Joseph-Marie de Maistre (Chambery 1753 -
Torino 1821)
Dopo un periodo di pausa torniamo a parlare dei grandi pensatori, questa volta in ambito tradizionale cattolico.
Non possiamo dimenticarci infatti del pensiero reazionario di Joseph-Marie de Maistre (in Italia noto anche come Giuseppe De Maistre), nato a Chambéry in Savoia, ma all'epoca facente parte del Regno di Sardegna, il 1º aprile 1753.
Il pensiero demaistreiano venne alla luce dopo il secolo dei lumi e il periodo del fallimento della Rivoluzione Francese.
Tutta la sua ideologia, se così la si vuol chiamare, poggiava sulla tradizione cattolica come il "depositum fidei" (termine che nella dottrina cattolica indica patrimonio di tutte le verità insegnate da Gesù e alle quali attinge il Magistero della Chiesa).
Dimostrazione della quale fu la sua opera apologetica della chiesa, il trattato "Sul Papa", nel quale dimostra, a partire dalla Bibbia e dalla filosofia, l'infallibilità papale quando un sommo pontefice obbedisce volontariamente al consiglio dello Spirito Santo, prima ancora della proclamazione di tale assioma come dogma da parte della Chiesa Cattolica, in materia di fede e morale, tramite Pio IX.
Ebbe una discreta fama con la pubblicazione delle "Considerazioni sulla rivoluzione in Francia", in cui trattava della Rivoluzione Francese alla luce della dottrina cattolica come un sopruso golpista opera dalle forze ostili alla Chiesa, attuato da club giacobini e massoni (di cui in passato era stato membro).
Nel suo pregevole "Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche", vuol dimostrare che ogni legittimo regime poggia in realtà sulla volontà divina.
Questo inquieto erudito trova, assieme ad altri, la motivazione dei mali del secolo dei lumi molto indietro, risalendo, dopo una indagine anche filologica, addirittura alla Riforma protestante.
La sua opera più raffinata sono i dialoghi ne "Le Serate di San Pietroburgo", scritte in Russia alla corte imperiale dello Zar Alessandro I, quando vi fu mandato in missione diplomatica, dal 1803 al 1817, da Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna, per il quale lavorava (riuscendo addirittura a diventare amico della famiglia imperiale, seppur con alcune diffidenze).
Una delle sue idee cardine per la politica estera era una sorta di Onu ante litteram spiccatamente cristiana, che avrebbe dovuto, dopo gli sconquassi napoleonici, difendere lo status quo e i sovrani legittimi, che non potevano però essere assoluti proprio in quanto cristiani e dovevano lasciare ampie libertà territoriali e corporative per le esigenze dei sudditi.
I primi saggi furono pubblicati già nel 1796, ma questo genio dalla irreprensibile etica andò persino a portare conforto ai condannati a morte, sconfessando, tra le altre cose, i suoi avversari politici, che lo vollero assertore della pena di morte e della divinità della guerra.
Morì di malattia a Torino il 26 febbraio 1821, a sessantasette anni.
La sua conoscenza attirò l'amicizia e la collaborazione di altri letterati geniali, dei quali parleremo più avanti.