EXCALIBUR 58 - febbraio 2010
in questo numero

Silvio il Levantino

Una visita diplomatica fuori dai soliti schemi

di Angelo Abis
Silvio Berlusconi incontra il Presidente di Israele Shimon Peres e Berlusconi al Parlamento israeliano
La visita di Berlusconi in Israele ai primi di febbraio ha lasciato indifferente non solo l'opinione pubblica, ma anche i media e i partiti sia di maggioranza che di opposizione, salvo piccole frange deliranti del radicalismo di destra e di sinistra, per cui Silvio è la perfetta incarnazione del "servo dei sionisti e degli Americani". Ed è un peccato!
Perché a estraniarsi per un attimo dalle vicende interne nostre, tutte a base di gossip, di complotti, di lotte intestine per le prossime elezioni regionali, e a considerare con più serietà e attenzione la politica estera italiana nello scacchiere internazionale, si constaterebbe che questa tanto disprezzata Italia, solo da noi, con demenziale masochismo, viene collocata sempre nei gradini più bassi di qualunque classifica europea o internazionale.
Ma torniamo alla visita di Berlusconi. Se vogliamo capirci qualcosa, occorre porsi una serie di interrogativi: da chi è partita la proposta del viaggio? Perché Berlusconi oltre che in Israele si è recato anche in Palestina? Perché ha sferrato un attacco inusitato all'Iran, facendosi tra l'altro forte della sua amicizia con la Russia? Perché, a parte tutte le sviolinate verbali sul sionismo, la democrazia, la civiltà giudaico-cristiana, non ha concesso a Israele più di quanto già non avesse, anzi le ha chiesto di non procedere più nell'insediamento di coloni nei territori occupati e di restituire alla Siria (con cui Israele è formalmente ancora in guerra) le alture del Golan? È evidente che una risposta, anche superficiale, a tutte queste domande ci porta a un'unica valutazione: non si è trattato di un normale, anche se "caloroso", incontro tra due nazioni che si sono sempre scambiate favori.
A dir la verità incominciò il cattolicissimo (ma anche un po' antisemita) De Gasperi nel 1946, quando, in una Italia ancora occupata dagli Alleati, servendosi dei gruppi fascisti clandestini, fornì le organizzazioni terroristiche ebraiche di armi e esplosivi, mentre altre organizzazioni sioniste trasportavano dall'Italia in Palestina i profughi ebrei con imbarcazioni condotte dagli ex della Decima Mas. Ma neppure i cosiddetti governi filo-arabi di centrosinistra si comportarono in maniera diversa: durante la guerra del Kippur del 1973, la nostra marina rifornì di munizioni quella Israeliana che ne era rimasta senza. Mentre il nostro servizio segreto passava agli Israeliani la mappa della rete radar della Siria.
Detto questo è chiaro che qualcuno ha pensato che il tradizionale ruolo degli Usa di tentare di risolvere l'annosa questione medio orientale fosse definitivamente fallito. Primo, perché gli stessi contendenti non mostrano eccessiva fiducia nella capacità e nell'imparzialità della superpotenza. Poi, gli Stati Uniti, in quest'ultimo periodo, per ragioni non proprio chiare, stanno portando avanti una politica di "contenimento" della Cina, affiancata da una politica a dir poco equivoca nei confronti dell'Iran, soprattutto per ciò che concerne un loro intervento militare qualora l'Iran si dotasse di un apparato nucleare.
Per cui, poi, non è apparsa tanto peregrina l'idea che il ruolo di mediatore potesse essere assunto dall'Italia. Idea che ragionevolmente può essere stata abbracciata non solo dagli Arabi e dagli Israeliani, ma anche dagli stessi Americani,felici di lasciarci il ruolo di mastino anti-Iran.
Tutti questi fattori devono aver indotto uno o più soggetti a chiedere a Berlusconi un intervento "pesante" nella zona medio-orientale. Il Cavaliere deve aver fatto un rapido esame dei costi-benefici che l'operazione poteva comportare non solo per la sua autostima di grande statista, ma anche per l'Italia. Quanto ai costi, è evidente che una nostra autorevole e massiccia presenza in medio oriente rappresenta uno schiaffo sonoro a quei paesi europei (Inghilterra, Francia e Germania) che in tutti i modi avevano impedito l'ingresso dell'Italia nel cosiddetto "comitato dei cinque" che a tutt'oggi tratta (con scarsi risultati) con l'Iran per indurlo a rinunciare ai suoi obbiettivi in campo nucleare. Non parliamo poi del problema di dover affrontare a muso duro l'Iran, non tanto per le sue pretese nucleari, quanto perché è il manovratore diretto di Hamas, che è il vero e grande ostacolo alla pacificazione tra Arabi e Israeliani. I benefici sono evidenti: si tratta della promozione dell'Italia al ruolo di grande e autorevole potenza, che, seppure alleata degli Usa, è in grado di operare autonomamente in aree nevralgiche del globo senza dare adito a sospette mire imperialiste, né di giocare in conto terzi.
Dopo di che, il Cavaliere si è mosso con molta discrezione e intelligenza. Innanzitutto ha cercato e ottenuto l'avallo dell'opposizione (pagato con il caloroso appoggio a D'Alema, con la proposta per l'elezione a commissario della Cee). Poi deve essere riuscito a convincere Russia e Siria della bontà e dell'utilità dell'operazione.
Intendiamoci, la cosa è tutt'altro che fatta! C'è da mettere in conto la malcelata ostilità dell'asse franco-tedesco e della Gran Bretagna, che non solo non hanno gradito il rapporto preferenziale instaurato con la Libia, ma che, a ogni occasione, fanno di tutto per stroncare sul nascere qualunque tentativo dell'Italia teso ad acquistare maggior peso nell'ambito della Comunità Europea. Basta osservare con quale freddezza è stata accolta l'idea di Berlusconi di far aderire Israele alla Cee. Non parliamo poi del gioco al massacro fra gruppi religiosi, fazioni e partiti non solo nel mondo arabo nel suo complesso, ma anche in ogni singolo stato. Ma, tuttavia, pensiamo che queste difficoltà, lungi dallo scoraggiarlo, inebrino il Cavaliere molto più delle meschine e defatiganti lotte nazionali. Ed è in questi frangenti che Berlusconi dà il meglio di se stesso: quando mette sullo stesso piano le vittime civili palestinesi e gli Ebrei trucidati ad Auschwitz, manifesta un sentito atto d'amore per entrambi, ma al contempo fa loro capire che l'odio reciproco non porta da nessuna parte, ma ha come risultato inevitabile il reciproco annientamento.
Sembrerebbe una cosa ovvia! Eppure nessuno in passato aveva azzardato un paragone del genere che pure avrebbe posto in una luce diversa nemici inconciliabili.
Questo, in fondo, fa di un politico anche uno statista. E per questo motivo abbiamo fondate speranze che Berlusconi raggiunga i suoi obbiettivi.
Ce lo auguriamo per lui, per noi stessi e per l'Italia.
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VICO SAN LUCIFERO