Sopra: Camillo Bellieni (Sassari
1893 - Napoli 1975)
Sotto: biografia di Emilio Lussu
curata da Camillo Bellieni
(Cagliari, 1924)
Camillo Bellieni è stato sicuramente il principale ideologo, o comunque uno dei maggiori teorici, del Partito Sardo d'Azione. Nato a Sassari nel 1893 da Nicola e da Elisabetta Marras, trascorse l'infanzia e la prima adolescenza a Thiesi dove il padre esercitava la professione di farmacista. Dopo la frequentazione, per alcuni anni, della Facoltà di Giurisprudenza dell'Ateneo turritano, avendo vinto il concorso di segretario capo della biblioteca della scuola di ingegneria, si trasferì a Napoli, dove conobbe Margherita Ciampo, la futura moglie.
Partecipò come volontario alla prima guerra mondiale arruolandosi nella Brigata Sassari. Nel novembre del 1917 rimase invalido. Rientrato dalla trincea, affiancò Arnaldo Satta Branca, Vincenzo Onida e Mario Dore che, nel novembre del 1918, avevano fondato una "Associazione fra i reduci della Trincea", collegata alla "Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra" (Anmig). Tale sodalizio, da ente destinato a perseguire finalità puramente assistenziali, in breve tempo si tramutò in soggetto politico, soprattutto allorché diede vita al settimanale "La Voce", il giornale dei mutilati, invalidi e combattenti, che iniziò le pubblicazioni il 16 marzo 1919.
L'evoluzione del movimento fu assai rapida: tra il dicembre 1918 e il marzo 1919, nella sola provincia di Sassari, vennero istituite 90 "sottosezioni", mentre in quella di Cagliari l'avvio fu più lento sino a quando, nell'estate del 1919, Emilio Lussu venne eletto presidente della sezione cagliaritana dell'Associazione Nazionale Combattenti. Alla fine del 1919, in tutta l'Isola, risultavano funzionanti 167 sezioni.
Nel dopoguerra, Bellieni riprese gli studi conseguendo la laurea in giurisprudenza a Sassari e poi quella in filosofia a Roma. Storico e filosofo, uomo di grande cultura, fu il teorico e il grande organizzatore del primo sardismo, originato dal movimento dei combattenti.
È Bellieni a spiegare le ragioni della scelta del nome Partito Sardo d'Azione: partito, &@171;
per il suo carattere fermo e disciplinato»; sardo, &@171;
perché chiamato a rappresentare gli interessi della collettività isolana»; d'azione, &@171;
per il suo carattere attivistico» nell'organizzare la produzione e il consumo. Il nuovo partito si sarebbe dovuto collegare al più vasto movimento che, soprattutto sotto la spinta di Salvemini, stava nascendo nel Mezzogiorno e avrebbe dovuto mettere al bando due parole: socialismo e democrazia.
In particolare, al "socialismo" si rimproverava di essere uno strumento al servizio degli operai del Nord, i cui interessi - collegati attraverso il salario alla politica protezionistica e allo stesso sistema capitalistico - erano antagonisti rispetto agli interessi dei contadini del Sud. La parola "democrazia" veniva invece rifiutata in quanto evocava il mondo politico dell'anteguerra, vale a dire quel sistema parlamentare "imputridito" contro il quale si erano schierate le nuove generazioni uscite dall'esperienza "rigenerante" della guerra.
Quei concetti erano già stati illustrati da Bellieni al Congresso dei combattenti sardi, svolto a Macomer l'8-9 agosto 1920, laddove auspicava la necessità di creare un partito in grado di organizzare i contadini meridionali &@171;
contro le categorie industriali e operaie del settentrione»: partito - aggiungeva - che dovrà &@171;
tendere alla liberazione da ogni sfruttamento del proletariato isolano, dando a esso una coscienza, facendo sviluppare la sua autonomia». Le idee di libertà, giustizia e equità sociale costituirono i capisaldi della religione civile di Bellieni, sempre orientata al riscatto morale, economico e sociale della Sardegna. Bellieni vedeva la Sardegna, per posizione geografica e storia culturale, come il fulcro di un'alternativa politica ed economica mediterranea.
Cattolico per formazione e laico nell'azione, seppe compendiare i grandi filoni della cultura politica europea nella dottrina dell'autonomismo federalista che niente ha da spartire con l'autonomia speciale che sta alla base dell'attuale Statuto regionale della Sardegna. Secondo la concezione e il linguaggio di Bellieni, infatti, l'autonomismo è capacità autodeterminativa degli individui e dei popoli e deve trovare la sua espressione politica nella potestà legislativa dell'Ente Regione.
Ma se la Sardegna è una nazione - questo è il ragionamento di Bellieni - è una "nazione abortiva" e tale resterà finché non acquisirà la sua sovranità politica e la sua potestà legislativa al pari dello Stato. Va da sé che l'impianto centralista dello Stato italiano non fosse in grado di accogliere la sua visione regionalista, che pertanto doveva passare attraverso un patto tra le regioni e lo Stato: un patto che demanda alcuni poteri allo Stato centrale e altri alle Regioni. Solo in quest'ottica di tipo federale si comprende l'autonomismo sardista di Bellieni. Nella sostanza, secondo la sua concezione autonomista e federalista, il termine "Regione" è destinato a sostituire il termine "Stato". La Regione Sardegna quindi, insieme ad altre regioni, avrebbe dovuto configurare il nuovo assetto di una moderna repubblica federale. Il nuovo Stato, nella visione di Bellieni, doveva essere costituito dalle diverse "Regioni-Stato" che liberamente aderivano alla costituzione dello Stato federale con pari dignità. Solo in questa prospettiva la storia della nazione sarda avrebbe potuto trovare la sua dimensione statuale e quindi uscire dalla condizione di "nazione abortiva".
Al tempo stesso, a Bellieni non sfuggiva l'inadeguatezza delle classi dirigenti sarde e italiane per la realizzazione di un progetto politico ambizioso quale era quello di una vera e propria rifondazione della statualità e della politica, da cui scaturiva l'esigenza della nascita di un nuovo partito e di una nuova classe dirigente in grado di assumere, con consapevolezza, nuove responsabilità per la Sardegna, per l'Italia e per l'Europa.
Queste idee vennero espresse da Bellieni a Nuoro, durante il primo congresso regionale della Federazione sarda dell'Associazione Nazionale Combattenti, dove auspicava l'autonomia di tutti gli enti locali che si sarebbero dovuti associare in una superiore unità regionale. Ma espose anche altre rivendicazioni, fra cui la creazione di un'organizzazione cooperativistica (in grado di garantire - come diceva - &@171;
il capitalismo dei poveri»); la riforma elettorale e la riforma del Senato (destinato a diventare una Camera &@171;
degli interessi economici e dei lavoratori»); e la modifica del regime tributario, che, sulla scia del movimento anti-protezionista d'ante guerra, doveva orientarsi nel senso del "liberismo a oltranza".
Negli anni del fascismo, Bellieni insegnò filosofia e pedagogia a Trieste. Poi ripiegò su un impegno di segreteria all'Università di Napoli, che gli permetteva di dedicarsi agli studi di storia in cui si segnalò per il rigore della ricerca. Nel secondo dopoguerra fu fortemente critico nei confronti del nascente autonomismo che, certamente, non andava nella direzione da lui auspicata. Morì a Napoli nel 1975.