Stretta di mano fra il Presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Hu Jintao
Non ci vuole molto per capire che nell'immediato futuro a dominare il mondo saranno quei Paesi che detengono le fonti energetiche. Le civiltà moderne, tutte, sono caratterizzate da tecnologie
energivore: se si dovesse bloccare il flusso energetico l'economia riceverebbe un colpo tale da riportarla indietro di due secoli, mentre la società dovrebbe tornare a uno stile di vita inaccettabile per le generazioni a noi coeve.
Di questo sono consapevoli, più che i popoli, i governi. Questo spiega il dinamismo dei Paesi che possiedono le fonti energetiche, in uno scenario che vede alternarsi accordi pacifici a chiusure e minacce di ritorsione commerciale. Cina, India, Giappone e Unione europea per adesso si muovono in un ambito di intese capaci di garantire gli approvvigionamenti di petrolio e di gas. La Cina, soprattutto, attua una strategia di vantaggiosi accordi di partenariato con i Paesi africani produttori di petrolio. Sembra che ormai tutta la fascia dell'Africa centrale e parte dei produttori del Medio Oriente siano entrati nella sua orbita, così da assicurare petrolio alla sua economia in tumultuosa crescita. L'Unione europea, dal suo canto, consapevole dell'estrema debolezza politica e militare, cerca anch'essa di assicurarsi contratti duraturi di fornitura.
Quelli che possono muovere liberamente le leve commerciali sono però i detentori di greggio e gas naturale: Russia e Algeria per il gas, gli Stati dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente per il petrolio. Tra loro è emerso con prepotenza l'Iran: sebbene ancora non abbia adottato politiche di restrizione sulle forniture, sta determinando nervosismo tra quanti temono che prima o poi sarà capace di farlo. Gli Stati Uniti, a prescindere dall'Iran, hanno capito da tempo che la partita mondiale si gioca sul fronte dell'energia, e con la loro forza militare, senza finzioni, si preparano ad affrontare i rischi di un conflitto con buona parte del mondo islamico pur di garantirsi il controllo delle forniture. I reduci dall'Iraq della Brigata Sassari hanno raccontato che ogni santo giorno la strada da Bassora verso il mare è intasata da colonne di centinaia di autocisterne che portano il greggio verso le petroliere U.S.A.. Preda di guerra, dicono i
marines, che con la minaccia delle armi non permettono neanche alle camionette alleate di introdursi nella colonna.
Per gli U.S.A. il pericolo più temuto deriva dalla saldatura che si profila tra produttori di gas e produttori di petrolio. La Russia, infatti, non cessa di stringere accordi con l'Africa e il Medio Oriente. Il 16 febbraio di quest'anno una delegazione guidata da Vladimir Putin è giunta in Giordania, e con Re Abdullah II ha firmato accordi per modernizzare gli impianti delle raffinerie giordane. Era presente anche il
manager della Gazprom, il colosso russo del gas controllato al 50,01% dal governo.
La Gazprom accetta soltanto contratti di durata venticinquennale e i suoi maggiori acquirenti sono Germania, Francia, Italia, Turchia, Regno Unito, Svizzera, Austria, Finlandia e tutti i paesi orientali d'Europa. Ha stipulato anche contratti con la cinese PetroChina, con le statunitensi Exxon Mobil, Chevron Texaco e Conoco Phillips. Dal 2006 tra gli importatori di gas russo ci sono inoltre il Giappone e la Corea del Sud.
I Russi, per sostenere la domanda mondiale di gas, stanno spendendo grandi somme per realizzare alcuni megaprogetti. Uno è il "Gasdotto Blu del Flusso", che attraverso il Mar Nero collegherà la Turchia con una sofisticata tecnologia sottomarina che vede impegnata l'italiana Eni. Un altro progetto dal Mare di Barents trasporterà gas liquefatto verso la U.E. e gli U.S.A., mentre il "Progetto del Flusso del Nord" da San Pietroburgo, con un altro gasdotto sottomarino finanziato in parte dalla U.E. e i cui lavori sono iniziati nel 2005, porterà il gas verso il famelico Nord Europa. Il progetto "Altai" completa per ora la rete dei gasdotti: è una condotta gigantesca che attraverserà la Siberia per portare gas verso la Cina. Insomma, la Russia di domani non sarà simile a quella che implose da sé all'inizio degli anni novanta.
Per gli Occidentali l'unica alternativa al gas e al petrolio è rappresentata dal nucleare. L'esperienza ha dimostrato che il processo di fissione nucleare comporta gravi rischi di incidenti, mentre le scorie possono essere smaltite soltanto nell'arco di 100 mila anni, il tempo necessario per il decadimento radioattivo. Trovare luoghi isolati per il deposito delle scorie è quasi impossibile e giustamente le popolazioni rifiutano lo stoccaggio in prossimità del loro territorio.
Rimane la speranza della fusione nucleare, processo innovativo quasi privo di rischi e in grado di produrre scorie radioattive che decadono dopo poche centinaia di anni. Tuttavia, il primo reattore internazionale U.S.A.-Giappone-Europa è in corso di costruzione e soltanto nel 2030 saranno attive le prime centrali a fusione. Nel frattempo cosa si potrà fare per assicurare ragionevolmente gli approvvigionamenti di energia? Sarà inevitabile, specie per l'Italia e l'U.E. in generale, continuare a sottoscrivere accordi di fornitura che soltanto la stabilità politica dei Paesi produttori potrà garantire. Sappiamo bene che questo è ipotetico, alla luce delle effervescenze del mondo islamico.
Gli Stati Uniti tirano invece diritto, fedeli alla loro politica di potenza planetaria, tanto con i Repubblicani quanto con i Democratici. Hanno creato una robusta cintura militare dalla frontiera settentrionale cinese fino al Medio Oriente, chiudendo in una linea di 28 gigantesche basi militari l'intera zona dove si estraggono gas e petrolio, Russia compresa. Nessuno è in grado di cacciarli via e loro sono determinati a restarci. Il 2030 è molto lontano e nel frattempo non vogliono rimanere a secco.