EXCALIBUR 51 - novembre 2008
in questo numero

Un nuovo '68? Non scherziamo

Scuola: l'assoluta necessità di cavalcare miti ormai vecchi

di Angelo Abis
Che autunno "caldo" strano questo del 2008: nel bel mezzo di una crisi finanziaria di portata epocale e di una recessione economica dagli esiti imprevedibili ci si sarebbe aspettato una rivolta dei ceti produttivi, dei lavoratori dipendenti e degli operai già messi in difficoltà dalla stagnazione dei ricavi e dei salari, dall'aumento dei prezzi e della conseguente ripresa dell'inflazione.
Invece, mugugni a parte, tutti più o meno rassegnati a stringere la cinghia e, seppure non entusiasti, pure favorevoli alle politiche di rigore e ai tagli della spesa pubblica posti in essere da Tremonti.
Al contrario, in barba a tutte le teorie più o meno marxiste sulla rivolta dei proletari, dei poveri, degli sfruttati, degli oppressi, degli emarginati, ecc., dove ti va a scoppiare (si fa per dire) la "rivoluzione"? Tra i maestri elementari, anzi fra le maestre.
La causa? Il famigerato decreto Gelmini (poi tramutato in legge) che reintroduce il maestro unico anziché i tre (su due classi), accorpa un po' di classi, di istituti scolastici e di direzioni didattiche, a corto, per fatali ragioni demografiche, di alunni. Ovviamente nessun licenziamento, solo blocco parziale del turn over.
Provvedimenti normali, e, se ci aggiungiamo il grembiulino e il voto in condotta, pure quasi banali. Non certo per le insegnanti.
La figura dell'insegnante unico rende disponibili una massa enorme di insegnanti abituati a lavorare poco e male, con scarsa retribuzione, ma con orari ridotti e con sedi, spesso, a due passi da casa. Questi, adesso, avranno molte più responsabilità, dovranno cambiare il loro orario di lavoro, dovranno spostarsi dalla propria sede. Insomma una vera e propria tragedia per chi si è ormai abituato a una sana e conveniente routine.
Di qui la rabbia e la rivolta contro la Gelmini che affossa la scuola elementare più bella del mondo, il modello pedagogico che più moderno non si può e amenità dello stesso genere. La rabbia si trasmette agli scolari e alle loro mamme e poi, quasi per osmosi naturale, si trasmette alle scuole superiori e alle università dove si trema al solo pensiero che possano traballare migliaia di cattedre di insegnamenti inutili, corsi dove i docenti sono più degli allievi e cattedre dove si può accedere solo per merito familiare o politico.
Da qui alle occupazioni, alle assemblee di lotta, ai cortei e agli scontri di piazza il passo è breve, con grande gioia dei giornalisti, dei sociologi, dei politologi, nonché dei nostalgici del bel tempo passato tutto lotta e contestazione: evviva! Si profila un nuovo 68!
Evidentemente i citati signori hanno la memoria corta, o, se c'erano, del '68 avevano capito poco o niente. E non lo diciamo tanto per i morti ammazzati e per il clima di violenza e di contestazione che investì tanta parte della società non solo italiana, ma anche francese, tedesca e americana.
Ci preme sottolineare che alla base del cosiddetto "movimento studentesco" e delle sue successive evoluzioni (o involuzioni): movimenti extra-parlamentari di sinistra, le brigate rosse, ecologisti, pacifisti, per finire i più recenti no global, coesistevano due ideologie o filosofie tanto lucide quanto utopiche.
La prima affermava che lo stato italiano non era altro che la struttura portante del sistema capitalistico nazionale e internazionale (lo stato delle multinazionali - leggi: Stati Uniti). Stato che non poteva essere riformato, ma leninisticamente andava abbattuto con la violenza.
L'altra concezione, che possiamo definire libertario-collettivista, contestava qualunque potere contrastasse le libertà individuali assurte a bene assoluto.
Mentre la prima ideologia fu tragicamente sconfitta, la seconda ebbe successo e introdusse nella società i nuovi valori: divorzio, aborto, l'uso della droga, la chiusura dei manicomi, il disprezzo di ogni autorità e di ogni gerarchia. L'elemento unificante fra le due ideologie era la convinzione cieca e assoluta (almeno per quelli che erano in buona fede) che battersi per esse e contro i loro nemici, anche a costo della galera e della morte, significava agire per il bene del popolo o delle masse che dir si voglia.
Un atteggiamento certamente aberrante ma non privo di spirito altruistico e di una qualche dedizione alla "causa".
Oggi, invece, docenti e discenti, ma anche i piloti dell'Alitalia, come quelli che vogliono le discariche, i gassificatori, i termovalorizzatori dappertutto, fuorché nel proprio territorio, si muovono unicamente per conservare una rendita di posizione comoda per se stessi ma dannosa degli interessi nazionali.
Questo, nel vocabolario italiano si chiama reazione e conservazione. Statene certi, dal profondo dell'inferno Lenin, Stalin e anche Togliatti sono tutti con la Gelmini.
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