Il Futurismo in Sardegna
Dal Parigino "Le Figaro" al Cagliaritano "Mediterraneo futurista"
di Monica Ulleri
Parigi, 20 febbraio 1909. Il lettore abituale di "Le figaro" si trovò di fronte un manifesto irriverente, dissacratore, lapidario, furioso, "Le futurisme", fatto stampare sotto pagamento da Filippo Tommaso Marinetti, l'inventore della parola almeno, se non di tutte le premesse teoretiche del movimento. È questo il primo atto ufficiale del futurismo, irripetibile avanguardia di questo secolo, che irrideva a qualsiasi opera mirante ad avere un valore estetico o a incarnare idealità razionali e morali.
Espansione nazionale, lotta al vecchio, antipassatismo, sono i punti cardine del manifesto. Marinetti contrappone a tutto il passato la bellezza razionale del vitalismo attivistico e violento, della frenetica vita moderna. La poesia c'è e si sente! Un nuovo stile di vita! Il linguaggio che di volta in volta diventa ironia, magia, simbolo, abbandona metrica e grammatica per farsi libera e sprezzante.
Giovane e radicale, il futurismo non accetta discussioni, è "terrorismo" letterario che obbliga gli artisti a non archiviare la ribellione, è l'unica poetica rivoluzionaria che abbia avuto la letteratura italiana, è l'inizio dell'arte futura con tutte le sue possibilità e le sue metamorfosi imprevedibili e infinite.
Il Futurismo raggiunge il massimo della diffusione nel territorio. L'instancabile Marinetti imbarca nel suo carro buoni e cattivi e nel suo funambolico giro di teatri e conferenze approda a Cagliari nell'aprile del 1921, poi a Sassari e ad Alghero, trovando proseliti in Marcello Cugusi e Charem Diez. Nel '24 si costituisce il primo "Club futurista di Sardegna" che resterà, almeno come club ufficiale, anche l'unico per cura di Enrico Baravelli Negri. Si forma comunque un nucleo sassarese intorno a Baldo Morgana e a un "Gruppo Sant'Elia", formato da Gaetano Pattarozzi e Ruggero Micheloni, Giovanni Marras, Ludovico Gaetani, Antonio Fanni, Giovanni e Immacolata Corona, Miriam Sanna, Giacomo Baggio, Nicolò Mattana.
Nel 1938 la rivista edita a Cagliari "Ariel", si trasforma in "Mediterraneo futurista", è Pattarozzi l'artefice del cambiamento: «Del futurismo prenderemo tutto quello che è rimasto di buono attraverso il collaudo di trent'anni di lotte, di urli, di sputi [...]. In nessuna regione d'Italia, come in Sardegna, i futuristi anno una profonda ragione di vita. I Sardi in arte non hanno tradizioni perché se guardiamo oltre Sebastiano Satta", Grazia Deledda e Francesco Ciusa, ci perdiamo in un fittore di tenebre dove, ubriachi di desolazione, cerchiamo invano una luce che rischiari secoli e secoli di profondo silenzio».
Nel primo numero di "Mediterraneo futurista" compare un manifesto, "Sprezzo del pericolo, gusto dell'eroismo", del gruppo futurista cagliaritano in cui si individuano cinque vizi principali dei Sardi: "immobilità fisica", "spirito più o meno distratto", "ostruzionismo sistematico contro tutto ciò che si muove", "mania critica", "boria sprezzante costituita nel vuoto". In risposta ai cinque vizi, il proposito di distruggere in poesia e arte il "male" che frena ancora il potente e splendido avvenire della Sardegna.
Intorno al 1940 il giornale si trasferisce a Roma, riuscendo a uscire con ineguagliabile costanza ma perdendo il carattere di organo del futurismo sardo.
Anche dall'isola dunque giunse l'esortazione "marinettiana" colta con impareggiabile grandezza da Mario Sironi: «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!».