EXCALIBUR 12 - settembre 1999
in questo numero

Non credo in questa Europa

Dilemma: "Europa dei mercati" o "Europa dei popoli"? Purtroppo pare che la prima prenda il sopravvento, ma questi mercati saranno poi liberi?

di Andrea Curreli
Tra qualche anno orgogliosamente ci renderemo conto di essere "cittadini europei" ossia membri votanti di una realtà che paradossalmente non sarà nella sostanza molto differente da quella attuale. Perché dico questo? Perché questa Europa non è stata disegnata ed edificata dalle sue genti secondo una continuità storico-politica rimasta sospesa nei secoli dall'Impero Romano, bensì è frutto del lato più triste ma anche più determinante della politica ossia dell'economia.
Questa Europa 2000 è un bellissimo mercato regolato da leggi prettamente economiche e gestito da forti lobbies massoniche più che da politici. Chi per anni è andato sostenendo la necessità di unire popoli etnicamente divisi e spesso in contrasto tra loro, ma accomunati da un comune percorso storico che ha fatto del Vecchio Continente la fonte della Civiltà, si trova davanti una realtà che con tali propositi e principi sacrosanti non ha niente a che vedere. Non ci sono tradizioni millenarie ma volgarissimi parametri economici a stabilire chi, come e perché deve divenire Europeo.
Questa impostazione economicista della realtà europea la lega suo malgrado a un circuito mondiale retto in gran parte dagli U.S.A. che ovviamente badano ai loro interessi e continuano a trattare gli Europei come loro sudditi. Gli U.S.A. non si oppongono a quella che sulla carta dovrebbe essere una sua futura antagonista nella politica internazionale perché sanno che, con questi presupposti, non solo è facilmente controllabile ma permette loro, in modo efficace, di penetrare economicamente in mercati molto appetibili (Asia e Africa).
La realtà è che un impero come quello americano non può temere l'unione di stati già ampiamente sottomessi dal punto di vista economico-politico-sociale. La dimostrazione ci viene offerta ogni qual volta si sviluppa una crisi internazionale. Le nazioni europee, sebbene nella maggior parte governate da realtà socialdemocratiche, non solo non trovano una politica comune ma fanno a gara a prostrarsi davanti al padrone americano. La Gran Bretagna da questo punto di vista è l'esempio più vergognoso: dimessi i panni dell'Impero dei Mari e perduta la sua aristocratica presunzione (limitata oramai solo nei confronti degli Irlandesi e dei turisti italiani in agosto), la perfida Albione, come la si chiamava un tempo, risveglia in sé un rapporto d'amore verso le colonie perdute, il che sarebbe ancora ammissibile se i pesi delle parti fossero ancora quelli del 1700 e non i loro opposti. Paradosso storico: i colonizzatori di ieri sono i più servili colonizzati di oggi.
Se ragionassimo ancora in termini nazionali, la posizione del governo Blair (che segue, solo in maniera più eclatante, la linea politica dei governi che l'hanno preceduto) avrebbe un'importanza relativa, ma diviene l'emblema della disunità quando si ragiona in termini "europei". Da tale tipo di sudditanza non sono immuni le altre realtà europee, tanto prodighe di buoni propositi nei confronti del popolo Curdo, ma altrettanto leste a lasciar perdere tutto non appena il vecchio Zio Sam le ha richiamate all'ordine.
In questo quadro desolante ci sono ancora focolai di resistenza a questa omologazione e sebbene poco considerati, sono molto attivi agli occhi degli osservatori più attenti. Fino agli anni settanta questa opposizione si concentrava nelle mani di vari movimenti nazionali e nazionalisti che si facevano portatori della difesa dei valori e delle tradizioni su scala nazionale. Un motto molto bello del M.S.I. recitava: «l'Italia innanzi tutto, l'Italia soprattutto» e la volontà era quella di difendere l'idea di una nazione deturpata da una guerra e svuotata al suo interno da varie forze di sinistra. L'identità nazionale si contrapponeva all'omologazione del sistema capitalista che penetrava durante il boom economico e altrettanto faceva contro l'annientamento dell'uomo nella massa delle teorie marxiste. Tutto ciò valeva per l'Italia come per qualsiasi altra nazione europea.
Oggi la contrapposizione passa attraverso una nuova identità: il popolo. Tale nuova forza si contrappone agli stessi stati nazionali quando in questi vede perdita di identità e omologazione, ma è la forza trainante della riscoperta della tradizione europea. In Italia la Lega Nord interpreta un malessere effettivo che non si può trascurare. Il continuo riferimento alle tradizioni del nord del paese è un sintomo positivo di risveglio anche se scade sempre più in folklore politico che ne svuota il contenuto. La nuova Europa cresce dai regionalismi o dai nazionalismi, così bisogna apprezzare chi in maniera spesso eccessiva e violenta si contrappone a tale sistema, mi riferisco ai Baschi, agli Irlandesi, ai Catalani, ai Sardi ai Corsi e così via. Questa è la nostra Europa che si deve contrapporre al sistema di globalizzazione in atto: non più cittadino "consumatore" del mondo ma membro di un popolo e difensore delle proprie radici.
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