EXCALIBUR 84 - gennaio 2015
in questo numero

"Soumission"? Futuro

Ancora morti in nome dei precetti del libro sacro dell'islam

di Angelo Marongiu
Sopra: la copertrina di Charlie Hebdo pretesto della strage e l'ex direttore Stéphane Charbonnier, ucciso nell'attentato, che disse "preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio"
Sotto: uno scorcio della manifestazione di Parigi
Questo articolo era stato abbozzato da un po' di tempo, da quando erano uscite le prime indiscrezioni sul nuovo libro di Michel Houellebecq, "Soumission", anticipazioni e alcune copie pirata che forse la casa editrice Flammarion aveva disseminato ad arte. Aveva anche un altro titolo, "La Francia e la sua capacità di interrogarsi sul futuro".
Le vicende dello scorso 7 gennaio hanno calato una tetra cortina di barbarie - ancora una volta - spazzando via la vita di uomini la cui unica colpa era quella di essere uomini liberi.
Forse un po' fuori dalle righe, forse eccessivi, ma comunque convinti che l'opposizione alla satira non fosse la morte.
Sulla vicenda si sono spese parole e commenti, saggi e stupidi, analizzando fatti e formulando ipotesi: non è il caso di aggiungerne altri, modesti e inutili.
Anche riprendere le fila di un ragionamento personale appena abbozzato diventa difficile, perché gli avvenimenti occorsi sono tanto drammatici che un qualunque discorso corre il rischio di sembrare retorico.
Perché quel titolo sulla Francia?
Esso nasceva dalla considerazione che i nostri vicini francesi - anche se magari antipatici con quell'aria di sufficienza che talvolta hanno - ancora una volta dimostrano di avere una classe intellettuale ben diversa dalla nostra. Non tutti, beninteso: anche loro hanno esponenti che vivono di caviale e retorica.
Ormai tutti conoscono il contenuto dell'ultimo libro di Houellebecq: lo scrittore ipotizza un futuro - il 2022 non troppo lontano - nel quale Mohammed Ben Abbes, leader di un partito islamico all'apparenza moderato, vince le elezioni presidenziali e diventa Presidente della Repubblica, con il centrosinistra e il centrodestra che lo votano per sbarrare la strada al candidato dell'estrema destra, Marine Le Pen.
Abbastanza rapidamente in Francia si impone la cosiddetta "sharia" in maniera inizialmente morbida e si realizza un'islamizzazione strisciante: si ammette la poligamia, si impone il velo alle donne, il venerdì diviene il giorno di riposo. Il tutto è raccontato da Francois un professore della Sorbona che si converte all'islam più per opportunismo che per convinzione.
Il libro, criticato ancor prima di uscire, è stato forse frainteso.
Perché "Soumission" non ha nulla a che vedere con l'islamismo: il vero centro del romanzo è l'Occidente. Lo scrittore esamina il fallimento dell'illuminismo e dei valori che lo caratterizzano. Egli è convinto che ormai il futuro appartenga alla religione, perché la nostra civiltà ha esaurito le altre possibili risposte agli interrogativi della vita. Ed egli sostiene che l'islam è una forza vitale, anche se oppressiva. Esso è in grado di dare soprattutto valori e certezze, che la nostra cultura progressista e liberal non è più in grado di fornire, infarcita com'è di relativismo, irenismo, appiattimento di ogni differenza, dopo aver eliminato ogni legame con le proprie radici anche religiose. E di fronte a un "laicismo" quasi obbligatorio la religione si impone.
Ovviamente ci sono stati commenti sulle anticipazioni, ma la cosa assolutamente ridicola è che nessuno si è avventurato nel contestare il fatto che il futuro ipotizzato da Houellebecq sia affatto fantasioso o senza basi possibili di realizzazione. Hanno preferito sostenere la tesi che quel futuro è solo frutto della sete di polemica dello scrittore francese. E quindi lo accusano - come avevano già fatto in passato - di "islamofobia" e di fare il gioco dell'estrema destra e simili banalità. Come sempre, non un'accusa all'idea ma all'uomo.
Ma Houellebecq non è il primo intellettuale francese che esprime il suo sgomento sul futuro della Francia.
Nel 1979 (ben 35 anni fa) lo scrittore Emile Cioran, noto intellettuale della destra europea, scriveva: «I Francesi non si sveglieranno fino a quando la cattedrale di Notre Dame non sarà diventata una moschea». I suoi scritti erano pervasi di pessimismo: rifacendosi a Spengler e al suo "Tramonto dell'Occidente" sosteneva che «una volta che un popolo ha completato la missione storica che doveva incarnare, non ha più alcuna ragione per preservare la propria differenza. Dopo aver governato entrambi gli emisferi, gli occidentali sono pronti a diventare uno zimbello, spettri condannati a una condizione di emarginati, gli ultimi bianchi».
Claude Lévi-Strauss, antropologo e filosofo, già alla fine degli anni '80 esponeva la sua visione pessimistica dell'Occidente, sostenendo che la cultura del suo mondo era ormai sulla difensiva di fronte alle minacce esterne, la più forte delle quali era l'esplosione islamica. Fu uno dei pochi a difendere Houellebecq quando fu messo sotto processo su richiesta dell'islam "moderato" francese per alcune sue osservazioni sull'islam.
Ma fu una voce solitaria in una nazione che si stava rassegnando a non essere più sé stessa. Così come, ad esempio, la redazione di Charlie Hebdo - anarchica, gauchista e irresponsabile, come amava definirsi - fu l'unica testata giornalistica francese a difendere Oriana Fallaci quando fu processata in Francia per il contenuto del suo "La rabbia e l'orgoglio".
Richard Millet, editor di Gallimard, nel 2012 affermava che presto il canto del muezzin avrebbe sancito la morte delle cristianità. Egli non vedeva confini tra moderazione e terrore, ma solo diversi livelli di intensità sulla via unica verso il califfato.
Altri accademici, come Jean d'Ormesson, sostengono che l'integrazione di milioni di musulmani è un miraggio, poiché l'islam è una religione "militante". Erich Zammour con "Le suicide francais" e Alain Finkielkraut con "L'identitè malheureuse" convergono verso la medesima conclusione su un rapporto impossibile tra laicità e islam.
Ecco, sono queste le voci, poche ma coraggiose, di intellettuali francesi, voci sperdute tra le altre ammantate di conformismo: voci che hanno comunque cercato di far aprire gli occhi a una società che per comodità e pavidità vuole tenerli ostinatamente chiusi.
Anche altri ci hanno provato, da Bernard Lewis a Robert Harris (splendido il suo libro "Il suicidio della ragione"), ma sono anche queste voci inascoltate. Così come quella di Bat Ye'or che in "Eurabia" dal sottotitolo emblematico ("Come l'Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana e antisemita") immagina uno scenario futuro nel quale in un'Europa ormai completamente islamizzata Parigi diventa la nuova capitale.
Così come fu inascoltata la voce di Oriana Fallaci, per la quale fu acceso un rogo simbolico nel quale bruciare i suoi libri e il fuoco fu appiccato da tutto il mondo intellettuale italiano.
«Je suis Charlie», titolano giornali e mostrano orgogliosi le loro magliette i nostri Vauro, che fino a ieri sputavano su coloro che osavano uscire dal mediocre conformismo del "politicamente corretto" che obbligava tutti a essere ossequenti verso il mondo islamico di qualunque natura esso fosse. Hamas era l'incarnazione della democrazia. Migliaia di Francesi mostravano orgogliosi i cartelli con quel motto e matite intere e spezzate a simboleggiare l'irrinunciabilità alla libertà di espressione del proprio pensiero.
Anche i giornali di quasi tutto il mondo inneggiano alla sacralità della libertà di stampa e satira, simboleggiata da Charlie Hebdo.
Eppure il "Financial Times" scrive nella sua prima pagina (poi vigliaccamente ritirata) che i redattori di quella rivista avevano stupidamente superato il limite. Il "The Telegraph" pubblica la foto di una ragazza che legge "la vita di Maometto" corredata da una vignetta tratta da Charlie Hebdo e la oscura. In Italia "La Repubblica" pubblica alcune vignette sempre tratte da Charlie Hebdo sostenendo che "basta censure sull'islam". Le vignette irridono gli Inglesi, mostrano Obama drogato, Ratzinger che abbraccia una guardia svizzera: e le vignette su Maometto che avevano destato scandalo? Nemmeno una, non si sa mai cosa può succedere.
Eppure, "Je suis Charlie".
Ecco la tartufesca realtà occidentale, vigliacca e miserabile.
Matteo Salvini, che sostiene che - a differenza di tutte le altre religioni - solo la religione islamica crea problemi, viene sbeffeggiato e naturalmente accusato di islamofobia e messo da parte.
Poche le voci coraggiose.
Una è quella (paradossale) del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi che, di fronte alle massime autorità sunnite del mondo, all'Università al Azhar del Cairo, la stessa nella quale Obama aveva teso la mano al mondo islamico, ha chiesto l'avvio di una "rivoluzione religiosa" nell'islam, per sradicare il fanatismo religioso, perché è assurdo che la umma islamica sia una sorgente di ansia, paura, pericolo e uccisioni per il resto del mondo. Parole coraggiose che nessuno statista occidentale, americano o europeo, ha mai avuto il coraggio di dire.
Il presidente francese Hollande, nel suo discorso alla nazione, al termine delle tre giornate più terribili per la Francia, ha avuto il coraggio di dire «Gli attacchi di Parigi non hanno nulla a che fare con l'islam»: una di quelle colossali stupidaggini dalle conseguenze devastanti, una specie di genuflessione anticipata su quello che sarà il futuro del mondo occidentale. Un presidente che inneggia all'unità del mondo intero contro la violenza e la prevaricazione e poi "libertè", "fraternité", ma non "egalitè" e quindi per mero e meschino calcolo elettorale chiama tutti i partiti politici francesi ma non quello di Marine Le Pen. Milioni di cittadini francesi messi candidamente da parte, considerati cittadini inferiori agli altri.
E intanto noi continuiamo a baloccarci nella solita dietrologia, nelle manine occidentali presenti dietro ogni strage (così dice Beppe Grillo, in attesa che quelle manine diventino quelle del Mossad, come dopo l'11 settembre), nelle colpe dei campi profughi palestinesi, nelle solite baggianate che le vere vittime sono gli islamici "moderati", tanto "moderati" che stanno sempre in silenzio.
Hamza Roberto Piccardo, ex militante di Autonomia Operaia convertito all'islamismo oltre vent'anni fa e ora responsabile della comunicazione dell'Ucoii (l'associazione che raggruppa il mondo islamico italiano) ha detto che non è possibile "amare Dio con moderazione" e questo è uno schiaffo a chi sostiene che esiste un islam "moderato".
Noi facciamo manifestazioni, sit-in, veglie di digiuno e preghiera, pontifichiamo sul dialogo interreligioso, convinti che siano strumenti per fermare la violenza. Illusioni.
Abbiamo impedito che il preveggente Papa del discorso di Ratisbona parlasse in una Università italiana e nessuno di quelli che ora gridano «Je suis Charlie» è insorto contro quell'abominio.
E poi parliamo di libertà?
Noi siamo già morti.
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