Quando la finanza mette la politica alle corde
La responsabilità dell'Ue e della finanza... Una grande coalizione alle porte?
di Ernesto Curreli
Il governo tecnico di Mario Monti è riuscito nell'impresa, forse non programmata, di mettere alle corde i grandi partiti nazionali e i sindacati.
Assumendo le decisioni più impopolari, necessarie e non più differibili, in pochi mesi ha messo in secondo piano l'ampio fronte politico-sindacale che aveva la sua ragione d'essere nel consenso elettorale e nella difesa degli interessi della gente comune. Perlomeno questo era il senso costituzionale della sua non trascurabile presenza nel corpo della società civile.
Come questo sia accaduto è sotto gli occhi di tutti. L'Italia era sotto l'attacco della speculazione finanziaria e la stessa Europa stava attraversando un momento di grande confusione e impotenza. Tutti sapevano che, prima o poi, dopo la Grecia, la Spagna, l'Irlanda e il Portogallo, sarebbe toccato all'Italia e quindi alla Francia e alla Germania. Solo la Gran Bretagna sembrava immune, ma era un'illusione che coltivavano pochi economisti. Già dal 2010 gli Inglesi avevano rialzato l'Iva sui consumi e introdotto misure restrittive sul debito pubblico: i primi effetti del rallentamento interno si vedevano già nell'estate del 2011. Nulla avevano fatto, però, per tassare le rendite finanziarie, perché da queste la City trae la sua unica fonte di reddito e perché la Gran Bretagna, coi suoi proventi, registra una cospicua parte del Pil. Tuttavia questa tregua inglese sarebbe durata poco. La finanza mondiale non ha patria né morale, obbedisce soltanto a impulsi di espansione perpetua, e per questa ragione tende anche ad acquisire a prezzo vile i comparti industriali, agricoli e commerciali degli Stati, portati al collasso con incredibili operazioni di rating, di finanza "tossica" e di borsa.
L'Europa per decenni si era gingillata sulle misure "standard" dei piselli e delle carote, si era accanita stupidamente su adempimenti burocratici relativi alla privacy o su norme che nulla avevano a che fare con la gente e il lavoro. In nome di una razionalizzazione del mercato comune, aveva smantellato il settore agricolo di molti Stati (Italia, Spagna) per favorire le ricche regioni del Nord Europa (Aquitania, Borgogna, aree agricole del Belgio, dell'Olanda, della Germania), che si sviluppano grazie a una criminale politica permissiva sull'uso degli antiparassitari e sui mangimi avvelenati, che hanno reso tutti i bambini europei allergici a qualcosa. Aveva poi ridotto per sempre la capacità industriale di alcuni Stati (pensate a cos'erano la cantieristica e la siderurgia italiane), trasformando la ricca Europa in una regione votata soltanto alla sussistenza.
Con un Parlamento privo di potestà legislativa e con una Commissione paralizzata da estenuanti bracci di ferro per raggiungere l'unanimità su materie che gli Stati "liberi" risolvono dalla sera alla mattina, soltanto la Corte di Giustizia europea ha tentato di creare una giurisprudenza che in qualche modo si è sostituita alle contraddizioni dell'Ue. La Bce, infine, detta ormai l'agenda politica e la politica finanziaria di tutti.
Anche nell'Ue la politica sembra aver perduto il suo ruolo storico. Come in Italia.