EXCALIBUR 43 - giugno/agosto 2003
in questo numero

Convegno su "Il libro nero del comunismo italiano"

Dalla vicenda Gramsci al Dossier Mitrokhin: le ombre del P.C.I.

della Redazione
Sopra: la locandina del convegno
Sotto: il tavolo coi relatori e il pubblico presente
«Molti vorrebbero che la questione del comunismo si chiudesse con un'amnesia generale, fino al punto che l'amnesia si risolvesse nell'amnistia».
Le parole dello storico francese Stephane Courtois (autore de "Il libro nero del comunismo") hanno aperto il convegno "II libro nero del comunismo italiano - Dalla vicenda Gramsci al dossier Mitrokhin: le ombre del P.C.I.", altra tappa della ricostruzione storica intrapresa dall'Associazione La Fiaccola. «Un prezioso contributo contro l'amnesia, un'occasione importante per avviare una riflessione storica senza reticenze e omissioni», ha evidenziato Fabio Meloni nell'introduzione, «proseguendo nell'analisi delle troppe pagine dimenticate della storia italiana, attraversando quindi decenni di storia italiana, ricchi di ingombranti ombre che appartengono al Partito Comunista Italiano, i cui eredi, reticenti ed emissivi, oggi vorrebbero cancellare con un facile e veloce colpo di spugna. archiviando o addirittura negando e mistificando».
A cominciare dalla vicenda Gramsci: «Era un comunista, ma non uno staliniano», ha sottolineato Massimo Caprara, scrittore e giornalista, dal 1944 per 20 anni segretario di Palmiro Togliatti, deputato del P.C.I. per quattro legislature dal 1954, poi radiato dal partito nel 1969, che oggi dopo un lungo percorso di revisione si trova su posizioni fortemente anticomuniste, autore del libro "Gramsci e i suoi carcerieri". «Nel 1926 scrisse una lettera risentita per schierarsi contro Stalin, provocando la rottura con Togliatti e come conseguenza anche la sua permanenza in carcere. Tra i suoi carcerieri ci fu certamente il fascismo che lo condannò, ma anche chi non voleva che venisse liberato. Fino al 1932 furono diverse le possibilità di uno scambio di prigionieri con l'Unione Sovietica, grazie anche all'intervento della Chiesa, ma fu proprio il leader del comunismo italiano a fare di tutto per impedirlo, non avendo gradito l'attacco di Gramsci a Stalin e ai suoi metodi. Nel febbraio 1928 una lettera fu inviata da Mosca, a firma dell'esponente comunista Ruggero Greco, presso il carcere di San Vittore a Milano, dove il pensatore sardo era detenuto. Leggendola il magistrato cagliaritano Enrico Macis che lo interrogava disse: "Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera". Lo stesso Gramsci si domandò se la lettera fosse "un atto scellerato o una leggerezza incomprensibile", convinto com'era di "essere stato condannato il 14 giugno 1928 dal Tribunale Speciale... ma chi mi ha condannato è un organismo molto più vasto". Il suo distacco dal comunismo sovietico fu evidente anche quando, scegliendo la sua dimora al termine della condanna, chiese di andare a Santulussurgiu e non certo a Mosca, dove aveva moglie e figli».
Inevitabilmente, il riaprire alcune pagine oscure sulla vicenda del pensatore di Ales, il trattare alcuni retroscena sempre taciuti e ben occultati, sopratutto nella sua terra, ha generato un certo imbarazzo, trasformatosi in perfetto ostracismo nei confronti del convegno e dei suoi ospiti da parte dei media locali.
Nel proseguire il percorso del tragico "filo rosso", si è arrivati in Unione Sovietica con le uccisioni di tanti comunisti italiani compiute con la complicità del P.C.I.: «Giovani che erano andati pieni di speranza di sogni, con l'utopia che li aveva spinti», ha confermato Giancarlo Lehner, storico e giornalista, «invece circa l'85% furono vittime o del boia sovietico o dei Gulag. Il comunismo, a parte la barbarie, la violenza, la rozzezza, ha sempre avuto la caratteristica di ingannare sempre e comunque, con una capacità straordinaria di dissimulare la verità. Se Togliatti avesse fatto qualcosa per aiutare quei giovani, suoi compagni o connazionali, molti avrebbero avuto salva la vita. Invece, furono tanti i giovani italiani che fece ammazzare. Tra i documenti che ho trovato negli archivi sovietici e che hanno supportato la mia ricerca storica (pubblicata nel libro "La tragedia dei comunisti italiani. Le vittime del P.C.I. in Unione Sovietica") ce n'è uno dove sono elencati i nomi di coloro per i quali è stata emessa una sentenza di morte: "trozkista, deportare". E alla fine dell'elenco, la firma di Togliatti ("Ercoli", il suo nome di battaglia) con una sola parola: "Saglasen", in Russo "sono d'accordo". Tutte le condanne, tutte le esecuzioni avevano il visto di Togliatti. Gli uomini del P.C.I. queste carte le hanno sempre avute e conoscono la verità, ma sono stati straordinariamente bravi nel cancellarla. In Italia, più che altrove, intere pagine della storia del secolo scorso sono rimaste chiuse, bianche, cancellate, ignorate, censurate. Grazie a una parte della D.C., a una parte del clero, al P.C.I. e a una miriade di utili idioti e di furbi».
Tra le pagine censurate quelle che ricordano gli eccidi perpetrati dai "partigiani rossi" durante e dopo la fine della "guerra civile", ricordate da Antonio Serena, storico e autore del libro "I giorni di Caino": «L'azione del Partito Comunista Italiano per nascondere la verità fu pesante, con atteggiamenti minacciosi nei confronti dei giornali che davano notizia dei delitti, con la corruzione e le minacce nei confronti dei testimoni, con ripetuti tentativi di inquinare i processi fino all'amnistia promossa da Togliatti che restituisce la libertà a tanti assassini. alcuni di questi furono addirittura ricevuti a Botteghe Oscure con tanti onori da Togliatti, Longo, Amendola, Terracini, Paletta, e lo storico incontro venne immortalato nella prima pagina del quotidiano "L'Unità". Ciò che è accaduto durante e soprattutto dopo la guerra civile non si spiega con semplici vendette, ma sono stragi perpetrate con una regia ben precisa. Siamo un paese in netto ritardo con la storia, dove si tace ciò che è successo in tanti paesi italiani al termine della guerra contro uomini che non necessariamente erano fascisti. Gli uomini del Partito comunista non eliminavano solo i loro avversari mortali, i fascisti, ma anche chi aveva combattuto con loro la "lotta di liberazione": preti, liberali, socialisti, comunisti scomodi. Hanno fatto una carneficina, da sempre taciuta. Tante furono le responsabilità, sia degli autori materiali degli eccidi che di coloro che li hanno salvati facendoli fuggire nei paesi dell'est, proteggendoli anche col silenzio complice del partito che ha governato l'Italia nel dopoguerra, la Democrazia Cristiana».
Ultima pagina venuta allo scoperto quella del "dossier Mitrokhin", con politici, funzionari dello Stato, giornalisti e intellettuali italiani al soldo dello spionaggio sovietico: «La scoperta del dossier nel 1999, dopo l'apertura degli archivi segreti sovietici», ha ricordato Pierfrancesco Gamba, deputato e componente della "Commissione Parlamentare Mitrokhin", «fu salutato dagli ambienti politici e intellettuali di sinistra con una voluta e studiata superficialità, tesa a minimizzare l'importanza della lista, a occultare le responsabilità e a insabbiare le indagini sulla rete spionistica del Kgb in Italia. 645 pagine ricche di schede nelle quali gli spioni venivano definiti "collaboratore coltivato, manipolato, reclutato, retribuito, contattato, confidenziale". Si è scoperta la penetrazione in Italia di una rete spionistica sovietica accompagnata dalla caratteristica di avere nel nostro paese il più forte partito comunista occidentale. L'aspetto politico più rilevante è che il dossier, dal momento in cui arrivò in Italia a opera del servizio segreto inglese, venne occultato da ben tre Governi (Dini, Prodi e D'Alema). Il dossier congelato venne alla luce solo dopo la pubblicazione del libro di uno storico inglese. In quelle carte si ritrova l'ennesima conferma che il P.C.I. aveva ricevuto per lungo tempo e anche in anni recenti pesantissimi finanziamenti dall'Unione Sovietica, addirittura dal Kgb. Non si trattava quindi solo di finanziamenti da parte di una potenza straniera allora nemica della Nato, ma anche per fini non troppo chiari, fatto molto imbarazzante per coloro che facevano parte dei governi di quegli anni. La penetrazione dei servizi segreti sovietici era arrivata in tutti i gangli vitali del "sistema Italia" sin dagli anni '60 e fino agli anni '80, ma questa progressione non ha avuto termine neanche in anni più vicini: nelle carte c'è l'indicazione non in codice di un agente del Kgb, definito come vicedirettore dell'Istituto affari Internazionali, che quando il Dossier è arrivato in Parlamento era addirittura Sottosegretario alla Difesa del Governo Dini (si tratta di Stefano Silvestri, n.d.a.). Tra gli altri nomi destinatari dei finanziamenti, quello del senatore Armando Cossutta, presidente dei Comunisti Italiani. Senza considerare l'aspetto morale, si tratta di gravi reati previsti dal Codice Penale, come l'alto tradimento, lo spionaggio e l'attentato alla sicurezza dello Stato, ma finora l'attenzione dei media italiani nei riguardi della Commissione Parlamentare Mitrokhin non è stata certamente adeguata all'importanza del dossier».
A chiusura del convegno, la sincera "confessione" di Caprara: «Per oltre 25 anni sono stato prigioniero volontario di una ideologia, di una cultura che si chiama comunista e ho militato con valore, con entusiasmo, con passione. Dal 1944 al 1969 sono stato membro della nomenclatura del Partito Comunista, deputato al parlamento dal 1952 per oltre 22 anni, membro del comitato centrale. sono stato soprattutto segretario di Palmiro Togliatti, capo del Partito Comunista Italiano. Ho visto da vicino ogni giorno questa maschera volgare, turpe dell'inganno. Togliatti ha sulla coscienza l'assassinio di decine e decine di preti e di suore a partire dalla guerra di Spagna, di tanti giovani italiani, non soltanto soldati, ma anche di coloro che scappavano in Unione Sovietica credendo fosse il paese della libertà, il paradiso della classe operaia. Del mio passato comunista io non mi assolvo, non ho il diritto di tacere, ho il dovere cristiano della testimonianza. Questo è il mio dovere, questo è il mio compito, questa è la mia gioia oggi. Ho fatto del male. ho vissuto il male, ma poi dal male ho ricevuto la forza che mi arma. Per la verità, alla ricerca della verità, in una lotta giorno per giorno».
Dicono di noi... (tratto dal periodico "Area")
Con il nuovo numero di Excalibur viene presentato il nuovo corso dell'associazione culturale la Fiaccola (lafiaccolacagliari@tiscali.it).
Tra le iniziative già svolte e che danno la misura della capacità organizzativa di questo interessante gruppo, il convegno "L'altra faccia della globalizzazione" che si è recentemente tenuto a Cagliari con la presenza di Maurizio Blondet, Aldo Di Leilo e Siro Mazza.
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