Il rapporto annuale di Freedom House
I fatti di Rosarno in Calabria, un
mix di immigrazione clandestina, sfruttamento, violenze da parte degli immigrati e da parte della popolazione locale, sono state al centro della nostra attenzione per diversi giorni.
Fatti riprovevoli che hanno indignato il Ministro degli esteri egiziano, Aboul Gheit, che pure ha una buona conoscenza dell'Italia essendo stato ambasciatore a Roma e a San Marino. Ci ha accusato di violenza, razzismo e discriminazione nei confronti degli immigrati, testimonianza delle innumerevoli angherie subite dalle minoranze in Italia, quella araba e musulmana in particolare.
Protesta che viene dall'Egitto, paese nel quale nel 2008 sono state uccise decine di persone che cercavano di arrivare in Israele, quasi altrettante nel 2009 e che solo alcuni giorni prima aveva registrato con indifferenza l'uccisione di 8 Egiziani che avevano il solo torto di professare un'altra religione, quella copta, esigua minoranza in un paese totalmente musulmano. Se poi - oltre ai morti - si analizzano le violenze perpetrate contro le minoranze presenti nel paese, allora le persone coinvolte sono centinaia.
Questi due paesi - Italia ed Egitto - collegati in modo così anomalo, sono solo una piccola porzione del mondo che ogni anno è minuziosamente analizzato da Freedom House per osservare quanto la fiamma della tolleranza e della libertà continua ad ardere.
Freedom House è un'organizzazione americana fondata da Eleanore Roosevelt, che si occupa da decenni di esaminare ciò che avviene in tutti i paesi del mondo sul fronte del rispetto e della tutela dei diritti umani.
Il rapporto "Freedom in the world 2010" presenta in modo inquietante l'aumento delle restrizioni della libertà di associazione, delle repressioni esercitate sugli attivisti civili impegnati a promuovere le riforme politiche e il rispetto globale dei diritti umani nei diversi paesi.
È il Medio Oriente, Iran compreso, che mantiene il primato di regione più repressiva del mondo; l'Africa è invece quella in cui la diminuzione complessiva delle libertà è risultata più significativa. Pochi i miglioramenti rispetto al 2008 e quasi tutti concentrati in Asia.
Ma il 2009 è stato un anno in cui si è assistito a un preoccupante sfaldamento delle libertà fondamentali in molti paesi: è sufficiente ricordare i fatti dell'Iran, gli arresti dei dissidenti in Cina, gli attacchi ai giornalisti e alla stampa in genere avvenuti in Russia, gli avvenimenti delle Filippine o della Birmania.
La classificazione dei paesi in "liberi", "parzialmente liberi" e "non liberi" colora rispettivamente in verde, giallo e viola un planisfero in cui i continenti hanno un unico assurdo uniforme colore. E se l'Europa e le Americhe sono colorate quasi esclusivamente di verde e di giallo, con analoghe macchie in Africa (Mali, Senegal, Botswana, Namibia, Sud Africa), Asia (India, Indonesia) e tutto il continente australiano, il resto del mondo è in maniera desolante e uniforme colorato di viola, il colore dell'assenza di libertà.
I paesi "liberi" sono 89 con una popolazione di oltre 3 miliardi di persone (il 46% della popolazione mondiale), quelli "parzialmente liberi" sono 58 con circa 1,4 miliardi di persone (il 20% della popolazione del mondo), quelli "non liberi" sono 47 e raccolgono 2,4 miliardi di persone: il 34% dell'intera popolazione del pianeta senza diritti e senza libertà.
Sono numeri sconfortanti: in dieci anni gli stati che hanno avuto l'onore di essere definiti liberi sono passati da 85 a 89.
Anche se corro il rischio di annoiarvi è necessario esporre qualche altro numero. I paesi "non liberi" sono: nelle Americhe solo 1 (Cuba) su 35 stati, 16 su 39 nell'area Asia e Pacifico, 8 su 29 nell'Europa Centrale e dell'Est, 14 su 18 nel Medio Oriente e Africa del Nord (1 solo paese libero, Israele), 16 paesi su 47 nell'Africa Sub-sahariana e nessun paese non libero su 25 nell'Europa occidentale. Ciò che più conta è che nel 2009 i paesi che hanno migliorato il loro punteggio rispetto al 2008 sono stati 16, e ben 40 hanno peggiorato il loro "
rating".
Eppure il 2009 era stato salutato come l'anno della svolta, del cambiamento epocale, aperto con i fuochi d'artificio dell'insediamento di Barak Obama alla Casa Bianca, scandito dallo storico discorso all'Università de Il Cairo e della "nuova politica" della mano tesa nei confronti del mondo islamico, suggellato dall'immancabile Premio Nobel per la Pace dato - sulla fiducia, forse - al Presidente americano.
«
Una erosione globale della libertà», così tristemente recita il rapporto annuale di Freedom House. E non è solo la spietata repressione in Iran contro i gruppi che chiedevano maggior libertà a destare attenzione. Sono coinvolti, in questo declino, paesi come la "moderata" Giordania, il Bahrein e lo Yemen. L'Egitto (
sic) ha visto una preoccupante impennata delle repressioni (alla faccia dell'Italia ha il
rating peggiore in quanto a diritti politica e il penultimo voto per le libertà civili) e questo in compagnia di paesi come il Marocco (che comunque resta "parzialmente libero") e i Territori Palestinesi definiti "non liberi".
Il "Cairo Institute for Human Rights" - un altro istituto di ricerca indipendente - sostiene che la situazione è notevolmente peggiorata dal suo ultimo rapporto del 2006 anche perché l'amministrazione Obama ha deciso di ridurre i fondi a sostegno delle organizzazioni che all'interno dei diversi paesi si battono per la difesa dei diritti civili e della libertà politica.
Alcune considerazioni finali.
Il rapporto pone in evidenza l'aumento delle tensioni culturali e sociali in Europa, collegate al grande flusso di immigranti provenienti da paesi musulmani. Migrazioni che «
sono una sfida per la tradizione europea fatta di tolleranza e tutela delle libertà civili». È su questa frase, che riguarda non soltanto l'Italia, che dovrebbero meditare i fautori dell'accoglienza a ogni costo, senza alcun limite o controllo, come se le frontiere e la stessa concezione di Stato fossero un'espressione virtuale.
Altra considerazione brevissima: nessun paese di religione islamica è mai stato classificato "libero", e questo avrà pure un suo significato.
Infine: l'istituto de il Cairo analizza dodici paesi arabi e riporta che un solo paese - nel mare triste della repressione - può essere definito in miglioramento costante: l'Iraq - persino sotto la continua minaccia dei gruppi terroristici - può essere preso a modello di democrazia in evoluzione. Affermazione, questa, che dovrebbe dar da pensare a tutti coloro che hanno la memoria corta e che qualche anno fa hanno inondato le città di bandiere arcobaleno, ormai sbiadite come le loro coscienze.