Le contraddizioni del Piano Paesaggistico Regionale
Il solito insieme di ipocrisia e approssimazione nelle politiche locali in tema di ambiente
di Beppe Caredda
Il Comitato Scientifico, incaricato di seguire la progettazione del P.P.R., ritiene di aver elaborato un Piano rivoluzionario nei contenuti e controcorrente nella sua filosofia di fondo; è inoltre, a detta del Comitato, il più grande P.P.R. mai redatto in Italia.
Ne siamo convinti e lo capiamo immediatamente quando leggiamo che «l'oggetto del P.P.R., il suo protagonista, è il paesaggio della Sardegna» e che l'assunto di base è che «questo paesaggio [...] è la principale risorsa della Sardegna [...] da amministrare con saggezza e lungimiranza».
Mai nessuno osò così tanto, mai nessuno elaborò un piano paesaggistico che avesse come argomento centrale proprio il paesaggio per di più inteso come risorsa fondamentale; che ardire! Davvero non ce lo saremmo aspettati...
Battute a parte, ho voluto rintracciare nel Piano i princìpi ispiratori, ovvero la cultura e gli indirizzi politici di riferimento per la sua stesura. Nella relazione tecnica si afferma che tali princìpi e indirizzi, già contenuti nelle linee guida, assumono il paesaggio come «riferimento strategico per definire obiettivi, metodi e contenuti non solo del P.P.R. ma anche degli strumenti generali della programmazione e della gestione del territorio indirizzati verso una politica di sviluppo sostenibile». Più chiaramente, «la politica regionale fonda i propri contenuti sul concetto di sviluppo sostenibile».
Quindi prima di tutto il paesaggio quale «elemento chiave del benessere individuale e sociale», preso come riferimento principale e considerato un «forte strumento di azione progettuale per la realizzazione dello sviluppo sostenibile». Per intenderci «uno sviluppo basato su regole, princìpi, e meccanismi del tutto diversi rispetto allo sviluppo (dominante, è ovvio, n.d.s.) dissipatore di risorse limitate e irriproducibili».
Il retroterra culturale, le basi dell'azione politica sul territorio sono quindi rintracciabili nel concetto e nei princìpi dello sviluppo sostenibile (Tokio 1987 e Rio de Janeiro 1992, centri mondiali da cui è partito e si è sviluppato e imposto anche nel nostro ordinamento il cosiddetto "credo ambientalista").
A pagina 39 si legge: «Per una maggiore facilitazione nella definizione delle strategie d'ambito del P.P.R., è stato fatto un chiaro riferimento ai princìpi che hanno guidato le grandi programmazioni internazionali ed Europee: dell'Unesco, "Man and Biosphere" e "Insula"; dell'Unep, "Mediterranean Action Plan". Tutte le azioni o programmi, che hanno la biodiversità e il paesaggio come argomenti di sfondo, devono essere basati sull'osservazione dei seguenti princìpi di diritto, etici e morali, di natura scientifica ed economica, che guidano il pianificatore nelle sue proposte, il decisore nelle sue scelte e la comunità nelle sue preferenze: prevenzione, precauzione, previsione, traslocazione, compensazione ecologica, integrità ecologica, recupero, paesi inquinati e paesi utenti, migliori tecnologie e migliori pratiche ambientali, informazione pubblica e pubblico accesso alle informazioni, cooperazione internazionale».
Ecco il quadro entro cui si è mosso il P.P.R. che trova comunque la sua sintesi nel concetto di "ricostruire". Chi ne avesse voglia e interesse vada a leggersi, a pagina 40 della relazione, cosa mai significhi "ricostruire": io mi sono rifiutato di capirlo e devo anche confessare che la lettura della relazione, a questo punto, capita l'antifona, ha proceduto molto velocemente; così non mi soffermo a discutere quei concetti base delle linee guida che nella relazione, attraverso il termine "ricostruire", sono meglio «precisati e orientati in un preciso senso progettuale».
Dico solo che di preciso e orientato, nell'asfissiante fumo linguistico, non ho trovato traccia, mentre il senso progettuale mi è chiaro, ed è, se non sto commettendo un grossolano errore, quello di portare la Sardegna in un studio medico psichiatrico, perché l'analisi dice che «la Sardegna, attraverso l'azione, il governo del territorio, sta cercando il suo io regionale» cioè la sua intima identità deformata e frammentata dalle sciagurate politiche settoriali, tanto che ora, sempre la Sardegna, ha un io che non le rassomiglia e che necessita di una grande ricostruzione!
A questo ci pensa il P.P.R. col motto "non toccare l'intatto e ricostruire attorno", e siccome potrebbe essere non chiaro l'intendimento, ecco cosa viene anticipato e poi ben dettagliato in articoli e commi nelle norme di attuazione: "non toccare l'intatto e ricostruire attorno" significa «evitare forme banali di valorizzazione all'interno di territori che hanno già una qualità ambientale e che non hanno bisogno di percorsi, segnaletiche, punti di ristoro, centri servizi e tutta la congerie di figure banali della fruizione, per spostare in modo radicale l'attenzione ricostruttiva su tutto ciò che sta intorno, sull'insediamento umano in senso stretto, che ha trasformato fisicamente i luoghi e che vive del rapporto con il sistema ambientale in quanto rapporto tra diversi che non necessita di trasformazioni fisiche del sistema ambientale».
Ecco qua, il piatto è servito: non si tocca nulla, non si fa più niente, e se proprio qualcosa si intendesse fare, che lo si faccia laddove si è già fatto e disfatto, senza però disturbare l'intorno ambientale. È evidente che i Comuni, e non solo loro, si siano ribellati!
Un'impostazione di questo tipo fa riflettere sulle reali intenzioni propositive del Piano, altro che rivoluzione e filosofia controcorrente. Qui si ha l'impressione che le relazioni, le analisi, i dati esposti abbiano una funzione, un carattere, per così dire riempitivi, al solo fine di dare corposità e volume al Progetto; c'è molta aria fritta, luoghi comuni, valutazioni scontate, analisi superficiali e ripetitive, talora contraddittorie. Si fa un gran bel discorso, una dotta disquisizione di cos'è il paesaggio e chi o che cosa e quando lo ha degradato. Un bel dire che «così non va bene» e che «bisogna cambiare, ricostruire e ricomporre l'io regionale». Di fatto l'imperativo è non toccare l'intatto e ricostruire attorno, nel convincimento di molti che in tal modo crescerà e si amplificherà non lo sviluppo sociale ma il potere decisionale centrale.
E non può, a tal proposito, il Presidente Soru limitarsi semplicemente a dire che «è evidente che abbiamo un parere diverso che nasce da una cultura e da un atteggiamento politico diverso» (intervento in Consiglio del 7 settembre 2006).
Cosa intende dire quando afferma che «i valori paesaggistici regionali, l'ambiente, non appartiene più a nessuno ma appartiene all'intera comunità regionale»? Sarebbe come dire che apparterrebbe, in termini di gestione e amministrazione, al rappresentante primo dell'intera comunità regionale?
È inutile che ci propinino paroloni e rivestano l'ambigua filosofia del "principio di precauzione" con argomentazioni e analisi apparentemente scientifiche, ma che in realtà lascerebbero intuire finalità di altra natura: forse politiche, ovvero di ricerca del consenso verde-ambientalista o più probabilmente, come molti temono, di mera affermazione di un potere attraverso l'uso ideologico di questo P.P.R.. Di un potere fondato sul "non fare" per precauzione; e siccome la gente vuole certezze, hanno capito che il non fare è l'unica cosa proponibile che appaia ingannevolmente certa! Il messaggio che arriva alla gente comune è che d'ora in avanti, per il principio di precauzione e per uno sviluppo sostenibile, sulle coste, in campagna, nel territorio non si fa più nulla. Il non fare spacciato come salvezza certa nascondendo però l'altro altrettanto plausibile concetto che, se si vuole vivere oggi a rischio zero per l'ambiente, dobbiamo non escludere, per lo stesso principio di precauzione, che domani potremmo morire di fame!
Quanto ci costa questo P.P.R.? Dove sono le certezze di sviluppo? Quali dati inconfutabili ci propone per credere che davvero limitando l'azione dell'uomo sull'ambiente salveremmo l'uno e l'altro? La certezza non c'è, e allora, ritenendo che l'attuazione del P.P.R. possa costituire minaccia di danno serio per lo sviluppo della Comunità, invochiamo provocatoriamente l'applicazione dello stesso principio di precauzione e chiediamo quindi l'adozione di misure adeguate volte a prevenire i potenziali rischi che il P.P.R. potrebbe determinare.
C'è molta ironia e irriverenza in quanto ho detto, e me ne scuso, ma ci sono anche mostruosità scientifiche, culturali e politiche in questo P.P.R., che vanno contrastate a difesa sia dell'ambiente che della Comunità umana.