A cura di Luigi Nieddu, "Luigi B. Puggioni e il P.S.D'A.
Cagliari (1919-1955)", senza data
Il programma politico approvato nel Congresso di fondazione del Partito Sardo d'Azione (Oristano, 16-17 aprile 1921), dopo aver chiarito che «
il Partito Sardo d'Azione deve essere partito di popolo, deve ricercare di dare coscienza di sé al proletariato affinché sappia redimersi spiritualmente ed economicamente», afferma che «
il P.S.d'Az. deve combattere ogni tendenza ideale che si richiami alle tradizioni democratiche, ritenendo ormai superate tutte le concezioni giusnaturalistiche e vuota di contenuto ideale la parola democrazia».
Va detto che, a partire dal 1921, il Partito Sardo d'Azione e il movimento dei combattenti si identificavano negli stessi gruppi dirigenti. Forse è questa la ragione per la quale la serie di congressi della Federazione Sarda dell'Associazione Nazionale dei Combattenti si concluderà nel 1922. Il movimento, nella sostanza, era stato assorbito dal Partito Sardo d'Azione.
Occorre considerare che, avendo la nuova legge elettorale introdotto lo scrutinio di lista su base regionale, alle elezioni politiche del 1921, venne presentata una sola lista sorretta dal Partito Sardo d'Azione dove furono eletti ben quattro deputati: oltre i citati Mastino e Orano, ottennero il seggio Umberto Cao e Emilio Lussu (che costituiva la vera novità). Cao dovette l'elezione, oltre che all'attivismo dei nipoti Giovanni e Vitale Cao, alla fama di teorico dell'autonomia regionale dovuta a un libretto pubblicato nel 1918, in cui la concessione di norme di autogoverno a beneficio dell'Isola veniva presentata come una sorta di ricompensa o indennizzo da parte dello Stato a fronte del sacrificio dei Sardi nelle trincee.
Si è visto che il P.S.d'Az. nasce a Oristano il 17 aprile 1921, in concomitanza al quarto Congresso della Federazione Sarda dell'Associazione Nazionale Combattenti, inaugurato il giorno prima. La concezione autonomista viene riassunta da Bellieni: conferimento di nuove funzioni alle province in materia di lavori pubblici, commercio e agricoltura; possibilità, attribuita alle stesse, di adattare alle particolari condizioni della regione tutti gli istituti e i provvedimenti sociali dello Stato senza peraltro alterarne le linee fondamentali. Secondo Bellieni l'attività delle province doveva essere «
libera da ogni ingerenza e da ogni controllo statale, meno che in materia di legislazione sociale e tributaria».
La caratteristica dell'elaborazione sardista, espressa da Bellieni, risiede nel carattere pragmatico, vale a dire nella ricerca continua e nella verifica costante delle soluzioni, in quanto - egli sostiene - «
i partiti vivono non di soluzioni già pronte, ma di problemi in continuo tormento di soluzione».
Osservava altresì come: «
Autonomia è per noi completo trionfo dello spirito della Sardegna [...], è fiducia nell'originalità del nostro operare, è conquista del nostro volere creativo». Il richiamo alla creatività poneva in luce la natura antidogmatica della concezione autonomista. Peraltro, come si vede, in tale elaborazione manca ancora il concetto di amministrazione regionale, ben presente invece nel pensiero di Angelo Corsi e di Egidio Pilia.
Il primo Congresso del Partito Sardo d'Azione aveva evidenziato le varie anime emerse nei precedenti congressi dei combattenti. Da una parte c'era Camillo Bellieni, di solida formazione filosofica e sensibile alle tematiche meridionaliste (grazie anche alla sua amicizia con Salvemini), le cui posizioni avevano notevole seguito tra i sardisti sassaresi e nuoresi. Dall'altra troviamo il gruppo "cagliaritano", portatore delle istanze del sindacalismo rivoluzionario e influenzato dalle suggestioni di D'Annunzio, che esprimeva le figure di Emilio Lussu, Lionello De Lisi, Egidio Pilia e Paolo Orano.
Nel primo congresso sardista veniva finalmente chiarita la differenza, davvero sostanziale, tra l'autonomia intesa come decentramento amministrativo e l'autonomia come diritto della Sardegna di legiferare per sé stessa. In tale assise si parlò chiaramente di "autogoverno del popolo sardo", con finanze separate da quelle statali. Per lo Stato si reclamava la trasformazione in Repubblica, da organizzarsi in federazione di regioni autonome. Su tale impostazione, e in particolare sul concetto di autonomia legislativa, si registra la convergenza delle diverse anime del sardismo.
Vi è poi un documento, invero poco studiato, che risale al 20 settembre 1921 e sancisce «
il Patto d'alleanza tra il Partito Sardo d'Azione e il Partito Molisano d'Azione», che contiene affermazioni altrettanto significative. I due partiti, infatti, si proclamano «
avversari del socialismo perché non possono tollerare ogni soffocazione della libertà individuale; [...] avversari del Partito Popolare perché difensori della libertà di coscienza; [...] avversari del liberalismo perché vuota formula di inerti rassegnati alle condizioni presenti e celanti sotto questa formula il più cieco conservatorismo; [...] avversari al nazionalismo perché incitamento a folli imprese guerresche; [...] avversari del repubblicanesimo perché stantìo bolscevismo borghese».
Come si vede, la lotta contro il vecchio stato liberale è condotta, a livello nazionale, unitamente alla lotta contro il socialismo (che è lotta contro il movimento operaio). Del resto, sono ben noti gli scontri avvenuti a Cagliari tra combattenti e socialisti. E, a conferma di un orientamento diffuso e profondo, le posizioni antisocialiste assumono forme ancora più esplicite ed esasperate in un articolo di Luigi Battista Puggioni, intitolato "I sardi e la rivoluzione", pubblicato su "La Voce" del 18 aprile 1920, nel quale si afferma che, nell'ipotesi in cui nell'Italia dovesse realizzarsi la rivoluzione socialista, la Sardegna non potrebbe che separarsi dal resto del Paese non esistendo in Sardegna le condizioni per il socialismo. Ciò - ad avviso di chi scrive - è il frutto della matrice contadina, sostanzialmente moderata, del Partito Sardo d'Azione.
A questo punto, occorre cercare di dare una giusta collocazione al fenomeno "sardismo", che in Sardegna occupa la scena quando a livello nazionale si manifesta il "fascismo". Nel primo dopoguerra infatti, in Sardegna non emerge il fascismo ma il movimento dei combattenti, che in larghissima misura si identifica col sardismo. Il fascismo diventa nell'Isola il fenomeno centrale solo dopo la Marcia su Roma, quando, nel 1923, si realizza la fusione tra fascisti e sardisti.
Occorre considerare che, agli inizi degli anni Venti, il nascente fascismo, ben consapevole del valore e del forte radicamento del movimento sardista, cercò in tutti i modi di attuare la fusione tra le due forze politiche. Nonostante una percentuale significativa dei quadri e dei militanti del Partito Sardo d'Azione diede testimonianza della propria opposizione al fascismo, la fusione riguardò buona parte dei quadri sardisti, alcuni dei quali, volendo la rinascita della Sardegna, aderirono al nuovo progetto politico, ricco di fermenti e animato da un'indubbia ansia di rinnovamento sociale, sperando di far accettare allo stesso alcune delle rivendicazioni fondamentali del Partito Sardo d'Azione.
Il "sardofascismo" racchiude un periodo storico della Sardegna contemporanea che identifica gli anni che vanno dal sesto congresso dell'Associazione dei Combattenti, svolto a Nuoro al 28 ottobre 1922, sino alla crisi della segreteria di Paolo Pili nel Partito Nazionale Fascista (13 novembre 1927). Tale periodo ha continuato ad avere riflessi, sul piano culturale, ancora per qualche anno (almeno fino al 1931), attraverso la pubblicazione della rivista "Mediterranea" diretta da Antonio Putzolu. L'asse dell'intervento economico di questo periodo è costituito - oltre che dalla "legge del miliardo" - dai progetti sull'agricoltura, attraverso opere irrigue e bonifiche, e dallo sbocco commerciale dei prodotti delle cooperative agricole e pastorali. In particolare, i produttori di latte e di formaggio si erano associati nella "Federazione delle latterie sociali della Sardegna".
La "fusione" consentì a diversi transfughi del P.S.d'Az. - i "sardofascisti" - di ottenere posizioni di primo piano nel Partito Nazionale Fascista sardo. È il caso di Paolo Pili (1891-1985), segretario federale di Cagliari dal 1923 al 1927, che promuoverà la nascita di latterie cooperative - da far confluire nella Federazione di cui si è appena detto - allo scopo di consentire ai pastori di liberarsi dalle imposizioni degli industriali caseari e di ottenere un prezzo del latte più vantaggioso (è questa una battaglia ancora oggi di viva attualità). Oltre Pili, la componente di matrice sardista espresse altre personalità di primo livello: ricordiamo Enrico Endrich, Vittorio Tredici, Antonio Putzolu, Vitale e Giovannino Cao di San Marco e Umberto Cao, il cui opuscolo Per l'"Autonomia" (che è del maggio 1918) aveva tanto contribuito al rilancio dell'idea autonomista. Essi formeranno, la classe dirigente del Ventennio.
Anche a Sassari si verifica un fenomeno di analoga portata. A Nuoro - elevata a capoluogo di Provincia nel 1927 proprio dal fascismo - la situazione era più complessa, in quanto il regime dovette misurarsi con lo zoccolo duro rappresentato da un gruppo di avvocati - tra cui spiccavano i sardisti Pietro Mastino, Giovanni Battista Melis e Luigi Oggiano, il repubblicano Gonario Pinna e il cattolico di formazione sturziana Salvatore Mannironi - che rimarranno sempre "non allineati".
Attraverso il Partito Sardo d'Azione trovava espressione popolare e sintesi organizzativa la plurisecolare aspirazione dei Sardi di affrancarsi da una condizione di dominio che li aveva impoveriti o comunque aveva determinato uno sviluppo della Sardegna assai minore rispetto ad altre parti del territorio nazionale, accentuandone l'isolamento e la marginalità. Tale denominatore comune, tale esigenza di riscatto e di rinascita, peraltro, si esprimeva in posizioni diverse.
Il blocco storico e sociale intorno al quale ruota il Partito Sardo e che costituisce la base su cui si sviluppa l'elaborazione di Bellieni è rappresentato dalla saldatura tra intellettuali, professionisti borghesi e pastori proprietari di bestiame o di terre (blocco che rispecchiava la composizione socio-economica della parte centro-settentrionale dell'Isola). Nella Sardegna Meridionale invece i sardisti avevano la loro base prevalente tra i contadini e i braccianti agricoli. La convergenza tra le diverse anime si ha nella dottrina economica del sardismo che si rifà all'analisi di Attilio Deffenu (cooperativismo, liberismo economico e antiprotezionismo), ma che, avuto riguardo alle scelte concrete, si connota per un forte pragmatismo. Tra le due correnti del primo sardismo (quella meridionalista e quella sindacalista-rivoluzionaria) si inserisce la nuova corrente dei delegati nuoresi, che fa capo agli avvocati Pietro Mastino e Luigi Oggiano.