Sopra: "Ritratto di Gaetano Pattarozzi" (xilografia di Francesco Pirisi)
Sotto: la copertina dell'Aeropoema Futurista
Quale può essere - oggi - il senso di una ristampa dell'Aeropoema Futurista della Sardegna? Innanzitutto scientifico: di ripescaggio di un testo introvabile, sepolto nelle pieghe di una letteratura dimenticata. Un poema che è canto tardo-futurista intonato a celebrare, modernamente, quella modernità che arriva - in ritardo ma finalmente - anche in Sardegna. E quella benedizione tecnologica e industriale, strutturata di bonifiche e pozzi minerari e dighe e bacini e canali e cavi elettrici e razionalismo, non solo architettonico, si innerva subito nella poesia gridata di Pattarozzi, ex crepuscolare che si fa subito epigono verace di Marinetti.
Diventa allora l'aeropoema testimonianza importante di un momento preciso della nostra storia, da leggersi come riflesso letterario, artistico, a un mutamento radicale della realtà di Sardegna. Questo il valore assoluto del documento, a prescindere dalle valutazioni critiche del livello qualitativo o, ancora, da quelle segnatamente ideologiche. Valore storico e insieme simbolico poi, anche per come mette in drammatica evidenza quella violenza consensuale a una guerra che punirà il Futurismo e rischierà addirittura di distruggere la stessa città - Cagliari - che sta in cima al poema e ne inizia sontuosamente il volo.
Ma l'intenzione, nel senso dell'operazione, non è soltanto mero solluchero accademico nel rispolverare il reperto prezioso ormai anacronistico. Resta infatti, ancora oggi, intatto il portato etico dello slancio futurista di Pattarozzi e del movimento tutto cui il giovane cagliaritano aderisce con impeto di buona fede. Nella lucida critica, che il razionalista e astrattista e fascista Carlo Belli muove nel 1935 al Futurismo, dalle pagine del suo formidabile KN, ne dichiara la morte avvenuta - in senso estetico - ma ne esalta il limpido valore etico, intatto nel tempo.
Contro «
l'Italia vile, l'Italia rinunciataria, l'Italia pastasciuttaia», afferma Belli, il Futurismo aveva cominciato a pretendere animoso, sino dai primi del novecento, «
un'Italia svelta, un'Italia moderna, un'Italia intelligente».
E questa campagna, di vera guerra intellettuale, Martinetti e i suoi la portano avanti senza pause, negli anni, incuranti di chi li sfotte e li bersaglia o li accusa di ritardi o ne dichiara la morte: sino al 1944, quando il movimento naufraga nel Lago di Garda con la morte del suo capo spirituale.
Ebbene, quella guerra dura ancora oggi. Svelto, moderno, intelligente, sono ancora ora, in Italia, aggettivi rarissimi, specie dove sarebbero più utili: nell'universo mondo della politica e dell'amministrazione della cosa pubblica. Ecco allora un altro aspetto, non secondario, nel senso di quest'operazione, non solo editoriale.