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Conosci Lorenzo Siddi?». Così mi apostrofò Andrea De Nicola, l'autore del bellissimo volume sul Btg. M "IX Settembre", in un incontro culturale tenutosi a gennaio in quel di Rimini. Quell'interrogativo mi richiamò alla memoria vicende raccontatemi alcuni decenni fa dall'allora segretario del M.S.I. di San Nicolò Arcidano Lorenzo Siddi, appunto. Vicende che sono diventate improvvisamente importanti nell'ottica delle ricerche che vado compiendo sui sardi nella Repubblica Sociale Italiana.
Già, perché Siddi non è un reduce qualunque, ma bensì un "criminale di guerra", forse l'unico Sardo vivente cui pesi addosso una tale infamante quanto falsa (come vedremo) nomea. Telefonargli e incontrarlo fu un tutt'uno. Non lo vedevo da più di trent'anni e mi aspettavo quindi di incontrare un vegliardo (Siddi ha infatti 85 anni). Rimango piacevolmente deluso: è sempre lo stesso: comportamento eretto, viso giovanile, occhi vivaci e soprattutto una memoria di ferro. Gli sta accanto la moglie Maria che non gli è da meno per fede, coraggio e determinazione dimostrate condividendo le tragiche vicissitudini del coniuge.
Il parlare di Siddi è scarno, secco e coinciso, quasi impersonale: non traspaiono emozioni. Gli si adombra lo sguardo solo quando racconta che a farlo arrestare nel giugno del 1946, nel bresciano, fu un partigiano sardo che lui, tra l'altro, in precedenti occasioni aveva pure aiutato. Come, al contrario, il suo viso esprime una gioia, a stento contenuta, quando dice che a farlo scarcerare, nel settembre dello stesso anno, fu un commissario di polizia sardo, un certo Carta. E qui non c'entra niente partigiano o fascista, buono o cattivo. C'è di mezzo un codice d'onore non scritto, ma fermamente osservato da tutti i Sardi che si trovarono coinvolti nella guerra civile: la solidarietà tra conterranei innanzitutto, poi veniva il resto.
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale trovò Siddi nell'aeroporto di Grottaglie, presso Taranto, in qualità di sergente maggiore armiere del 48º stormo bombardieri. In tale veste partecipò a tutte le operazioni del conflitto greco- albanese.
Trasferito a Pescara nel 1942, l'anno successivo, preoccupato per i continui bombardamenti cui era sottoposta la Sardegna e per la possibilità che la stessa venisse occupata dagli Americani, si fece raggiungere dalla propria famiglia.
Superate tutte le traversie dell'8 settembre, compreso un attacco tedesco al proprio aeroporto, nel mese di novembre del '43, Siddi si arruolò a Teramo nel Battaglione "IX Settembre", una formazione di camicie nere proveniente da Telone, in Francia, dove, avendo rifiutato l'armistizio dell'8 settembre, era rimasta in armi accordandosi con i Tedeschi. Siddi, inquadrato col proprio grado di sergente maggiore, diventò comandante di squadra, ma, in non poche occasioni, viste le sue capacità e il suo coraggio, gli venne affidato il comando di un plotone. Il compito principale che Siddi assunse tutte le volte che il Battaglione IX Settembre si trovò a operare in funzione antipartigiana, consisteva nel l'infiltrarsi nelle bande partigiane sino a individuarne la consistenza e la dislocazione, per poi attaccarle di sorpresa e sgominarle.
Dalla data del suo arruolamento sino a marzo del 1944, Siddi combatté nelle Marche e in Abruzzo contro numerose bande partigiane composte perlopiù, oltre che da elementi locali, da ex prigionieri slavi.
Nel marzo del 44 fu sul fronte di Cassino, essendo il suo reparto aggregato al II Reggimento della divisione tedesca "Brandeburg", e qui combatté sia contro gli alleati che contro i partigiani, seguendo l'arretramento del fronte, finché il suo reparto non si fermò, nel mese di agosto, a Castrocaro in provincia di Forlì.
Siddi a fine mese raggiunse la nuova sede del battaglione: la Val D'Aosta. E qui fu protagonista dei fatti d'arme più eclatanti che determinarono poi, nel 1947, la sua condanna a morte.
Nel mese di settembre, Siddi riuscì a infiltrarsi in una brigata "Garibaldi", comandata da un certo Binelle, ex centurione della milizia, riuscendo poi a farla sgominare.
Nel mese di ottobre catturò un gruppo di sei partigiani nella località di Castello di Serra. Mentre procedeva alle perquisizioni, una donna del gruppo, certa Aurora Vuillerminéz detta "Loia", estrasse una pistola e sparò contro Siddi, senza però colpirlo, mentre un altro partigiano tentò di disarmarlo. Malgrado Siddi potesse per questi episodi ucciderli (i partigiani trovati armati dovevano essere fucilati sul posto), li consegnò invece al proprio comando. I partigiani, giudicati da un tribunale italo-tedesco, furono condannati a morte e fucilati, compresa Loia. Si salvò dalla condanna solo un certo Alberto Cheraz, con tutta probabilità perché aveva fatto da delatore nei confronti dei propri compagni.
A novembre, infine, partecipò alla conquista della cittadina di Cogne.
In tutte queste azioni Siddi, sempre in prima linea, rimase più volte ferito e si meritò anche una medaglia d'argento sul campo e la proposta per una croce di ferro di II classe, in aggiunta a una medaglia d'argento e due croci di guerra guadagnate in precedenza.
Da fine novembre fino a metà gennaio del 1945 fu in Prussia orientale a combattere con i Tedeschi contro i Russi, per ritrovarsi poi a fine mese a Lumezzane in provincia di Brescia.
Sino al momento della disfatta combattè con il suo reparto nella zona di Vittorio Veneto e Comacchio.
Arresisi a fine aprile a una formazione partigiana, Siddi piuttosto che consegnare la propria arma la fa a pezzi. Consegnato agli Inglesi, rinchiuso prima nel campo di concentramento di Forlì e poi in quello di Chiaravalle, tentò di evadere da entrambi, ma la cosa non gli riuscì.
Ebbe fortuna invece il 26 maggio. Mentre i prigionieri venivano trasportati in treno verso il sud, per poi essere imbarcati per l'Algeria, loro destinazione finale, all'altezza del comune di Monterotondo in provincia di Roma, Siddi, con altri 34 commilitoni riuscì, smontando una latrina dal pavimento del carro ferroviario, a guadagnare la libertà. Da Monterotondo Siddi raggiunse Pescara da dove, in bicicletta, prima si recò a Milano, poi a Lumezzane e a Bormio dove stava la moglie. Qui fu riconosciuto e fatto arrestare da un partigiano sardo, certo Giuseppe Bazzoretti, la cui madre, ironia della sorte, si chiamava Siddi.
Scarcerato a ottobre per ordine di un commissario di polizia sardo, rientrò in Sardegna, andando a lavorare con la moglie nelle miniere a Carbonia.
La tranquillità di Siddi durò però ben poco: venne infatti arrestato il 19 gennaio del 1947 con l'accusa, come riportarono i giornali dell'epoca, di aver ucciso di propria mano ben 35 partigiani! Condannato a morte dalla corte d'assise di Aosta, la condanna fu tramutata in ergastolo il 25 ottobre del 1948 dalla corte d'appello di Torino, solo perché nel mentre era stata abolita la pena di morte.
Rimase chiuso nel carcere di Avellino fino al 1954, allorché un provvidenziale indulto promulgato dal governo Pella non gli permise di riunirsi alla propria famiglia e di ributtarsi nella mischia divenendo segretario comunale del M.S.I., partito di cui la moglie Maria, dopo aver condiviso tutto col marito - comprese le pallottole dei partigiani - era diventata nel 1948 prima segretaria femminile nella città di Carbonia.