EXCALIBUR 42 - maggio 2003
in questo numero

Gli intellettuali di destra visti da Marcello Veneziani

Ragazzi non sopravvalutate il peso degli intellettuali

di Marcello Veneziani
Marcello Veneziani
Se l'intellettuale è un animale strano, l'intellettuale di destra è due volte animale e due volte strano. Perciò fa tenerezza e raccapriccio che in tempi di pubblico disprezzo del suddetto bestiame pensante, vi sia chi pubblichi a pagamento inserzioni sui giornali per rivolgere loro accorati appelli. Ma è davvero accaduto. I giovani di azione universitaria, l'organizzazione studentesca di destra, hanno indirizzato dalle pagine de "Il Foglio" una lettera aperta agli intellettuali "di area", su cui si è golosamente fiondata "La Repubblica". I giovani di destra chiedono agli intellettuali di dar segni di vita, di superare il loro triste sconfittismo, di recuperare il ritardo rispetto alla realtà e ai loro concorrenti, a cominciare dai coinquilini del centrodestra, gli intellettuali liberal-democratici.
Poiché mi trovo iscritto nel registro degli indagati, proverò a rispondere alle loro osservazioni. Per cominciare, un'avvertenza: gli intellettuali di destra non sono un partito, una setta, una casta; non esiste un intellettuale collettivo o un episcopato dell'intellettualità destrorsa. Si tratta di persone che agiscono in solitudine e autonomia, esprimendo posizioni differenziate non solo rispetto a soggetti politici di destra, ma variegate anche nel panorama culturale e non certo riducibili "all'auto-compiaciuto e datato antiamericanismo" che voi rilevate. Riguarderà forse taluno, non è un dato genetico e generale della razza intellettuale di destra. Ognuno risponde di sé e dei suoi scritti, dei suoi interventi. Voi ragazzi di destra, denunciate «il vuoto di una nostra posizione culturale» e di un vivace dibattito intellettuale da destra a proposito della guerra in Iraq. Non credo che la ragione primaria di quel vuoto dipenda dalla latitanza degli intellettuali o dalla loro sonnolenza: è soprattutto mancanza di mezzi di comunicazione e di vere possibilità di espressione; e in secondo luogo stanchezza e disincanto per assenza di interlocutori attenti, istituzionali e civili. A chi rivolgersi, con chi dialogare, come incidere? Non c'è dialogo né con gli altri intellettuali, magari di sinistra, né con altri interlocutori, magari di destra. L'irrilevanza che voi denunciate non riguarda solo gli intellettuali di destra e non riguarda semplicemente gli intellettuali tout court. No, l'irrilevanza, come ho cercato di spiegare nel mio libro più recente, riguarda le idee e denota la loro sconfitta in una società che ritiene di poterne fare a meno. Dico le idee, non le ideologie, badate bene. Voi lamentate l'assenza tra gli intellettuali di destra di una critica al pacifismo, la loro scarsa attenzione al ruolo europeo e la mancanza di un argomentato rigetto sia del filoamericanismo che dell'antiamericanismo. Credo che ciascuno, relativamente ai mezzi di cui dispone e alle idee che coltiva, abbia fatto la propria parte. Per quel che mi riguarda, le vostre preoccupazioni sono state argomento di svariate prove scritte e orali; è esattamente quel che scrivo è dico da tempo e che ho scritto e detto a proposito di questa guerra su "Il Giornale", in tv, in radio, nei miei libri; nei miei pubblici incontri, ovunque mi sia capitato di affrontare l'argomento (perfino l'espressione che usate, "pacifinti", l'ho coniata in un editoriale di qualche tempo fa).
Il problema che voi trascurate è un altro. In margine alla guerra c'era da una parte un fronte interventista e filoamericano assai netto che copriva quasi tutto il versante "liberaldemocratico" (come voi lo chiamate) e dall'altra parte c'era un fronte della non belligeranza, tendenzialmente antiamericano, che copriva quasi tutto il versante cattolico-sinistrese. Quando le scelte si radicalizzano, è difficile acquisire visibilità assumendo una posizione terza, come quella che voi auspicate. Una posizione, vorrei farvi notare, curiosamente centrista, equidistante dai falchi e dalle colombe (che invece campeggiavano sui manifesti pasquali del vostro partito, che pure era schierato con i cosiddetti falchi dell'intervento americano). Curiosamente, la posizione che voi esprimete e che io condivido, era la posizione prevalente nel nostro Paese: diffidente verso il pacifismo militante e verso l'interventismo militare, né filoamericana né antiamericana, magari un po' papista ma decisamente non pacifista; semplicemente realista, nazionale, europea e mediterranea. Gli svogliati della guerra, ma allergici all'arcobaleno, erano i più ma contavano di meno; la destra civile e culturale, in linea di massima, era su questa posizione. Infine vi sbagliate quando auspicate che «la destra acquisti quella centralità nel dibattito culturale che ha raggiunto nella politica». Se per destra intendete la vostra destra ideale, comunitaria, nazional-europea, legata alla tradizione, alle radici e alle identità dei popoli, magari gollista, non mi pare proprio che abbia acquisito una centralità politica. Se c'è qualche traccia di quella destra, io la intravedo in una sensibilità sommersa e magari diffusa, raramente rappresentata a livello politico, che a volte affiora su temi civili, morali e culturali, e si esplicita negli scritti di qualche intellettuale, piuttosto che nelle posizioni politiche. Vedo, al contrario, una prevalenza di una posizione che ho difficoltà a definire sia di destra che di tipo politico: più correttamente definirei liberista, privatizzatrice, filoamericana. Insomma, ragazzi, non attribuite agli intellettuali responsabilità cosmiche che gli intellettuali magari vorrebbero avere, ma non hanno. Non esaltate il nostro smisurato e proverbiale egocentrismo al punto da farci davvero credere che il mondo andrebbe diversamente se noi intellettuali firmassimo un bel manifesto della destra.
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