Napoleone Bonaparte
Berlusconi come Napoleone a Waterloo? Magari! Risponderebbe il Cavaliere! Già, perché Napoleone si presentò a Waterloo non proprio in condizioni disperate, anzi la consistenza delle sue truppe, segnatamente l'artiglieria, unita alla sua scontata capacità tattica e strategica gli avrebbero certamente consegnato la vittoria, se imponderabili fatalità non avessero trasformato un probabile successo in un irrimediabile scacco.
Il Cavaliere si presenta, invece, alle elezioni di febbraio in cui l'alternativa è tra una catastrofe epocale e una dignitosa sconfitta. Oddio, se torniamo indietro a quel novembre del 2011, quando, sotto il tiro incrociato delle opposizioni, della magistratura, dei poteri più o meno forti, delle principali cancellerie europee, nonché dei tanti pseudo amici e alleati, sembrava che lo aspettasse un'ingloriosa fine sul tipo di quella toccata al suo amico Bettino Craxi.
Tant'è che la richiesta delle sue dimissioni in cambio di una permanenza del Pdl nella maggioranza del nuovo governo tecnico gli dovette apparire come un'inaspettata ciambella di salvataggio da prendere al volo. Cosa che infatti fece, malgrado molti del centrodestra fossero favorevoli ad andare a elezioni anticipate, cioè votarsi a un sicuro suicidio.
A tutt'oggi c'è gente che rimprovera Berlusconi di aver appoggiato Monti, dimenticando che lo stesso, per molto tempo, ha ottenuto un consenso pressoché totale da parte dell'opinione pubblica italiana e che il principale artefice di un'eventuale politica antimontiana, cioè il Pdl, non solo era strutturalmente e politicamente inesistente, ma pure travolto da una serie di episodi di corruzione e di latrocinio di danaro pubblico, per cui gran parte dell'elettorato di centrodestra, schifato dalla politica, si era collocato nell'area del non voto.
Chi si fece avanti fu invece Bersani, il quale col caso Renzi e con le primarie riuscì a rianimare il Pd, pur esso, non meno degli altri partiti, indebolito dall'antipolitica e dal grillismo. La posizione del Pd si rafforzò ulteriormente con la vittoria alle elezioni regionali siciliane e con la permanenza del "porcellum". Per cui la previsione più realistica del futuro quadro politico era quella di una schiacciante vittoria del Pd.
La qual cosa non poteva non impensierire chi, non solo in Italia, ma soprattutto oltre Alpi, non gradisce affatto l'affermarsi di una sinistra non più condizionabile. Forse è opportuno ricordare che in passato anche i governi di centrosinistra non furono affatto teneri nei confronti della Germania e che D'Alema, candidato alla carica di commissario Cee agli affari esteri fu sonoramente bocciato proprio dai suoi "fratelli" europei. E da qui l'ambizioso progetto di mettere in giuoco uno schieramento centrista in grado di coagulare i cosiddetti moderati e riformisti sia di destra che di sinistra, con l'obbiettivo di riproporre Monti come ago della bilancia della politica italiana e soprattutto come garante della nostra subordinazione agli interessi della Germania.
Ed è a questo punto che in un Berlusconi spento, indeciso e logorato dall'impossibilità di individuare una qualche strategia valida da contrapporre al crescente successo di Bersani è scattata la molla che gli ha permesso di individuare alcuni punti che potevano giocare a suo favore: un'opinione pubblica disponibile a uscire dal ghetto dell'astensionismo e dell'antipolitica pur di porre un freno alla gravissima crisi economica e sociale figlia del "rigore" del governo Monti. Una crescente avversione anche da parte di ambienti qualificati ai diktat tedeschi sulla politica monetaria e finanziaria. Il notevole imbarazzo della sinistra nel dover prendere atto che forse il suo nemico principale non era più Berlusconi, bensì l'asse Merkel-Monti.
E così il Cavaliere, rotti gli indugi, tra la costernazione dei nemici e l'irritazione degli amici, prese di nuovo palla e cambiò completamente strategia.
Per prima cosa, con la proposta (rifiutata) fatta a Monti di porsi a capo del centrodestra, fece fallire l'operazione del Partito popolare europeo, di Casini e di una parte del Pdl di accreditare Monti come leader di una nuova destra europea.
Passa poi a riorganizzare quel che è rimasto del Pdl: basta con le ambiguità, i contorcimenti e le megalomanie individuali. Il partito va epurato al 90%: via i
peones, quelli con una gamba dentro e una fuori, i ricattatori e i ladri. Spazio a quelli di ex An e di altri movimenti che vogliono mettersi in proprio, purché federati con lui. Seguono poi altri importanti risultati come l'alleanza della Lega, la neutralizzazione del tentativo di alcuni ambienti clericali di convogliare verso Monti il voto cattolico.
La strategia è tutta d'attacco: nessuna autocritica, anzi accuse pesantissime a Monti, Casini e Fini, trattati come poco di buono.
Lo stile è un po' quello di un Grillo in doppiopetto. Lo accomunano al comico genovese, anche se in maniera più ovattata, l'avversione all'Europa a guida tedesca, la sfiducia verso l'euro e il rimpianto della lira.
È seguita, poi, una straordinaria cavalcata sui mezzi di comunicazione di massa culminata con la partecipazione alla trasmissione di Santoro, dove il Cavaliere ha sovvertito tutti i pronostici mettendo nel sacco coloro che dovevano stenderlo e realizzando un'audience eccezionale. Se alla data della stesura di questo articolo (22 gennaio) dovessimo fare delle previsioni sullo stato dell'arte, diremmo che il Cavaliere, dato per impresentabile appena tre settimane fa, è sicuramente fra i tre che saranno della partita il 24 febbraio: gli altri due sono Monti e Bersani.
Sul risultato finale giocano a sfavore un persistente scetticismo dell'opinione pubblica sulla possibilità che il Pdl possa superare in voti il Pd, un'inadeguatezza del ceto politico di centrodestra, la cui presunzione è spesso inversamente proporzionale alle proprie capacità, un esercito raccogliticcio e poco addestrato.
Ma noi non disperiamo: Napoleone vinse tante battaglie con eserciti di straccioni, e se a Waterloo un vero e proprio diluvio non gli avesse impedito di attaccare all'alba e di muovere l'artiglieria avrebbe vinto ancora una volta.
Speriamo che il 24 febbraio Berlusconi affronti la battaglia finale col sole in fronte e ben preparato. Del resto ha ancora un mese e mezzo per manovrare senza che, per la prima volta dal 1994, si sia creata l'
union sacrèe antiberlusconiana.