Autori vari - "Il sardo-fascismo fra politica,
cultura, economia" (Cagliari 1993)
In Italia la grande guerra aveva accentuato i limiti e fatto esplodere le contraddizioni presenti nello Stato liberale. Alla sua conclusione si pose subito il problema del ruolo che gli operai e i contadini che rientravano dal fronte dovevano avere nella nuova società. In questo contesto, la classe dirigente dimostrò subito la sua incapacità sia di governare secondo i vecchi schemi giolittiani che di elaborarne altri in grado di dare risposte adeguate alle criticità esistenti. La guerra aveva portato al pettine i nodi presenti nella società italiana e la classe dirigente non riusciva a districarli. Ma a sciogliere questi nodi non era capace nemmeno la classe operaia.
La situazione non si presentava in modo diverso in Sardegna, dove il vecchio Cocco Ortu non era più in grado di offrire una soluzione ai conflitti sociali generati dalla massa di contadini e pastori che rientrava dalla trincea assetata di terra e di giustizia; e dove neppure Angelo Corsi, il nuovo leader socialista, riusciva a convogliare le richieste di operai e lavoratori delle campagne in una piattaforma di lotta aggregante. Dallo scontro sociale e politico in atto doveva emergere una classe dirigente nuova la cui ossatura era data da intellettuali e proprietari terrieri che avevano combattuto in trincea, soprattutto nella Brigata Sassari.
Anche in Sardegna, come nel resto d'Italia, si sviluppò il movimento dei reduci e combattenti, ma con una particolarità, in quanto lo stesso ebbe la forza di promuovere un'azione autonoma e consapevole finalizzata al riscatto economico e sociale dell'Isola. Il movimento diede ben presto origine a un gruppo dirigente nuovo (di cui facevano parte Bellieni, Lussu, Giacobbe, Mastino, Oggiano, Pilia, Puggioni, De Lisi, Senes, Mameli, Pili e Putzolu) che elaborò e propose sul terreno concreto dell'iniziativa politica una soluzione al problema di ristabilire un equilibrio sociale ed economico in Sardegna. Questo vasto movimento, di comune radice "combattentistica" ma assai variegato al suo interno, auspica un nuovo assetto dello Stato italiano, che deve trasformarsi in senso federale o anche solo regionalista e si pone in aperta lotta contro le idee del socialismo e la prassi del movimento operaio.
Il movimento dei combattenti nasce in Sardegna e precisamente a Sassari il 21 novembre 1918, su iniziativa di Camillo Bellieni e Arnaldo Satta-Branca: all'inizio è un'associazione circoscritta ai soli reduci e mutilati dalla trincea che, tra l'altro, si proponeva scopi puramente assistenziali per la categoria. Il 16 marzo 1919, a opera di Bellieni, inizia le pubblicazioni "La Voce" e lo stesso diventa il punto di riferimento dell'intero schieramento formato da ex combattenti, mutilati e invalidi di guerra. È lui il teorico dell'autonomia regionale, sia nell'organizzazione combattentistica che nel Partito Sardo d'Azione prefascista. Ma ben presto - come avremo modo di vedere - sarà Emilio Lussu a diventare il vero arbitro delle scelte di fondo del nuovo partito.
Va anche detto che quando, il 25 maggio 1919, Bellieni svolgeva a Nuoro la sua appassionata relazione al primo Congresso Regionale della Federazione Sarda dell'Associazione Nazionale Combattenti, il termine "federalismo" non era ancora presente nelle enunciazioni programmatiche del movimento. Vi era invece la rivendicazione di autonomia, sia pure in termini assai vaghi e riduttivi. Inoltre, grazie al movimento dei combattenti e reduci della prima guerra mondiale, la questione del rapporto della Sardegna con lo Stato italiano, per la prima volta, entrava a far parte della coscienza popolare. Anche nel secondo Congresso Regionale dei Combattenti (svolto a Macomer il 14 settembre 1919) il tema del "federalismo" non veniva neppure sfiorato, mentre veniva meglio precisato e riferito all'intera Regione il concetto di autonomia.
Dalle consultazioni politiche del 16 novembre 1919, nella lista dei combattenti (contrassegnata col simbolo dell'elmetto) risultarono eletti l'Avvocato Pietro Mastino, uomo di vaste clientele e principe del foro barbaricino, il Professor Mauro Angioni, docente di diritto penale di provata fede monarchica, e il Professor Paolo Orano, ex socialista, massone, direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Parigi e collaboratore del giornale "Il Popolo d'Italia" di Mussolini: la sua candidatura era stata voluta dal gruppo del "Popolo Sardo" che ruotava intorno all'Avvocato Egidio Pilia. Va detto che nessuno dei tre eletti era ex combattente, come pure nessuno, per tradizioni familiari e formazione culturale, poteva considerarsi espressione del movimento dei contadini e dei pastori sardi.
A distanza di un secolo, permane l'esigenza di approfondire il fenomeno del combattentismo. Al riguardo, va detto che il movimento fiumano e il movimento dei combattenti sardi sono due esperienze molto vicine dal punto di vista ideologico. Nell'ottobre del 1920 Alceste De Ambris, capo di gabinetto nel governo della città di Fiume, inviò a Emilio Lussu una lettera - che venne pubblicata il 12 dicembre dello stesso anno sulla rivista "Il Solco" - con la quale veniva posta in evidenza la stretta affinità tra la "Carta del Carnaro" (vale a dire la nuova costituzione della città indipendente di Fiume) del settembre 1920 e il programma, di matrice sindacalista rivoluzionaria, firmato da Lussu e presentato l'8-9 agosto 1920 da Lionello De Lisi al terzo Congresso dei combattenti sardi svolto a Macomer. In particolare De Ambris rilevava con piacere come nei due documenti i punti fondamentali fossero trattati quasi allo stesso modo.
Secondo De Ambris, la "Carta del Carnaro" esprimeva le stesse esigenze presenti nel programma di Macomer al punto che affermò: «
Se avessimo conferito prima fra noi difficilmente avremmo potuto arrivare a una concordanza più perfetta. La concezione dello Stato e del divenire sociale affermata nella Costituzione (vale a dire nel "Programma di Macomer", n.d.a.)
è la stessa concezione nostra». È da tener presente che il "Programma di Macomer" esprimeva - inter alia - il seguente concetto: «
questo programma trae fondamento dalla necessità oggi sentita in Italia di creare un partito rivoluzionario che, pur mirando a risolvere soprattutto i grandi problemi sociali e a sollevare le condizioni del proletariato, mantenga alte le idealità di patria, superiori a ogni interesse di classe e di categoria».
A conferma della comune matrice "eversiva" che avevano molti dei movimenti di quegli anni, lo storico Girolamo Sotgiu ha osservato come fosse significativo il fatto che D'Annunzio avesse definito il "Programma di Macomer" (approvato dal Movimento dei Combattenti Sardi l'8 agosto 1920) un monumento di sapienza sociale e che la Reggenza del Carnaro inviò a Lussu la lettera di cui si è detto, a firma del capo di gabinetto De Ambris, nella quale si affermava che la Reggenza ne approvava «
tutte le idee generali e i postulati pratici [...] perché rispondono perfettamente al concetto nostro sull'azione da svolgere nel campo sociale e politico per la salvezza dell'Italia e per l'instaurazione di un ordine nuovo rispondente alla necessità dell'ora storica».
Nel complesso il "Programma di Macomer", elaborato da Lionello De Lisi, esprime la filosofia del combattentismo sardo (che poi ritroviamo nel Partito Sardo d'Azione) e conferma l'incertezza ideologica del movimento pur risultando evidente l'influsso delle istanze sindacaliste rivoluzionarie. Non vi è dubbio che l'esperienza delle trincee e la rivendicazione dei diritti della Sardegna siano legate da un filo diretto che costituisce la colonna portante, prima del Movimento dei Combattenti e poi del Partito Sardo. Erano soprattutto gli "intrepidi sardi" che avevano combattuto nella Brigata Sassari ad animare il dibattito che ben presto (nel 1921) avrebbe dato vita a una nuova formazione politica, il Partito Sardo d'Azione, in grado di indicare la strada per costruire una diversa organizzazione della vita economica, sociale e politica in chiave autonomista.
Il terzo Congresso Regionale dei combattenti era destinato a segnare l'apogeo e, al tempo stesso, l'inizio della fase discendente del Movimento, che, comunque, nelle elezioni del 1921 ottenne un risultato lusinghiero. Da tale congresso scaturirà il "Programma di Macomer", che costituì il momento di riflessione più matura sull'istituto autonomistico. E fu anche la sede in cui, per la prima volta, si parlò di "federalismo" e più precisamente di «
Sardegna assolutamente autonoma nello Stato repubblicano a federazione amministrativa». Ormai si parlava di autonomia regionale con piena potestà anche legislativa. E, soprattutto, l'autonomismo diventava un progetto politico moderno e dava vita a un movimento di massa.
Nel quarto Congresso dei combattenti, aperto a Oristano il 16 aprile 1921, Bellieni propose quattro punti programmatici da approvare senza riserve: sovranità popolare, autonomia amministrativa, libertà di commercio (o autonomia doganale) e questione sociale. I documenti, considerati in armonia col "Programma di Macomer", ottennero il voto favorevole.