EXCALIBUR 10 - maggio 1999
in questo numero

Intervista a Marcello Veneziani

Nel segno della tradizione, ritrovando la propria identità

di Fabio Meloni
Marcello Veneziani e Fabio Meloni
L'identità culturale è un tema molto sentito nelle fila di quella vasta comunità politica che con estrema semplicità e sbrigativamente viene definita "di destra". Una comunità all'interno della quale convivono tante e diverse anime, forse troppe. Con qualche presenza ingombrante, soprattutto nel momento in cui vengono maggiormente oscurate le identità e più sfumati appaiono i contorni, tanto da rischiare di farla risultare annacquata, o addirittura troppo allineata.
Un allarme che fu tempestivamente lanciato dall'ambiente culturale contiguo sin dai tempi del "bagno purificatore" di Fiuggi.
Tra i "facili profeti", anche Marcello Veneziani (negli scorsi giorni ospite in un convegno organizzato dalle associazioni culturali "Vico San Lucifero" e "Nuove iniziative per la cultura") da sempre considerato, con una definizione usata e abusata, la "coscienza critica della destra italiana". Colpevole, però, agli occhi dei troppi conformisti, proprio di essere critico. Colpevole di rivendicare con troppa forza la propria indipendenza di pensiero.
Il tema delle idee al centro della politica è un concetto ricorrente nella sua prosa, tanto da farlo considerare alla testa degli intellettuali che da tempo sollecitano la destra politica affinché ritrovi la propria identità ed eviti di seguire la tendenza di moda che si manifesta nel prodigarsi in un'affannosa ricerca di legittimazione fuori dal proprio recinto culturale, riducendosi così a una pianta dalle nobili radici, ma dagli scarsi frutti.
«La Destra», sostiene Veneziani, «si deve caratterizzare per la difesa delle differenze, delle identità, per la fedeltà alle appartenenze, alla tradizione. Consolidando le sue critiche al mercantilismo, al neocolonialismo culturale che porta inevitabilmente al mondialismo, al pensiero unico. Sostenendo il primato della politica sull'economia, non però la sua ingerenza, con un concetto di mercato valido esclusivamente nel suo ambito, senza che la società debba essere asservita ai suoi valori. Riaffermando il senso dello Stato, da realizzare nell'ambito di una repubblica presidenziale, partecipativa e, solo in questo caso, anche federale».
Se non bastasse, Veneziani è stato anche un inclemente sottolineatore delle gravi difficoltà di rapporto, sul versante destro, tra rappresentanti della politica e della cultura, fino a sostenere che «la vittoria elettorale della destra nel 1994 ha coinciso con la sua sconfitta culturale». E pare non avesse torto, visto che la destra è ancora vittima della gestione quotidiana della politica, generando in diverse occasioni perplessità sulla coerenza tra scelte fatte e patrimonio culturale.
Senza andare troppo indietro nel tempo, basterebbe pensare all'incondizionato sostegno ai bombardamenti americani in Serbia («All'interno dell'auspicabile Europa delle patrie», dice Veneziani, «l'Italia deve ridisegnare la propria sovranità nazionale, contro un generico occidentalismo ammalato di filoatlantismo e americanocentrico»), alla candidatura nelle proprie liste per il Parlamento Europeo dell'antiproibizionista per antonomasia in tema di droghe Marco Taradash. Ma anche alle simpatie espresse da qualche esponente per la candidata Emma Bonino (proprio il suo "Lo Stato" - inserto culturale del settimanale "Il Borghese" - ha pubblicato l'articolo-denuncia - realizzato con materiale scovato da "Forza Nuova" - che ha ricordato come negli anni '70 l'esponente radicale si fosse macchiata di migliaia di aborti clandestini, realizzati con le proprie mani) e, dulcis in fundo, all'entusiastica elezione di Ciampi: «Non si può considerare la scelta di un uomo al di sopra delle parti.», sottolinea, «Il nuovo Presidente della Repubblica non solo proviene dalle fila del Partito d'Azione, ma ha sempre scelto una parte ben precisa. La sua figura è la migliore espressione della riuscita sintesi tra il mondo finanziario e la sinistra politica».
Una lunga serie di considerazioni espresse in piena libertà e stampate sulla carta che non ha mancato di procurargli diversi guai professionali, in primis la defenestrazione - partorita in ambienti ben individuabili della destra politica - dalla direzione di quell'affascinante e forse inimitabile avventura de "L'Italia settimanale". E che oggi, scrupoloso e avvincente curatore de "Lo Stato", non gli fa vivere giorni tranquilli, coi "maldestri" sempre in agguato.
Alieno da tentazioni o da atteggiamenti nostalgici, sorprese i benpensanti quando si schierò a favore di una posizione nettamente politically incorrectCome esiste il diritto di dirsi comunisti, pur sapendo cosa il comunismo ha rappresentato per la società moderna, ritengo che sia doveroso riconoscere il diritto di dirsi fascisti senza vedersi attribuire la colpa della guerra, le leggi razziali e la repressione antifascista»), fino a sostenere che il fascismo deve essere storicizzato, digerito, metabolizzato, per poterlo inserire a pieno titolo nelle proprie tradizioni, nei ricordi, testimoniandolo nel proprio tempo senza vergogna e con le radici ben presenti, senza perciò sporcarlo facendone un argomento politico.
Solito "malcostume" elettorale
di Roberto Aledda

Una annotazione marginale (ma molto marginale!) sul dibattito seguito alla relazione di Marcello Veneziani.
Quasi tutti gli intervenuti hanno posto delle brevi e precise domande al relatore: l'obiettivo era, come è stato, di avere delle risposte esaurienti su vari quesiti di interesse generale.
Come al solito qualcuno - guarda caso candidato alle prossime elezioni regionali - ha approfittato dell'occasione per fare un lungo intervento, non richiesto, come corollario della propria domanda a Veneziani.
Chiediamo scusa ai presenti (e agli altri candidati, anch'essi presenti, che non hanno approfittato di tale opportunità), ma l'obiettivo del convegno non era certo creare situazioni di "visibilità" per chicchessia; lasciamo alla loro intelligenza la valutazione dell'episodio.
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VICO SAN LUCIFERO