La prima pagina del terzo numero di "Sud Est"
«
I primi littoriali della cultura e dell'arte avevano richiamato a Firenze molti giovani da tutti gli Atenei d'Italia, impazienti di misurarsi in quell'originale agone, di dichiarare le proprie convinzioni e di farle valere.
Noi sardi si era in pochi, tuttavia la nostra pattuglia, in cui figurava la figura ieratica del poeta Francesco Zedda, era ben affiatata, caratterizzata da un'unione invidiabile e decisa a far sentire a ogni costo la sua voce ai convegni.
Tra discussioni, proposte, critiche, affermazioni estrose e paradossali, una necessità emerse evidente e palmare per tutti noi: quella di una rivista, di un foglio anche modesto, sulla quale poter continuare in tal modo quel clima teso e rovente dei Littoriali.
Qui a Cagliari cominciarono gli affanni, le trepidazioni, gli ostacoli di ogni sorta, in specie finanziari e organizzativi.
Finalmente dopo una così laboriosa gestazione, come Dio volle, il primo numero di "Sud Est" vide la luce. Il contenuto, costituito da programmi, liriche, novelle e articoli di vario argomento, scritti con giovanile baldanza e con inevitabili ingenuità, rispecchiava la temperie e la passione assimilate durante i littoriali fiorentini».
Così, in un articolo di Sud Est nel marzo del 1940 lo scrittore Marcello Serra, l'autore di "Sardegna quasi un continente" rievocava la nascita del periodico nel 1934.
Nasceva così dal "basso" una rivista culturale che un gruppo di universitari metteva a disposizione del G.U.F. di Cagliari per valorizzare i giovani più promettenti dal lato artistico, culturale e scientifico. Collateralmente alla rivista entrano in funzione la casa editrice "Sud Est", che con i proventi pubblicitari provvedeva alla stampa delle opere artistiche e letterarie dei giovani intellettuali cagliaritani.
Il panorama della stampa dei G.U.F. si arricchiva così dell'apporto di un mensile assolutamente originale, in quanto non limitato nei suoi interventi alla discussione dei grandi temi nazionali o anche internazionali della politica, dell'ideologia fascista o della cultura nazionale, ma bensì teso alla valorizzazione e alla discussione dei temi e dei problemi della Sardegna, attentissimo a tutto ciò che in "continente" si scriveva sulla nostra isola.
In parole povere una rivendicazione della centralità dei problemi della Sardegna e della vitalità e validità della cultura e dell'intelligenza isolana. Si dice infatti nell'articolo redazionale del 1937: «
[...] Sud Est entra con questo numero nel suo terzo anno di vita [...] Sud Est ha costituito non soltanto un'efficace palestra di preparazione per i littoriali e un centro della sezione culturale dei G.U.F. di Cagliari; la sua attività si è estesa anche nella sfera giovanile extra universitaria. La rivista ha così raccolto intorno a sé un notevole gruppo di giovani del campo artistico e scientifico isolano. In due anni di vita Sud Est ha avuto la cifra non indifferente di 67 collaboratori. La nostra rivista ha avuto così la singolare ventura di poter dimostrare la vitalità delle giovani forze culturali isolane e di portarle su un piano di concreta evidenza. Nella storia della cultura sarda è forse la prima volta che attorno a un periodico si è raccolto un così vasto consenso di vive energie».
E, ora leggere i nomi di quei collaboratori c'era ben da essere orgogliosi: Marcello Serra, Salvatore Deledda, Gaetano Pattarozzi, Francesco Alziator, Nicola Valle, Vittorio Stagno, Giuseppe Susini, Giuseppe Brotzu, Lino Businco, Antonio Cabitza, Paolo Ballero Pes, Antonio Romagnino, Francesco Zedda, Ennio Porrino, Salvatore Cambosu, renzo Laconi, Mario Pazzaglia, Emilio Bellu, ecc..
E non mancava neppure una folta schiera di collaboratrici femminili: Maria Coroneo, Marta Marachiello, Cenza Thermes, Ida Macciotta, Immacolata Corona, Paola Costa Lai, Ginevra Thermes.
La pubblicazione di Sud-Est continuò pressoché ininterrottamente sino al febbraio del 1943, quando il terribile bombardamento del 28 febbraio distrusse la tipografia dove veniva stampato.
Ormai la guerra volgeva all'epilogo e il giornale lo facevano praticamente in due, poiché gran parte dei collaboratori era partita per la guerra, Marcello Serra, ultimo segretario del G.U.F. di Cagliari e Mario Pazzaglia, reduce dal fronte greco-albanese dove ci aveva rimesso una gamba.
Eppure sino alla fine non perde il suo spirito critico nei confronti del regime. Non siamo più ai feroci attacchi di Lino Businco contro i razzisti tedeschi e i sorgenti razzisti italiani della rivista "Tevere" diretta da Telesio Interlandi, né alla messa in guardia contro la politica estera di Hitler fatta da Luigi Pirastu. "Razzismo Tedesco, febbraio 1934", "Antropologia e nazismo, n. 1-1935", "Razzisti alle prese coi Littoriali, febbraio 1936", "Hitler e la politica estera, n. 3 del 1935". Ma, in piena guerra, Mario Pazzaglia in un amaro articolo del luglio 1942 "Gli inutili sono dannosi" critica l'obbligo dell'iscrizione al Partito Fascista per potere accedere al lavoro.
Sempre Mario Pazzaglia nel gennaio del 1943, in un articolo "Polemiche sul Corporativismo", denuncia il fallimento dello stesso, dovuto anche alla mancanza della rappresentatività dei dirigenti nominati dall'alto e non eletti. In data 18 febbraio l'Autore dell'articolo ricevette da Roma la seguente lettera: «
Caro Pazzaglia, ho letto con molto interesse lo scritto da Voi pubblicato su Sud-Est. Mi è sembrato molto organico, vivo, preciso nel suo complesso. Mi compiaccio e spero che proseguiate a lavorare nella via così bene intrapresa», firmato Giuseppe Bottai.
Nel 1943 tutti riconoscevano che il fascismo era in crisi e che si stava creando una frattura insanabile tra popolo e regime e non solo perché la guerra andava male. Tutti pensavano che il male non fosse il fascismo, ma la pochezza degli uomini chiamati a dirigerlo. Ma ormai era troppo tardi per cambiare le cose, per creare quel fascismo critico e rivoluzionario che Mario Pazzaglia e tutta la sua generazione degli anni difficili auspicavano.
Di li a poco il 25 luglio avrebbe sancito la fine irreversibile del fascismo.
Il fascismo repubblicano di Salò è già un'altra cosa ed esso stesso decretò nei 18 punti di Verona il fallimento del sistema fascista del ventennio.