgargiante scenario di colori e di profumi.
E da qui si parte per il mondo delle rosse falesie, fino a Bandiagara, terra dei mitici Dogon, un popolo intriso di misticismo e religiosità, con stupefacenti conoscenze astronomiche.
Tradizionalmente animisti, nonostante l'Islam nero abbia cercato di convertirli al loro credo, essi hanno un unico Dio creatore e credono che i primi esseri umani generati dall'argilla dal Dio fossero otto Dogon, quattro maschi e quattro femmine, ma in possesso anche dell'anima del sesso opposto.
Questa è la vera anima del Mali: un popolo pacifico, pieno di religiosità e di tolleranza, non a caso, fino a ieri, un'isola di pace e di libertà nel cuore dell'Africa.