Excalibur blu

Attilio Deffenu

Un maestro su cui fondare la nostra identità

di Bruno Murgia
Il nostro soldato arriva a Ciampino
Di Attilio Deffenu, a Nuoro, è rimasta solo la via. Nessuno se lo ricorda più. I ragazzi delle scuole sanno solo che è, in certi casi, il personaggio che ha dato il nome all'istituto. Poi più niente. Nel resto dell'Isola neanche a parlarne. E il motivo è tutto sommato semplice. Decenni di cultura marxista e operaista hanno cancellato la possibilità che nell'Isola potesse crescere un concetto di autonomia senza per forza essere re-taggio sardo-comunista.
Non ne abbiamo la controprova storico-culturale: è tuttavia altamente probabile che Deffenu fosse l'intellettuale che è mancato ai Sardi. La battaglia sul Piave ha concluso una storia che in ogni caso si era già delineata, soprattutto attraverso le colonne della rivista "Sardegna".
Deffenu amava unire i pensieri alle azioni. Per questo morì sul Piave. Era quello il suo posto, era quella la dimensione di sardo che combatte per l'Italia, con onore ma senza retorica stucchevole.
A rileggerlo oggi - con gli occhi asciutti dello studioso - ciò che colpisce è l'elaborazione di uno spirito autonomistico che già allora tendeva a fuggire dalle lamentele e dalle recriminazioni verso la Stato nazionale. Deffenu era un anti-protezionista e diceva che la Sardegna doveva avere pari possibilità rispetto alle altre regioni italiane. Idem per le sorelle meridionali: il protezionismo, la difesa ottusa di piccoli interessi avrebbero frenato la crescita delle zone depresse. Un ragionamento più che mai attuale e che può essere ripreso e declinato alla luce della nascita di un grande partito unitario del centrodestra.
Il "Sardegna" di Deffenu è, a ben vedere, a distanza di parecchi anni, ancora una pubblicazione che non ha avuto seguito.
Possiamo dire che nessuno di noi ha cercato di onorarla.
Se la sinistra sarda (e italiana) ha costruito alternative e altri intellettuali, la destra ha lasciato perdere un profondo retroterra di idee, contenuti e suggestioni di un'Isola che cercava un proprio ruolo nell'Italia nascente. Qualcuno può perfino tacciarci di voler compiere un'azione di facile recupero culturale in mancanza di altri riferimenti. Mi è stato detto, di recente, che di Deffenu ci piace riprendere una sorta di eroismo infantile, poetico ma irrimediabilmente morto. E le cose morte, per alcuni, non producono più niente. Sbagliato.
Sbagliato perché già nel 1913 Attilio Deffenu parlò di una sorta di liberismo capitalistico contro il protezionismo doganale che favoriva le industrie del nord a danno delle isole e del sud che avevano un'economia basata su agricoltura e pastorizia. La questione sarda si risolve passando per un radicale mutamento nei rapporti tra lo Stato e le regioni: non con provvedimenti speciali ma favorendo lo sviluppo dell'impresa, la libertà economica e la giustizia fiscale per tutti.
L'elaborazione del "Sardegna" resta dunque insuperata. Non c'è niente nel pensiero di Deffenu che possa apparire poetico o nostalgico quando ci si concentra sulle cose concrete.
E a distanza di quasi cento anni quelle idee stanno lì, sul tavolo: hanno bisogno di qualcuno che se le riprenda e che le metta a disposizione di un popolo e persino di una parte politica.
Non c'è niente di male: per lunghi decenni, l'Isola ha avuto politiche che hanno puntato a tutt'altro e che sono andate nella diametrale direzione opposta rispetto a ciò che scriveva Deffenu. La stagione della Cassa per il Mezzogiorno, le politiche speciali, l'industrializzazione folle: il fallimento. Quel lucido ragionamento su regionalismo, autonomia e possibilità di sviluppo ispirarono nel dopoguerra i movimenti degli ex combattenti e in misura minore il Partito Sardo d'Azione. Furono idee che però non presero piede perché vinse la conservazione e un'idea secondo la quale la Sardegna dovesse vantare aiuti economici e autonomia presunta.
La verità è che la sfida di oggi è quella di rompere il vecchio schema. Si è veri autonomisti se siamo in grado di competere con le altre regioni e il resto d'Europa. Se sappiamo portare in giro un'idea di Sardegna fuori dagli stereotipi di questi ultimi decenni, Soru compreso.
Ecco perché ripartire da Deffenu. Studiarlo e capirlo. Rileggerlo anche nelle lettere dal fronte e da Milano, dove non aveva smesso di parlare della sua Isola. Rivivere lo spirito della trincea come modo per forgiare uomini e grandi idee. Oggi, è un insegnamento ancora fondamentale nella sua semplicità. Fu in quelle trincee che si difendeva l'Italia per salvare l'onore dell'Isola. Fu durante le schioppettate con gli austriaci che Deffenu strinse rapporti con molti altri sardi con i quali discuteva delle difficili condizioni economiche e sociali.
Diciamoci la verità: esiste oggi un intellettuale con quell'impeto, con quelle semplici idee? Uno che sappia guidare con autorità morale un popolo? Disposto a sacrificare la propria vita? Se la risposta è no, ed è no, sta a noi che amiamo Deffenu compiere gli atti culturali e politici per dare all'Isola una grande prospettiva di cambiamento.
Senza retroterra di cultura e idee forti non nascerà il nuovo sardo e la nostra autonomia rimarrà sempre una parola senza futuro.
La vita di Attilio Deffenu.
Nacque a Nuoro il 28 dicembre 1890. Terzo di 11 figli, nato in una famiglia fortemente politicizzata, manifestò subito vivi interessi culturali e politici.
Entrato in contatto con gli esponenti democratici e socialisti che facevano capo a Sebastiano Satta, fu socio fondatore del primo circolo socialista nuorese (1907). Trasferitosi a Sassari, collaborò al settimanale "La Via" di orientamento socialista e libertario. Nel 1908, iscrittosi a Pisa in Giurisprudenza, si inserì nei circoli di sinistra della città toscana. Collaborò alla rivista anarchica "Il Pensiero", e a "La Lupa" di Paolo Orano.
Dopo la laurea, tornò a Sassari, dove Michele Saba gli offrì la corrispondenza per la pagina sarda de "Il Giornale d'Italia", di cui il Deffenu si servì come di un'arma politica per agitare i gravi problemi della Sardegna. Iniziò in questo periodo un'intensa corrispondenza con Nicolò Fancello. Trasferitosi a Milano nel 1913, divenne il legale dell'Unione sindacale e nel 1914 fondò la rivista "Sardegna".
Interventista, fondò con Mussolini il fascio interventista di Milano. Prese parte, nella Brigata Sassari, alla prima guerra mondiale e morì in combattimento a Fossalta di Piave il 16 giugno 1918, a soli 27 anni.