Lo sguardo "idealista" di John F. Kennedy
A oltre trent'anni dalla morte il mito kennediano resiste ancora. La recente scomparsa dell'ultimo rampollo della dinastia più nota d'America è stata l'occasione per rispolverare le mitiche gesta del più giovane presidente degli Stati Uniti. John F. Kennedy rappresenta ancora un valido modello politico per la sinistra italiana e per Walter Veltroni, sempre più convinto di esserne la reincarnazione.
Peccato però che l'alone mitico che per anni ha circondato la figura di John Kennedy, continui a brillare solo in Italia. La storiografia americana, da dieci anni a questa parte, ha iniziato a rivalutare la presidenza Kennedy. Oggi appare difficile considerarlo un eroe di sinistra, almeno secondo i canoni tradizionali.
Anzitutto Kennedy non era certo un idealista, al di là dei discorsi retorici che amava pronunciare. Piuttosto era un pragmatico un po' opportunista. Da senatore mantenne sempre una posizione piuttosto defilata sul maccartismo. Da presidente sposò la battaglia per i diritti civili più per motivi di immagine che per convinzione, ostacolando spesso l'operato dei suoi collaboratori.
In politica interna non si sa bene cosa abbia combinato. Le dichiarazioni pubbliche erano spesso in contrasto con gli atti di governo. Tuttavia godette sempre di un ampio consenso popolare, soprattutto grazie ai favori della stampa. Grande amico dei giornalisti più in voga del momento, Kennedy intervenne più volte per chiedere e ottenere la censura di importanti servizi giornalistici che gettavano ombra sul suo governo.
Sempre in tema di amicizie, il presidente americano poteva vantare rapporti piuttosto stretti con il gangster Sam Giancana, e con un codazzo di avvenenti donnine. Del resto fu lui stesso a dichiarare al Primo Ministro britannico nel corso del loro primo incontro ufficiale che «
se resto tre giorni senza una donna mi viene un terribile mal di testa».
Ma i successi, o insuccessi, maggiori di Kennedy furono in politica estera. La Baia dei Porci, almeno sino al Vietnam, rappresentò il fiasco principale della storia degli Stati Uniti. Indubbiamente l'operazione fu pensata e preparata sotto la presidenza Eisenhower. Ma fu Kennedy ad attuare quell'insensato, ridicolo e vergognoso colpo di mano. Il rischio di scatenare un conflitto nucleare era altissimo. Le possibilità di successo decisamente scarse.
Durante la presidenza Kennedy gli Stati Uniti modificarono la strategia difensiva e dettero una spaventosa accelerata nella corsa agli armamenti nucleari. Il motivo ufficiale, si disse, era il ritardo missilistico rispetto ai sovietici. In realtà gli Americani mantennero sempre una netta superiorità militare. Il presidente però aumentò il bilancio della difesa in omaggio all'adagio latino:
si vis pacem para bellum.
Nonostante questi sforzi, Kennedy non riuscì a fornire una coerenza di base alla politica estera statunitense. Gli Stati Uniti si trovarono costretti a reagire a una crisi dopo l'altra, piuttosto che perseguire obiettivi di lungo periodo. Inoltre, la nuova strategia difensiva tutta incentrata sul ricorso alle armi convenzionali, finì per rendere molto più frequente e meno problematico il ricorso al conflitto armato. Il tutto a scapito dell'opzione diplomatica. Fu così del resto che iniziò l'avventura in Vietnam.
La principale qualità di Kennedy fu quella di comprendere per primo il valore dell'immagine nella società moderna. Il presidente era ricco, giovane, bello, biondo, piaceva alle donne, aveva una moglie affascinante e una grande famiglia alle spalle. Inoltre sapeva come "ridurre alla ragione" i media.
Insomma non c'è male per un mito della sinistra.