Ancora sulla partecipazione
di Paolo Cossu
Accetto con piacere di intervenire ancora sul tema della partecipazione, in quanto riscontro che si sta ottenendo proprio quello che volevamo ottenere: una maggiore "partecipazione" del nostro mondo al dibattito politico e culturale, in modo da contrapporci alla omologazione strisciante, che favorisce solo i detentori del potere.
Gli interventi come quello di Nicola Montixi nello scorso numero di Excalibur sono pertanto non solo accettati, ma addirittura richiesti, o meglio ancora sono proprio quello che si voleva ottenere quando abbiamo parlato di partecipazione nella politica. Qualche breve osservazione all'intervento di Montixi mi sembra pertanto doverosa (giusto per mettere un po' di "sale"), riguardo ad alcune sue affermazioni che integralmente riprendo: «Quante volte abbiamo sentito risuonare questa parola (partecipazione, n.d.s.) [...]. Non so se definire la partecipazione un asso nella manica o una pietra tombale per la Destra» e infine «è inutile parlare di partecipazione se l'applicazione pratica del principio è inesistente».
Punto numero uno: provi a girare per strada e chiedere alla gente comune se conosce la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese; ma provi anche ad andare alle riunioni del Polo e fare la stessa domanda; ma voglio esagerare, provi per curiosità estrema ad andare anche in quei circoli di A.N. composti non da ex missini, e avrà la risposta alla sua domanda: poche volte, anzi pochissime, forse quasi mai gli interpellati avranno sentito quella parola e tanto meno ne conosceranno l'esatto significato.
Punto numero due: asso nella manica o pietra tombale? Ma come, si parla di primato delle idee "immortali", si parla di valori da difendere a ogni costo e poi ci si pone il dubbio sull'opportunità o meno di combattere per ciò in cui si crede?
Sono fermamente convinto che la partecipazione sia un'arma vincente, ma credo soprattutto che interpreti la nostra visione dei rapporti fra lavoro e capitale; se si crede nelle proprie idee, si deve convincerne gli altri della validità e ci si deve battere per realizzarle; questo deve innanzitutto fare un militante politico.
Punto numero tre: l'applicazione pratica è inesistente; invito tutti i lettori e non solo il buon Nicola, a informarsi sulla legge Balladour in Francia (che dispone una rappresentanza dei lavoratori nei C.d.A. delle imprese privatizzate) e prima ancora sull'esperimento tedesco di partecipazione, il cosiddetto "modello renano di economia sociale", fino all'attuale esperimento tutto italiano della Zanussi, prima azienda in Italia ad applicare un contratto di partecipazione e che è oggi l'esempio al quale tante aziende guardano con interesse.
Per non parlare poi della "dottrina sociale della Chiesa" o della V Direttiva della Comunità Europea che consigliano e auspicano una maggiore partecipazione dei lavoratori alle gestione delle aziende nelle quali lavorano.
La partecipazione applicata oltre l'economia, e in particolare nella politica, penso sia un obiettivo prioritario per chi crede nel valore delle diversità ed è contrario al "grande minestrone" dove tutto si mescola e dove le identità vengono abbondantemente scolorite.
È solo col coinvolgimento continuo dei cittadini, dei simpatizzanti, degli iscritti ai partiti, che si può vincere la battaglia contro l'indifferenza, la rassegnazione, il rifiuto della politica che sempre più sta dilagando nella nostra società.
L'opportunità di poter esprimere le proprie opinioni, la possibilità di incidere realmente nelle scelte del proprio partito, il vedere rispettata la prima regola di una democrazia, cioè che il proprio voto non venga tradito da ribaltoni e/o ribaltini, è il primo passo verso quella rivoluzione della politica che da tempo auspichiamo.
Ben vengano allora le primarie per la scelta dei candidati, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, del Capo del Governo e dei Presidenti delle Regioni, ben venga il momento nel quale il popolo conta per davvero e decide con la democrazia diretta da chi essere rappresentato.
Nella politica come nella vita si possono perdere delle battaglie, ma per chi crede in ideali immortali, "non è indispensabile riuscire per perseverare, non è necessario vincere per continuare a lottare".