EXCALIBUR 68 - marzo 2012
in questo numero

Settembre 1939: dalla tardiva mobilitazione al crollo

Inghilterra nazione "corsara" con la Grecia, ma i Tedeschi non furono da meno in Albania

di Ernesto Curreli
Sopra: la Tp "Lupo" dopo un'azione nelle acque di Creta con a prua i colpi ricevuti dalle navi inglesi che aveva messo in fuga. I comandanti italiani vincevano quando non ascoltavano Supermarina
Sotto: il corsaro Sir Francis Drake riceve la resa dei marinai dell'Invincibile Armada nel 1588 (dipinto di J. Seymour Lucas)
Gli Italiani, dunque, conoscevano gli intrighi inglesi in Grecia. Il governo ellenico, dietro il paravento della neutralità, pretendeva l'accesso lungo l'Adriatico per le sue importazioni, ma dall'11 giugno 1940 vietava il traffico italiano nel Mar Egeo. Strozzando così i rifornimenti verso il Dodecaneso italiano. Al divieto greco si era subito accodato quello turco.
Sotto l'occhio benevolo dei Greci, la Mediterranean Fleet ai primi di luglio 1940 bloccò i Dardanelli, impedendo anche alle navi cisterna spagnole di varcare gli Stretti per approvvigionarsi del petrolio rumeno, che segretamente cedevano all'Italia. La Gran Bretagna mantenne con la "neutrale" Grecia un intenso traffico navale scortato da un'intera divisione navale per garantirsi ingenti partite di cromo e nichel, oltre a munizionamento di cartucce calibri 7,7 e 7,92 destinato alle forze del Medio Oriente, prodotte dall'unica fabbrica di munizioni dell'area realizzata, ironia della sorte, dai Tedeschi alla fine degli Anni Trenta.
La politica greca era giudicata suicida da larghi settori greci, perché avrebbe spinto l'Italia all'invasione. Il capo di stato maggiore della marina, ammiraglio Alexandros Sakellariou, il 29 giugno 1940 spifferò all'addetto navale italiano ad Atene che a Nauplia stazionavano i cacciatorpediniere inglesi, quasi a voler invitare gli Italiani ad agire. Lo stesso sottocapo di stato maggiore dell'esercito, gen. Kostantinos Platis, durante una burrascosa riunione, chiese al capo di stato maggiore, gen. Papagos, di porre fine all'ambigua neutralità greca. Per tutta risposta ottenne gli arresti insieme a un nutrito gruppo di ufficiali ellenici, immediatamente confinati nelle isole egee(1).
Gli Inglesi, peraltro, in base al "diritto di angheria" ripagavano i Greci col sequestro di benzina e nafta delle cisterne greche in Atlantico e nel Mediterraneo. Dopo l'armistizio della Francia non ebbero più remore, giungendo a confiscare la flotta mercantile greca su tutti i mari e inquadrando "manu militari" i loro equipaggi composti da oltre ventimila marinai. A loro modo pagarono i noli e "assicurarono" anche la paga ai marittimi con buoni di guerra, che però avevano l'inconveniente di essere incassabili a scadenza ventennale, non scontabili.
All'Italia non rimaneva che scendere in campo contro gli Inglesi, ma a fianco dei Tedeschi per distogliere questi ultimi da mire di "spazio vitale" lungo l'Adriatico, mire confermate nel dopoguerra da Anton von Rintelen, addetto militare tedesco a Roma. Mussolini confidò al gen. Faldella, nel marzo 1940, che se non scendeva in campo c'era il pericolo di un'invasione tedesca, malgrado fosse consapevole che i capi militari avevano nascosto, per la corruzione dilagante, le cifre sulla disponibilità di armi. Nessuno sapeva veramente come i denari dei bilanci militari venivano spesi, un po' come avviene oggi per i bilanci degli enti territoriali della Difesa, coperti dal segreto militare e pagabili, nell'oscuro saldo finale, a semplice richiesta.
Nel dopoguerra, sull'invasione greca sorsero critiche infondate, perché l'Italia non solo poté allontanare la flotta inglese dalla porta meridionale di casa e ripristinare i collegamenti con il Dodecaneso, ma si assicurò inoltre la cromite e il nichel delle miniere di Lokris. Grazie a quei minerali la produzione italiana di cannoni passò da 100 al mese a una media di 200, mentre le fabbriche poterono riprendere la produzione delle artiglierie di medio calibro, sospesa nell'estate del 1940 per la mancanza di nichel. Grazie al nichel greco e al cromo d'Albania, la cui produzione passò dalle 7.000 t del 1938 alle 60.000 t del 1943, l'Italia infine poté realizzare i moderni motori per i suoi mezzi.
La rotta del Mar Nero fu riaperta alle cisterne italiane per l'approvvigionamento di nafta e petrolio in Romania e Bulgaria, garantendo il flusso di combustibile anche quando la rigidità degli inverni limitava il traffico ferroviario nei Balcani. La Gran Bretagna, per parte sua, non rimase a mani vuote. Da vera potenza corsara, quando evacuò la Grecia riuscì a sottrarre l'oro della banca centrale ellenica, imbarcando 18 tonnellate di metallo prezioso sull'incrociatore "Orion". Nel dopoguerra a nulla valsero le richieste di restituzione della Grecia costretta anzi, fino al 1967, a pagare i debiti risalenti al 1932(2).
I Tedeschi, per parte loro, dopo l'armistizio italiano non furono da meno, ma gli andò peggio. Il 16 settembre 1943 a Tirana reparti delle SS prelevarono 1,5 tonnellate di oro della Banca Nazionale d'Albania, poca cosa rispetto ai "corsari" inglesi. Per sostenere le spese delle truppe nell'Adriatico, dapprima ottennero 80 milioni di franchi albanesi sotto forma di prestito concesso dai bancari italiani di Tirana. Poi tentarono di impadronirsi dei clichés per stampare le banconote, ma gli Italiani li resero inservibili in extremis. Andò a vuoto anche il tentativo di produrre banconote albanesi direttamente a Vienna perché i biglietti non poterono essere immessi in circolazione in quanto privi della firma di convalida italiana.
A Roma si impossessarono allora di oltre 100 milioni di franchi custoditi presso la Banca d'Italia. Le esigenze erano, però, maggiori e quindi a Tirana ottennero l'assenso di vendere ai privati albanesi, sotto il controllo della Banca Nazionale d'Albania, circa 500 mila "Napoleoni" d'oro per far fronte alle spese della Wermacht: unico caso in Europa in cui un Paese invaso conobbe un flusso netto di ricchezza monetaria.
Nel dopoguerra, la Commissione parigina per le riparazioni di guerra in un primo tempo condannò l'Italia a pagare all'Albania 312 milioni di lire, pagamento che però non avvenne perché l'Albania, contro le norme del diritto internazionale, aveva nel frattempo annullato le azioni della banca centrale albanese possedute dall'Italia. Le autorità monetarie italiane riuscirono a respingere anche la pretesa del nuovo governo comunista albanese di ottenere un risarcimento per l'oro asportato dai Tedeschi. Il risarcimento andò invece all'Italia perché dimostrò che quell'oro era stato acquistato esclusivamente con capitali italiani(3).
Gli storici hanno quasi sempre sottovalutato l'apporto militare italiano nell'Asse, ma le cose non stanno esattamente così. Quando nell'autunno 1940 la Gran Bretagna si rese conto di aver vinto la "Battaglia d'Inghilterra" contro le forze aeree tedesche e che quindi non correva più un immediato pericolo d'invasione, spostò coraggiosamente il suo sforzo militare nel Mediterraneo, dando corso al piano predisposto fin dal 1939(4), in base al quale sperava di infliggere all'Italia delle sconfitte militari tali da costringerla a ritirarsi dalla guerra oppure di creare nel Mediterraneo un ampio fronte di logoramento o di frantumazione delle forze dell'Asse.
Quando i due Paesi dell'Asse decisero la mobilitazione totale delle loro economie di guerra (l'Italia nell'ottobre 1942, la Germania nel gennaio 1944) era ormai tardi. L'Italia, disponendo pienamente delle necessarie materie prime, aveva in programma la costruzione massiccia dei nuovi carri armati P40, di batterie contraeree da 90/53 e di nuovissimi aerei Macchi 202, 205 e G55. Per il 1943 erano previsti in esercizio trentuno nuovi cacciatorpediniere e altri trentuno nel 1944, oltre a 17 sommergibili di nuova concezione nel 1943 e altri 14 nel 1944 e decine di riuscitissime corvette.
Il Comando supremo aveva anche disposto la ricostituzione di sei divisioni del II Corpo d'armata in Russia e la creazione di trenta divisioni a effettivi potenziati e dotate di un quarto gruppo di artiglieria. Inoltre, era prevista la costituzione di quattro divisioni motocorazzate e il rafforzamento della "Vittorio Emanuele II" con compagnie carri. Soprattutto, era stato ordinata la costruzione di 290 semoventi con cannoni da 75 su scafo M42 con un gruppo destinato alla Sardegna e uno a disposizione dello S.M.(5). A El Alamein trenta semoventi M40 75/18 erano stati inquadrati nei reggimenti corazzati dell'Ariete e della Littorio con risultati straordinari: da soli avevano messo fuori combattimento diverse centinaia di carri inglesi(6). Molti decenni dopo, gli storici britannici hanno riconosciuto che l'M40/75 in Africa Settentrionale non aveva rivali(7).
Così, mentre l'Asse mobilitava finalmente l'economia di guerra, gli Usa riducevano drasticamente i grandiosi programmi d'armamento. Gli Stati Uniti già nel corso del 1942 avevano rinunciato alla costituzione delle 215 divisioni di fanteria previste nel "Victory Program" di Roosevelt, irrealizzabile anche per l'economia americana. Armarono soltanto 89 divisioni disperse in tutti i teatri di guerra, ma aumentarono gli sforzi produttivi per la marina e l'aviazione. La tendenza a privilegiare le forze aeree e navali a discapito delle più costose forze terrestri accompagna ancora oggi le politiche militari americane(8).
Gli Alleati, in fondo, vinsero la partita con l'Asse e il Tripartito essenzialmente grazie alla supremazia aeronavale. Peraltro, per conseguire il risultato dovettero ricorrere a molti bluff nel periodo 1942-43. In Algeria, per esempio, rischiarono di essere ricacciati in mare dai Francesi, i quali odiavano gli Inglesi quanto e forse più degli Italiani: durante lo sbarco, le batterie delle forze lealiste affondarono quattro navi da guerra e altro naviglio ausiliario. Solo per un soffio gli Alleati riuscirono a convincere i pochi generali che facevano parte della congiura anti-Vichy, impaurendoli, che la forza da sbarco era composta da mezzo milione di uomini, mentre in realtà parteciparono all'invasione del Nord Africa francese non più di centomila uomini, per giunta male armati(9).
Lo sforzo militare americano per la creazione di una potente forza aerea e navale a discapito delle forze terrestri, sul finire della guerra ebbe l'effetto di consegnare all'Unione Sovietica l'intera Europa centro-orientale. A nulla valsero gli avvertimenti degli Inglesi e i loro tentativi di arginare per tempo l'avanzata sovietica. I capi militari statunitensi ebbero l'onestà di confessare nelle ultime riunioni degli Stati maggiori riuniti che non avrebbero potuto opporre ai Sovietici sufficienti truppe di terra, non solo per fermare la marea russa, ma persino per difendere le isole britanniche in una nuova guerra mondiale(10).
(1) Enrico Cernuschi, "Le reni della Grecia", su Storia militare, ottobre 2011
(2) Enrico Cernuschi, id.
(3) Lorenzo Iaselli, ricercatore Storia Economica Università Federico II, Napoli, Silvia Trani, "L'Unione fra l'Albania e l'Italia. Censimento delle fonti 1939-1945", Pubblicazione degli Archivi di Stato, Strumenti CLXXIII
(4) Andreas Hillgruber, "Storia della 2ª guerra mondiale", Editori Laterza, 2004
(5) Verbale della riunione del 29 gennaio 1943 tra i capi di Stato maggiore italiani e i Ministri degli Armamenti e della Marina Mercantile, alla presenza del Duce
(6) Ken Ford, "Rommel sconfitto, El Alamein luglio 1942", RBA Italia, stampato da Dedalo Offset, Madrid, 2011
(7) Ken Ford, cit.
(8) Andreas Hillgruber, cit.
(9) Raymond Cartier, "La seconda guerra mondiale", Mondadori, 1977
(10) Andreas Hillgruber, cit.
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