EXCALIBUR 20 - luglio/agosto 2000
in questo numero

Libri: Malaparte e Mussolini

Di Curzio Malaparte: "Muss il grande imbecille"

di Angelo Abis
Curzio Malaparte
Francesco Perfetti, "nostro" storico d'area, attualmente direttore della rivista "Nuova Storia Contemporanea", con questo testo porta a conoscenza del pubblico alcuni inediti di Curzio Malaparte.
Inquadrare Malaparte come uomo e come scrittore non è impresa facile. Già quarant'anni fa, nel recensire un volume comprendente alcuni lavori dello scrittore risalenti al periodo che va dal 1921 al 1931, Adriano Romualdi scriveva: «Non si cerchi tra le pagine di questo composito volume grande rigore logico o particolare coerenza ideale. Vi si trovano l'apologia di Caporetto e quella del Piave, l'esaltazione del tiranno e quella dell'individualismo libertario, un conclamato spregio degli Italiani e la rivendicazione appassionata dell'Italia contro l'Europa intera. In queste prime opere, Malaparte è già tutto intero col suo gusto sconcertante del paradossale, della contraddizione, dello scandalo. Ma, tra bravate e smargiassate, toscanerie e girandole verbali, corre pur sempre un filone di intuizioni felici e interessanti che merita di essere considerato con attenzione».
Nato a Prato nel 1898, volontario a soli sedici anni nella prima guerra mondiale, con i garibaldini, nelle Argonne, in Francia, e poi sul fronte italiano, squadrista, segretario della federazione dei sindacati fascisti di Firenze, firmatario del manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925, fu per lungo tempo l'espressione del fascismo "reazionario" e violento: «Abbiamo la tradizione delle tirannie nel sangue noialtri [...] e non soffriamo che si voglia confondere gli eroi con i soliti tribuni che puzzano di folla, di maggioranza e di opinione pubblica». Il che non gli impedì, dato il suo temperamento litigioso e la sua assoluta indipendenza come scrittore (Gobetti lo definì «la più bella penna del fascismo»), di finire prima in galera e poi al confino per "attività antinazionale". Così come questo fatto non lo salvò dal carcere dopo il 25 luglio del 1943 in quanto fascista. Suscitò ancora scandalo nel secondo dopoguerra con opere quali "La pelle", "Mamma marcia", "Kaput". Morì nel 1957, lasciando in eredità, ultimo suo gesto bizzarro, la sua villa di Capri al governo della Repubblica Popolare Cinese.
"Muss il grande imbecille" raccoglie alcuni saggi inediti tutti incentrati sulla personalità di Benito Mussolini. Malaparte ebbe con Mussolini un rapporto di odio-amore. Lo esaltò per tanto tempo come prototipo del "tiranno", con tutti i pregi e difetti che esso deve avere, salvo poi condannarlo per gli stessi motivi. Eppure in fondo all'animo dello scrittore permase una sostanziale ammirazione per le capacità del dittatore e un "affetto" per l'uomo, cosa questa comune ai tanti uomini che hanno condiviso amore e odio verso Mussolini, come Dino Grandi e Giuseppe Bottai.
Particolarmente suggestiva la descrizione dell'incontro tra Malaparte e la salma del Duce nella camera mortuaria a Milano. Come pure mirabile è il ritratto che lo scrittore fa del suo uccisore. Memore del detto di Nietzsche, secondo cui raramente l'assassino è all'altezza del delitto che compie, Malaparte descrive l'assassino come un piccolo borghese sciatto e piatto, il cui tasso di "delinquenza" è al massimo equiparabile a quello di un ladro: «La fronte squallida, gli occhi grandi, smorti, senza vita, senza intelligenza, acquosi, occhi non da assassino, né da vittima, ma da pubblico impiegato, da ragioniere, da piccolo impiegato infedele. Se lo avessi visto ammanettato, avrei pensato a un ladro, piuttosto che a un assassino. Il suo dito ha premuto sullo scatto del mitra come il dito di un ladro preme su un grimaldello. Poi ha allungato la mano per frugare nelle tasche del morto. Vorrei sapere quanto gli ha fruttato questo furto, forse un orologio. Ma Mussolini non portava l'orologio, o forse quel giorno, a Dongo, aveva in tasca il vecchio orologio d'argento che gli avevano regalato i redattori de "L'Avanti" nel 1912, lo stesso orologio che egli aveva con sé nell'ottobre del 1922: fermo alle ore 18,00 del 28 ottobre 1922, quando era salito al potere. Ecco quel che aveva guadagnato quell'assassino: un orologio d'argento fermo su un'ora lontana. Mi feci largo tra la folla dei passeggeri, raggiunsi l'assassino. Mi guardò e impallidì. "Scusi - gli dissi a bassa voce - vuol dirmi per cortesia che ora è?". L'uomo tirò fuori dalla tasca dell'impermeabile la mano sinistra, diede un occhiata all'orologio da polso. "Mi dispiace - disse con voce incerta - il mio orologio è fermo"».
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