EXCALIBUR 157 - luglio/agosto 2023
in questo numero

Il 25 luglio di ottanta anni fa

Le incertezze della guerra e l'Ucraina ieri come oggi

di Ernesto Curreli
la seduta del 25 aprile 1943
La seduta del 25 aprile 1943 (cliccare sull'immagine per ingrandire)
Esattamente ottant'anni fa cadde il fascismo, inteso come "regime costituzionale" del Regno. Nella pubblicistica del dopoguerra si trovano narrazioni spesso concentrate sul ruolo dei protagonisti della notte del 25 luglio 1943. In realtà a questo si giunse per avvenimenti pregressi.
Malumori e proteste caratterizzavano gli ambienti fascisti fin dallo scoppio della guerra. Per fare un esempio, era apparsa chiara la contrapposizione dei comandi militari rispetto al Pnf con avvisaglie già dal 1940, quando ventimila giovani fascisti della Gil, non ancora in età di leva, chiesero di essere inquadrati e spediti al fronte. Il comando dell'esercito si oppose fermamente. Intervennero Ettore Muti, segretario del Pnf e il suo successore Adelchi Serena, ammorbidendo il clima. L'esercito tuttavia si vendicò: non fornì mai alla "Divisione Giovani Fascisti" la bandiera di combattimento e costrinse quei ragazzi a battersi privi dell'elmetto M33 e di sufficienti armi di accompagnamento. Dei 25 battaglioni pronti ne accettarono tre e due soli furono inviati al fronte africano, il terzo rimase in patria per fornire i complementi ai due battaglioni che si dissanguavano.
La guerra era apparsa da subito mal condotta e male comandata e ai malumori dei fascisti si aggiungevano altri problemi politici e sociali. Dopo un anno di guerra si erano già manifestati problemi alimentari per i civili. Il neo segretario del Pnf Aldo Vidussoni, su impulso di Mussolini, proseguì il processo di sburocratizzazione degli organismi statali e militari, i quali reagirono affossando il progetto, nell'inerzia di Mussolini che non poteva permettersi uno scontro con le strutture statali.
La sua era una "dittatura" inquadrata nella costituzione, come era di fatto e come affermano da tempo diversi storici. Il Pnf si prese però la libertà di fare pulizia tra i tanti imboscati nel partito e nelle sue grandi organizzazioni. Serena aveva "fatto volare gli stracci" espellendo dal partito 66 mila fascisti "di comodo", obbedendo a Mussolini che voleva, a fronte della crisi emergente, soltanto un partito di squadristi e di giovani. con "centinaia di migliaia di camicie nere decise, pronte e unite".
Nella sfera del partito giravano corruzione e profittatori. Luca Pietromarchi, esperto diplomatico già a capo del "Gabinetto Armistizio e Pace" per la gestione dei territori francesi occupati dall'Italia nel 1940 e poi dell'"Ufficio Studi e Documentazioni", il 5 giugno 1942 annotò nel suo diario: «Infierisce la campagna di epurazione. Regina Coeli sembra diventata la succursale di Rosati: aristocratici, speculatori, industriali affollano le celle, non si sa dove allogare la nuova clientela. Sono incettatori di oro, di merci, trafficanti alla borsa nera [...], ufficiali medici hanno trafficato gli esoneri. Bellissime donne, spie della polizia, amanti e avventuriere sono coinvolte in queste bande rapaci. Il Duce ha ordinato l'epurazione del Partito».
Fu sostituito il direttore generale della Banca Nazionale del Lavoro Arturo Osio, coinvolto in torbide vicende e collegato ad ambienti critici verso Mussolini, fu poi espulso un consigliere nazionale del Pnf per affarismo, quindi cacciato via il presidente della "Società italiana per il commercio estero". Qualche settimana dopo furono "dimessi" d'autorità dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni altri cinque consiglieri nazionali e addirittura, per "profitto personale", il presidente della "Confederazione dei commercianti", già membro del Direttorio nazionale del Pnf. Inoltre furono esonerati i federali di tre grandi città: Genova, Palermo e Milano. Carlo Scorza, nuovo Segretario del Pnf, aveva cercato insieme a Preziosi di convincere Mussolini a creare una milizia sul modello delle Waffen-SS tedesche, ma il Duce bocciò il progetto per timore di reazioni da parte del sovrano e dei vertici militari.
Su questo si era mosso anche Galbiati, comandante della Milizia, che all'inizio del 1943 con Vidussoni aveva percepito la necessità di riorganizzare la Mvsn per prepararla a vincere anche con le armi le resistenze del mondo militare ed economico per portare il Paese a ""fare veramente la guerra". Furono appoggiati da Farinacci e dall'ala dura fascista, che però osteggiava Vidussoni per la "pericolosa" pulizia negli ambienti fascisti. Galbiati in quelle circostanze apprese che i militari avevano realizzato una struttura segreta per contrastare eventuali manifestazioni civili, che entrò immediatamente in funzione alla caduta del fascismo, passando per le armi decine di civili che manifestavano per l'uscita immediata dalla guerra.
Perdurando i contrasti tra le opposte fazioni, Mussolini ordinò a Scorza di attenuare i toni contro la borghesia. Il segretario del Pnf tenne allora, all'Adriano di Roma, un abile discorso che rimise in riga molti: «Popolo sono tutti gli Italiani [--], complesso etnico perfetto e inconfondibile [...]. Operai, artigiani, borghesi, aristocratici nel concetto moderno e fascista non sono stati sociali [...], in effetti sono momento dell'eterno divenire umano. In modo particolare poi, se la massa operaia è la grande riserva delle energie individuali, i ceti medi sono il tessuto connettivo. Basta con la retorica antiborghese [...], queste definizioni sono delittuose [...]. Sono borghesi, aristocratici o proletari coloro che combattono e muoiono nell'Africa settentrionale e in Russia [...], sono mamme di borghesi o di operai o di aristocratici quelle che incontriamo segnate a lutto».
La confusione sull'analisi della situazione si era impadronita di molti, in ritardo con la storia: Cianetti si batteva all'inizio del 1943 per introdurre modifiche al sistema corporativo, chiedendo una sterzata a sinistra del sistema, proponendo per le corporazioni un ruolo più tecnico e che tutta la produzione industriale fosse messa alle sue dipendenze, mentre Scorza, al contrario, si batteva per realizzare più grandi concentrazioni industriali, entrambi scontrandosi con i ministri Acerbo e De Marsico che opponevano argomentazioni giuridiche.
L'unico a non farsi illusioni era Mussolini, Aveva capito che i Tedeschi, dopo lo sbarco in Sicilia, diffidavano delle capacità militari italiane e che si preparavano a presidiare la penisola con loro truppe, prevedendo una resa. Perciò Mussolini dalla primavera del 1943 aveva accentuato i contatti diplomatici con Ungheria, Bulgaria e Romania per creare un fronte capace di convincere la Germania perché cessasse la guerra contro l'Urss. Sono conservati nell'Archivio di Stato anche i contatti con il Giappone, anch'esso dell'avviso di concentrare gli sforzi del Tripartito nel sud europeo per fermare gli Alleati. Risulta dagli archivi che nelle trattative fu coinvolto il Vaticano e anche il capo del governo portoghese Salazar, I Tedeschi, in piena crisi militare italiana, rifiutavano di fornire armi moderne agli Italiani, temendo che sarebbero finite in mani nemiche. Hitler, peraltro, era sempre convinto che l'eliminazione dell'Armata Rossa avrebbe capovolto le sorti della guerra.
Nei diversi incontri con le autorità politiche e militari italiane, Hitler spesso manifestava diffidenza. A Ciano aveva ricordato, con malizia, che i Battaglioni M della milizia erano stati inglobati nelle divisioni dell'esercito, privandoli così della loro autonoma efficacia bellica. Alle proposte italiane di pace coi Russi rispondeva con decisione: «I Russi prima del nostro attacco avevano chiesto (l'assenso, n.d.s.) di finire la Finlandia, di poter mettere piede stabile sulle due sponde dei Dardanelli, di tenere guarnigioni russe in Bulgaria e chiesto alla Germania di ritirare la garanzia alla Romania, così in pochi mesi sarebbero stati padroni dei petroli rumeni».
In un'altra occasione, rispondendo a una precisa richiesta, aveva risposto: «Noi non abbandoneremo mai l'Ucraina, le sue risorse minerarie e alimentari ci servono per le armi e per nutrire le popolazioni del continente europeo occupato. Una pace con i Russi sarebbe un errore, perché dopo qualche mese ce li ritroveremo alla frontiera dell'est, mentre le nostre truppe saranno impegnate nella battaglia del meridione italiano e nei Balcani».
In un altro colloquio con una rappresentanza militare italiana disse: «Per quanto concerne l'aeronautica, i reparti che sono al fronte est non possono essere portati a ovest (in Italia, n.d.s.) prima di sei mesi, occorre preparare le basi [...], se abbandoniamo la lotta in Russia avremmo la prospettiva di impiegare poi sei-otto mesi per rifarla in caso di ripresa (all'est, n.d.s.)».
Mussolini, pressato da questi problemi, accettò di convocare il Gran Consiglio del Fascismo, convinto che la fronda riguardasse pochi esponenti del consesso costituzionale che aveva il potere giuridico di defenestralo. Inoltre, proprio in quei giorni, contava sulla possibilità che la grande offensiva di forze corazzate tedesche a Kursk spezzasse il fronte sovietico. Ed era anche convinto che il Re, che temeva che la caduta del regime avrebbe aperto le porte a una rivoluzione guidata dai comunisti, gli avrebbe confermato l'incarico di capo del governo.
Era ignaro che il Comando Supremo era già arrivato alla conclusione che lui doveva essere allontanato dal governo, se non soppresso come desiderava Badoglio e come questi fece con Ettore Muti.
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