EXCALIBUR 51 - novembre 2008
in questo numero

Psichiatria oggi: analisi di un conflitto

Analisi di una riforma controversa a 30 anni dalla sua nascita

di Vincenzo Mascia
Sopra: i disturbi mentali sono in crescita esponenziale
Sotto: la chiusura dei manicomi risale a oltre trent'anni fa
Il 16 maggio 1978 sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana vedeva la luce la legge nº 180 dal titolo "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori". La nuova legge forniva nuove regole alla psichiatria italiana regolata da una vecchia legge del 1904 e modificata marginalmente nel 1968.
L'intero mondo della psichiatria vide con fiducia la nuova legislazione che era ispirata e modellata sulla legislazione francese che rappresentava il riferimento di tutti i paesi europei. Oggi a distanza di 30 anni possiamo analizzare gli effetti della nuova legge e la sua, almeno in parte mancata attuazione accompagnata da un drammatico sovrapporsi di elementi ideologici, che ben lontani dall'essere sostenuti da un valido supporto scientifico, spesso e volentieri favoriscono degli autentici disastri clinici con ovvie ripercussioni sui malati e sui loro familiari. Va subito affermato che quanto la vecchia legislazione era custodialistica tanto l'attuale è acustodialistica. Quanto la vecchia legislazione era autoritaristica tanto l'attuale è liberaleggiante e antiautoritaria.
Nell'immaginario collettivo la legge è conosciuta in quanto ha previsto la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici, ma in realtà si tratta di qualcosa di più complesso la cui applicazione risulta incompleta e spesso stravolta nei suoi significati originari. Inoltre l'attuale legislazione integra come parte organica del Servizio Sanitario Nazionale l'assistenza psichiatrica.
L'attuale legge abolisce gli Ospedali Psichiatrici, istituisce i reparti di psichiatria e gli ambulatori psichiatrici sul territorio e concede alle regioni modalità applicative differenti.
I problemi nascono fondamentalmente per due motivi. Il primo è legato alla rapida introduzione della stessa (per evitare un referendum popolare) e ciò ha creato un grave vuoto assistenziale non essendo presenti allora strutture psichiatriche territoriali. Altro problema è rappresentato dal tentativo di imporre a tutto il territorio nazionale le esperienze di piccole città del nord Italia senza tener conto delle differenze esistenti sul territorio e con grandi città come Roma o Napoli che presentano problemi specifici.
La legge 180 inoltre non è priva di difetti strutturali che, unitamente alla sua ritardata applicazione, spiegano le notevoli reazioni di rigetto verso la stessa legge.
Il primo punto dolente riguarda il cosiddetto Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO, ex Ricovero Coatto) che presenta indubbiamente un iter troppo lungo e colmo di indagini. Inoltre in assenza di uno specifico regolamento non è chiaro chi debba rendere esecutiva l'ordinanza del sindaco. Altro problema riguarda gli obblighi, nei confronti del paziente, del medico che propone il TSO e l'eventuale uso della contenzione fisica. Nella nuova legge non si fa cenno al problema e sembrerebbe che tali mezzi non siano consentiti. Un'applicazione molto pragmatica renderebbe quindi impossibile ogni intervento su un paziente in stato di agitazione psicomotoria o delirante che rifiuti le varie terapie proposte. I sanitari che, in situazioni particolarmente critiche, facciano uso di mezzi di contenzione fisica possono sempre appellarsi al cosiddetto stato di necessità (evitando quindi l'incriminazione per sequestro di persona), ma un conto è assicurare un malato al letto in coma agitato impedendo che si ferisca cadendo dallo stesso, e un altro è assicurare al letto una persona delirante agitata, seppure non confusa, per periodi anche lunghi. Infine l'assoluta brevità del periodo automatico di durata del TSO (sette giorni) lascia parimenti perplessi in quanto un prolungamento, anche non eccessivo, consentirebbe di evitare la ripetizione delle complesse indagini e lo snellimento dell'iter burocratico relativo.
Un altro punto critico riguarda la sorveglianza - di fatto impedita dalla legge 180 - che ha favorito l'allontanamento dai servizi di pazienti gravi e talora pericolosi per sé e per gli altri.
Un terzo punto di critica, infine, è rappresentato dal fatto che la legge prevede ricoveri esclusivamente per malati acuti, in quanto la cronicità psichiatrica non è assolutamente considerata, con il rischio di far mancare a molti pazienti diagnosi e cure essenziali data la gravità dei disturbi.
In questa condizione di vacanza strutturale e culturale sono emerse importanti contaminazioni ideologiche che hanno stravolto l'applicazione della legge e hanno favorito l'emergere di gruppi di potere all'interno della psichiatria nazionale che condizionano tuttora l'assistenza a questi malati preponendo aleatori diritti civili individuali in primo piano rispetto alla certezza della cura e all'isolamento, seppure temporaneo, di pazienti altamente pericolosi o a rischio di suicidio. Risulta quindi meglio comprensibile l'attuale contrasto con "gruppi" che ideologizzano la psichiatria, inserendo al suo interno estremismi spesso politici, ma anche finalizzati a incrementare potere, con la conquista di primariati e cattedre universitarie, contro una più corretta visione delle neuroscienze, che basa i suoi comportamenti sulle più recenti acquisizioni scientifiche e opera in base a linee guida costruite da comitati internazionali di esperti e validate a livello locale nazionale e regionale.
In particolare sono particolarmente pericolose alcune intromissioni marxiste all'interno di questa corrente psichiatrica che negano, almeno in parte la biologicità della malattia mentale e quindi la sua organicità attribuendo fideisticamente "ad una società malata" la causa principale di questi disturbi. La conseguenza diretta è che i pazienti spesso sono gestiti senza terapie farmacologiche o psicoterapia e se ne tenta una dispendiosa quanto inutile reintroduzione sociale senza un percorso terapeutico e riabilitativo adeguato. Inoltre l'adesione dogmatica a questo modello favorisce interventi duri e talora censurabili nei confronti dei medici che contestano o dissentono da questa corrente ideologica.
I recenti fatti che hanno coinvolto il reparto di psichiatria di Cagliari sono l'ultimo atto di questa conflittualità che vede da una parte i fautori del fantasmatico modello triestino, peraltro adattato a uso e consumo degli attori di turno e dall'altra le società scientifiche in netto dissenso con chi esercita il "potere" della psichiatria sul territorio e sugli operatori.
Senza necessariamente voler affrontare su un piano eccessivamente tecnico l'argomento, risulta chiaro che i nostri pazienti stanno pagando la soddisfazione edonica di un gruppo di psichiatri la cui rigidità intellettuale contrasta con lo spirito aperto e innovatore dei neuroscienziati di oggi.
Si spera in conclusione che si recuperi la ragione all'interno di un mondo complesso e che, accantonando personaggi e modelli ideologici obsoleti come quello del cosiddetto "gruppo di Trieste", si inizi finalmente un serio dibattito sulla gestione moderna del malato mentale, senza intrusioni e preclusioni ideologiche, che affronti seriamente il problema dei pazienti più gravi, inclusa la possibilità di interventi decisi per chi, in stato di agitazione psicomotoria, può nuocere a sé stesso e agli altri.
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