David Cameron
La Gran Bretagna di David Cameron si prepara ad affrontare una grave recessione, una delle peggiori della sua storia.
Si sapeva da tempo che, al di là dei proclami ufficiali, l'economia non tirava come una volta. Già nel maggio 2010, dopo le elezioni che avevano visto la vittoria di Cameron e la strana alleanza tra conservatori e liberaldemocratici, era apparso evidente che il risanamento economico e finanziario non sarebbe stato un facile traguardo. Nei decenni precedenti, i governi avevano tentato a lungo, con qualche successo, di trovare un delicato equilibrio tra l'esigenza di salvaguardare l'economia degli antichi "Dominions" coloniali e gli obblighi derivanti dall'appartenenza alla Cee.
Il ruolo importantissimo svolto dall'immenso impero coloniale, creato grazie alla sua marina militare e mercantile, all'esercito e alla sterlina, si è mantenuto a lungo, anche dopo l'adesione all'Unione europea. Per l'economia britannica, l'ex impero rappresentava un enorme serbatoio dal quale attingere materie prime a costi molti bassi, sui quali riversava i suoi prodotti industriali in un regime di assoluta mancanza di concorrenza.
Poi lo scenario economico è cambiato, anche in conseguenza della crisi mondiale. Gli altri Paesi occidentali sono riusciti con fatica a riconvertire le loro economie, mentre le cose si presentavano più difficili per gli Inglesi, proprio a causa del loro tradizionale sistema di scambi. L'inevitabile declino dei bacini carboniferi, cui era legato il sistema industriale, è stato quasi del tutto sostituito dalle ingenti riserve petrolifere offshore, che hanno reso il Paese largamente autosufficiente in materia energetica. Questo, alla lunga, non è bastato.
Lo Stato è intervenuto pesantemente, riducendo, negli anni Ottanta, del 45% le industrie a partecipazione pubblica e incoraggiando la riconversione industriale con agevolazioni di varia natura. Nemmeno la creazione di numerose aree di sviluppo che godevano del sostegno pubblico ("Enterprises Zones") è valso alla ripresa. Erano state create anche sei zone franche in importanti porti e aeroporti, nelle quali venivano trasformate le merci provenienti dall'esterno della Comunità Europea, dalle vecchie colonie, insomma, al fine di avere un ulteriore vantaggio grazie a una surrettizia extraterritorialità doganale.
Ciò malgrado, le industrie pesanti quali la siderurgia, le industrie meccaniche tradizionali, la metallurgia dell'alluminio, l'industria tessile e la cantieristica, vanto secolare britannico, hanno subìto un'irreversibile caduta produttiva e il fenomeno della disoccupazione nelle aree depresse si è acuito di anno in anno. La difesa britannica della Sterlina, infine, che sembrava legata a un residuo di orgoglio "imperiale", si è rivelata per quello che era. Non era certo il solo rifiuto dell'Euro. Come l'Italia degli anni Sessanta-Novanta, la leva della svalutazione monetaria è servita per rendere più competitive le esportazioni britanniche, ma ormai i mercati sono invasi da merci orientali a bassissimo costo e i prodotti manifatturieri inglesi non reggono la concorrenza.
Oggi il Paese vive preoccupanti fenomeni di disgregazione sociale e di degrado urbano. L'ipertrofico intervento statale nell'economia per far fronte alla crisi non ha potuto modificare la curva discendente. Persino gli interventi di tutela delle fasce più deboli non sembrano più efficaci e capaci di salvare la situazione: il "Welfare State", che pur in Gran Bretagna - insieme all'Italia degli Anni Venti e Trenta - aveva conosciuto le prime realizzazioni, appare oggi l'ombra di sé stesso.
Il Nord del Paese appare più povero, quasi senza speranza. Secondo la testimonianza di diversi viaggiatori italiani, il Galles, la Scozia e l'Irlanda del Nord sembrano persino più arretrati di certe regioni meridionali italiane.
Specchio di tutto questo è la notizia di questi giorni: il Pil 2010 si è ridotto dello 0,5%, mentre il rapporto deficit/Pil è al 10,4%. Il deficit di bilancio potrebbe toccare i 150 miliardi di sterline nei prossimi tre anni, ben oltre le previsioni fatte a novembre 2010 dal governo di Cameron.
Il fatto è che tutto questo sembra solo l'inizio di una crisi ben peggiore. L'aumento generalizzato dell'Iva al 20% sui prodotti di più largo consumo lascia immaginare una pesante contrazione dei consumi. E lascia anche intravedere dinamiche di disagio sociale difficili da gestire.